di Giovanni Cecini

Come ogni agosto a Rimini si è aperto il Meeting di “Comunione e Liberazione” dando adito a spunti di riflessione, a eclettici dibattiti e a immancabili aspre polemiche. La società italiana, in un Paese di secolari contraddizioni e contrapposizioni manichee, magari annoiata dall’afa balneare o dal gossip da quattro soldi, spesso prende ispirazione proprio dall’incontro romagnolo, per rendere ancora più distanti le due sponde del Tevere. Quest’anno nella prima giornata il cardinale Angelo Bagnasco, in qualità di presidente dei vescovi italiani, ha voluto ribadire un sempreverde leitmotiv sul rapporto tra Chiesa e Politica. In realtà non ha detto nulla di nuovo, essendo l’argomento vecchio come la Chiesa stessa, a partire proprio dal monito evangelico di “lasciare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” per passare attraverso secoli di lotte per affermare la temporalità del potere religioso. Appare però opportuno rilevare l’argomentazione espressa, attraverso un’attenta analisi delle parole del porporato, che anche fuori dal pulpito, mostrano un che di accademico e di narcisistico.

di Saverio Monno

“Ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo, estremo baluardo della questione morale, è dovere della collettività: “resistere, resistere, resistere” come su una irrinunciabile linea del Piave”. Era il 12 gennaio 2002 quando Francesco Saverio Borrelli chiudeva la sua ultima relazione inaugurale dell’anno giudiziario. Era il secondo anno del secondo esecutivo Berlusconi e l’allora procuratore generale di Milano scendeva in trincea contro il governo per difendere l’indipendenza della magistratura dalle baldanze del cavaliere. Borrelli aveva già denunciato i molteplici provvedimenti della Cdl in materia di giustizia, dalla legge sul falso in bilancio, alla legge sulle rogatorie, agli infiniti ostacoli per rallentare il corso della giustizia. Ma quell’ultimo appello, contro l’avvento di “riforme minacciate, piuttosto che annunciate”, dai “trasparenti intenti punitivi”, ed aggravate dall’intento, neanche troppo celato, “di vincolare il pubblico ministero all’esecutivo”, lasciava tutti di sasso.

di Giovanni Cecini

Il referendum confermativo dell’autunno 2001, invertendo il titolo V della Costituzione e avviando il primo abbozzo di federalismo (voluto dall’Ulivo e criticato dalla Lega perché troppo tiepido), investì gli enti locali di nuovi onori e oneri. A tali disposizioni le giunte e i consigli comunali si dovettero attenere, anche in sussidiarietà con il governo centrale, nella speranza di far quadrare i bilanci in parte con le imposte locali e in parte con gli stanziamenti nazionali. Già nella legislatura 2001-2006 il governo limitò una parte importante di questi ultimi, nella rincorsa ai tagli, ma le iatture per i comuni non dovevano finire. Berlusconi lo aveva promesso per due campagne elettorali di seguito: se vengo scelto a guidare ancora il governo nazionale, tolgo l’Ici. Nel 2006 per una manciata di voti aveva dovuto cedere il passo a Romano Prodi, ma nel 2008 il Cavaliere ha convinto gli italiani, ha vinto lo scontro elettorale e a tempo di record ha varato il provvedimento per abolire l’imposta comunale sulla prima casa, già dalla scadenza di giugno.

di Valentina Laviola

Si va delineando il nuovo volto della Sanità italiana con il maxi emendamento alla legge Finanziaria, già approvato alla Camera e in attesa ora che ripassi dal Senato per l’approvazione definitiva. Si faranno dei passi indietro rilevanti sia rispetto al risanamento economico della sanità regionale ottenuto negli ultimi anni, sia rispetto ai nuovi servizi a disposizione dei cittadini introdotti dal precedente ministro Livia Turco. Con le nuove regole, in pratica, cambiano i Lea, cioè i livelli essenziali di assistenza sanitaria: in sostanza, le prestazioni che il Sistema sanitario nazionale è tenuto a garantire (che erano stati invece innalzati dal precedente governo). Ora garantirli spetterà alla discrezionalità - e disponibilità economica - delle singole Regioni. Cadranno, ovviamente vittime dei tagli economici, alcune misure rivolte alle categorie sociali deboli, quali le cure odontoiatriche per gli indigenti, la fornitura di apparecchi acustici e per parlare, una maggiore assistenza ai malati cronici (per esempio le persone colpite da Alzheimer) e per i malati terminali.

di Mariavittoria Orsolato

La corsa in discesa del governo Berlusconi sta subendo un arresto clamoroso sulla questione sociale. La norma anti-precari e l’abolizione dell’assegno sociale hanno trovato la strenua resistenza dell’opposizione, che martedì alla Camera è riuscita a far andar sotto la maggioranza. Non bastasse, da Strasburgo arriva puntuale il rapporto del commissario ai diritti umani per il Consiglio Europeo - branca indipendente dall’Unione che, con 47 Stati membri, è il principale organo continentale per la tutela dei diritti fondamentali – che stronca in toto i frutti di quella che è ormai stata definita dalle Istituzioni, l’emergenza clandestini. Nel carteggio inviato lo scorso 1° luglio al Viminale, lo svedese Thomas Hammarberg punta il dito contro la politica securitaria del Ministro dell’Interno Maroni, a suo dire “incapace di affrontare con gli strumenti normativi tradizionali un fenomeno non nuovo”.


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