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- Scritto da Adriana Ajrona
Un paio di settimane fa mi è stato diagnosticato un cancro alla pelle. Anche se non mi ha sorpreso più di tanto, visto che si tratta di un disturbo ricorrente nella mia famiglia, la cosa non ha smesso di sconvolgermi, visto che il carcinoma è sul mio viso, in un punto molto visibile. Sento che il tempo scorre, mentre arriva il giorno dell'intervento. Aspetto con impazienza, sperando che la cicatrice non sia troppo grande.
Tuttavia, qualcosa è cambiato nella mia impazienza dopo ciò che ho visto giovedì della scorsa settimana. Ho assistito a una tragedia, una vera tragedia. Una tragedia che fa sembrare il mio carcinoma un puntino ridicolo nell'infinito universo delle disgrazie umane.
Stavo tornando a casa da una visita medica e, a pochi metri da casa mia, ho visto il custode di una delle università vicine soccorrere un giovane che era seduto sulla banchina. Aveva un aspetto molto brutto. Il ragazzo, umile ma non senzatetto, non riusciva a parlare. I suoi occhi erano smarriti. Le sue labbra erano viola. Le sue mani erano rigide. Stava soffocando.
Il guardiano mi disse che prima di rimanere senza parole, gli aveva detto di soffrire di asma. Si era già fatto un paio di iniezioni con l'inalatore che aveva nello zaino, ma il suo corpo non rispondeva.
I colleghi del guardiano avevano chiamato il 123 circa 20 minuti prima, ma l'ambulanza non è arrivata. Il ragazzo sembrava sul punto di morire. Io gli tenevo la mano destra e un'impiegata dell'università faceva lo stesso con la sinistra.
Dopo un po' arrivò un medico vicino. Noi presenti abbiamo seguito le istruzioni del medico. Lo sdraiammo sul pavimento e lui procedette a misurargli la pressione sanguigna e la saturazione di ossigeno.
In una piccola borsa nera che il ragazzo portava con sé abbiamo trovato la sua carta d'identità. Finalmente sapevamo il suo nome, che non riusciva a pronunciare a causa del dolore e del soffocamento.
José, 31 anni, aveva appena lasciato l'Hospital del Guavio, situato a pochi isolati da casa mia. È quello che abbiamo scoperto controllando il suo zaino, nel quale portava tutta la sua vita, fatta di poche cose: un cambio di vestiti, una coperta, un vecchio asciugamano e uno spazzolino da denti. Anche una quantità assurda di medicine.
Sull'ordine di dimissione abbiamo potuto leggere la sua anamnesi, che ha rivelato una verità sconvolgente: José era affetto da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), soffriva di pressione alta, gli era stata diagnosticata una malattia psichiatrica e aveva un lieve handicap mentale. Il documento riportava anche che José si trovava in una situazione di abbandono, senza nessuno a cui rivolgersi. Eppure era stato dimesso, senza ossigeno né accompagnatore, solo pochi minuti prima.
Dopo aver letto un simile orrore, i presenti si sono guardati l'un l'altro con totale sconcerto. Senza dirlo, ci siamo posti tutti esattamente la stessa domanda: perché un paziente con una lieve disabilità mentale, pressione alta e BPCO è stato dimesso senza ossigeno né accompagnatore? Ho pensato che non si trattasse di un ordine di dimissione, ma di un certificato di morte.
Sul documento c'era un numero di contatto, che ho chiamato, ma non mi ha risposto nessuno. Mi ha mandato direttamente alla casella di posta elettronica. Abbiamo iniziato a fare domande, alle quali José rispondeva annuendo o scuotendo la testa, perché gli era impossibile parlare.
Hai una mamma? No. Un papà? No. Altri membri della famiglia? No. Vivi con qualcuno? No. Un amico? No. Vivi nelle vicinanze? No. Vivi in una pensione? Sì. Hai il numero di telefono della pensione? No. È a pagamento? Sì. È una pensione a pagamento?
Abbiamo capito che Joseph era assolutamente infelice e solo nella vita. Malato e solo. Malato, solo e indifeso. Nessuno si curava di lui. Nemmeno lo Stato che avrebbe dovuto prendersi cura dei suoi diritti e indirizzarlo da quell'ospedale pubblico a un luogo di cure intermedie, dove avrebbe avuto accesso all'ossigeno che, in quanto malato di BPCO, gli serve per rimanere in vita.
Improvvisamente, José ha iniziato a contorcersi dal dolore, le sue pupille si sono dilatate e lo sguardo si è disorientato. Dopo un'ora di attesa, l'ambulanza non era ancora arrivata. Io stesso cominciai a sentire il fiato corto vedendolo in uno stato di soffocamento e di sofferenza.
Il medico gli somministrò altre tre dosi di uno dei farmaci che portava nello zaino e José tornò alla calma per qualche minuto prima di avere un'altra crisi. E un'altra. E un'altra ancora. Dall'ambulanza, niente.
Un'infermiera che stava andando a una riunione si è unita al gruppo di sostegno, anche se non esercita la sua professione, e anche un altro medico che ha saputo della situazione è venuto a offrire il suo sostegno.
Nel giro di un'ora e mezza è arrivata l'ambulanza. E mentre sbrigavano le pratiche per il Segretario della Sanità che doveva dire dove portare José, continuavo a pensare che in Colombia ci sono milioni di persone come lui. Persone di cui non importa a nessuno. Persone che non contano. Persone che vengono dimesse da un ospedale sapendo di non essere in condizioni di rimanere senza cure.
Sicuramente all'Hospital del Guavio avevano bisogno di un letto per un altro José, un'altra persona altrettanto sola, indifesa e in condizioni di salute peggiori. Un altro paziente che sarà dimesso tra pochi giorni, anche se non è in condizione di affrontare la vita.
Quelli che contano non vivono mai una situazione del genere. E questo mi fa venire i brividi. Sapere che sono una delle poche persone che contano, rispetto a milioni di persone che non contano.
Sarò operata per il piccolo carcinoma che ho sul viso, da tre medici specializzati, in mancanza di uno, e avrò con me tutta la mia famiglia. Mio marito, mia figlia, i miei genitori, le mie sorelle e i miei amici saranno al mio fianco ogni secondo e mentiranno se la ferita è grave. Mi consoleranno e mi diranno che sono perfetta, che non si nota, che se lo riterrò necessario in seguito potrò sottopormi a un intervento di chirurgia plastica, dove anche loro mi accompagneranno. So che nella clinica dove mi sottoporrò all'intervento nessuno firmerà un ordine di uscita senza assicurarsi che qualcuno venga a trovarmi. Tutti si prenderanno cura di me. Mi tratteranno come un essere umano.
Quando ci penso, non solo mi fa male, ma mi fa anche vergognare. Mi spezza lo spirito vedere ogni giorno quanto sia oscenamente diseguale il mondo in cui viviamo. Mi fa rabbrividire il tipo di società che abbiamo costruito, in cui ci sono cittadini di prima classe, di seconda classe, di terza classe, di quinta classe e altri, molto più in basso, in quel fondo oscuro che chi sta in alto non vuole guardare. Quell'inferno solitario e freddo dove si trovano tutti i José di questo mondo.
Sono giorni che penso a quel ragazzo. A tutti coloro che vivono una vita come la sua. Vite solitarie e tristi, in luoghi ancora più solitari e tristi di questa città. Luoghi dove non c'è nemmeno un centro sanitario nelle vicinanze. Luoghi lontani dove tutti sopravvivono come possono, come Darwin, giocando alla sopravvivenza del più adatto, di colui che si adatta meglio.
Penso all'indolenza dello Stato, al film dell'orrore che è il capitalismo, alla menzogna che è la democrazia, alla vacuità dei discorsi dei politici in campagna elettorale, ai cambiamenti che ci promettono per dare migliori condizioni di vita a tutti, e alla resistenza dei potenti a questi cambiamenti, perché il terrore infame di perdere un solo millimetro del posto che occupano - quello dei pochi che contano - li travolge.
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- Scritto da Mario Lombardo
La vicenda della legge sulle “interferenze straniere” appena approvata in via definitiva dal parlamento della Georgia è un esempio perfetto della doppiezza e della monumentale ipocrisia che caratterizza la politica estera di Europa e Stati Uniti. Il provvedimento è oggetto di feroci critiche e condanne, nonché di una campagna di disinformazione che punta a descrivere come ultra-repressiva e anti-democratica una legge legittima, per molti versi necessaria e, soprattutto, già parte della legislazione di alcuni paesi occidentali e in fase di seria discussione in altri.
La legge è passata in terza e ultima lettura martedì con il voto favorevole di 84 deputati e 30 contrari. Un testo pressoché identico era stato proposto un anno fa, ma la maggioranza del partito “Sogno Georgiano” l’aveva poi ritirato in seguito alle pressioni internazionali e all’esplodere di proteste popolari sempre più aggressive. Le stesse manifestazioni contro la legge erano subito scattate anche alla metà di aprile, quando il governo aveva reintrodotto il provvedimento con alcuni cambiamenti cosmetici. In sostanza, l’unica differenza di rilievo era il cambiamento della definizione dei soggetti contro cui la legge è indirizzata: da “agenti di influenza straniera” a “organizzazioni che perseguono interessi stranieri”.
Secondo il testo, ONG, media e sindacati che ricevono più del 20% dei loro introiti dall’estero sono tenuti appunto a registrarsi come “organizzazioni che perseguono interessi stranieri”, così da potere essere monitorati dal ministero della Giustizia georgiano. Questo paese caucasico ospita un numero insolitamente alto di ONG e altre organizzazioni che operano in vari ambiti della “società civile”. La gran parte di esse viene finanziata dall’estero, spesso tramite soggetti collegati direttamente o indirettamente al governo americano o all’Unione Europea.
La legge è stata fin dall’inizio bollata da Washington e Bruxelles come una sorta di regalo alla Russia di Putin e, anzi, a una normativa simile già implementata da Mosca viene continuamente accostata. Più correttamente, la legge si ispira al “Foreign Agents Registration Act” (“FARA”) americano degli anni Trenta del secolo scorso. Rispetto a quest’ultima, quella georgiana risulta oltretutto più morbida. Ad esempio, negli Stati Uniti è prevista l’incriminazione per i soggetti che non provvedono a registrarsi come agenti stranieri, mentre in Georgia si rischierà solo una sanzione fino ad un massimo di 9.500 dollari.
Tutto questo viene naturalmente ignorato da governi, media e ONG occidentali quando discutono della legge georgiana, che resta invariabilmente “la legge di Putin”. Incredibilmente, in questi giorni l’assistente al segretario di Stato USA, Jim O’Brien, visitando la Georgia, ha spiegato che questo paese rischia di vedere compromessi gli sforzi per accedere all’UE e alla NATO, poiché la legge appena approvata determina un allontanamento dagli “standard [democratici]” richiesti da questi organismi. In altre parole, la Georgia rischia di trovarsi la strada sbarrata in Occidente perché ha appena introdotto nel proprio ordinamento una legge per limitare le attività di destabilizzazione favorite dall’estero di fatto identica, anche se meno restrittiva, di quella in vigore da quasi un secolo negli Stati Uniti.
Anche in sede europea si discute delle conseguenze sui rapporti con Tbilisi che la legge potrebbe avere. I ministri degli Esteri di una dozzina di paesi già nei giorni scorsi avevano emesso un comunicato ufficiale per chiedere alle autorità UE di valutare “l’impatto del provvedimento sul processo di adesione”. Una risposta congiunta dei 27 membri non sembra essere invece in agenda, visto che alcuni governi, come quelli di Ungheria e Slovacchia, ritengono di non dover interferire nelle vicende interne di un paese terzo.
Le espressioni di condanna dei burocrati europei sono accompagnate rigorosamente dalle solite prediche sul rispetto dei principi democratici e del diritto, tutti messi in serissimo pericolo, a loro dire, dalla legge georgiana. La stessa Commissione Europea sta però discutendo essa stessa l’opportunità di introdurre nel prossimo futuro un provvedimento sulla linea di quello oggetto di contestazioni in Georgia, oltre che già in vigore negli Stati Uniti. La proposta, scaturita dallo scandalo “Qatargate”, punta a creare un database dei lobbisti stranieri per limitare o neutralizzare le “influenze maligne” estere.
Il dibattito pubblico sulla proposta aveva sollevato qualche voce critica, non solo tra le stesse ONG che rischiano di essere costrette a rendere pubbliche le loro fonti di introito, ma anche da quanti avvertivano che una legge simile farebbe cadere la maschera della finta democrazia europea. In primo luogo, l’UE non avrebbe più, nemmeno formalmente, l’autorità morale per denunciare iniziative come quella georgiana visto che ritiene necessaria anche per sé stessa una legge simile. Inoltre, il provvedimento allo studio finirebbe per penalizzare una pratica comune alle istituzioni europee, ovvero l’elargizione di finanziamenti a organizzazioni della “società civile” operanti in paesi stranieri.
Dopo l’approvazione definitiva di martedì, la legge georgiana dovrà essere ratificata dalla presidente filo-occidentale Salomé Zourabichvili, la quale ha già dichiarato che intende utilizzare il potere di veto. La maggioranza che sostiene il governo del primo ministro, Irakli Kobakhidze, potrà però annullarlo e consentire alla legge di entrare in vigore definitivamente. L’incognita che rimane è rappresentata dalla possibile prosecuzione delle proteste dell’opposizione, cioè se i sostenitori occidentali dei manifestanti sceglieranno di continuare a destabilizzare la Georgia cercando di forzare un cambio di regime, a rischio di gettare il paese nel caos.
La determinazione con cui il governo sta portando a termine l’iter legislativo del provvedimento sulle interferenze straniere, così come l’insistenza della propaganda europea e americana per affondare una legge interamente legittima, rivela l’importanza della posta in gioco a Tbilisi. Lo scontro in atto si collega infatti al conflitto tra Russia e Ucraina o, più, precisamente, tra Russia e USA/UE/NATO. In questo scenario, la Georgia si è ritrovata in una posizione sempre più precaria. Da un lato è sottoposta alle pressioni occidentali per partecipare in pieno alla campagna anti-russa, mentre dall’altro deve procedere con estrema cautela per evitare il coinvolgimento diretto in una guerra che avrebbe effetti devastanti.
Il governo del partito “Sogno Georgiano”, al netto delle falsificazioni occidentali, non è in nessun modo filo-russo, tanto che aveva subito condannato l’invasione dell’Ucraina e fornito aiuti umanitari a Kiev. Da tempo cerca poi di costruire un percorso per entrare nell’UE e, sia pure in modo più prudente, nella NATO. Lo scorso dicembre, da Bruxelles era arrivato anche il via libera al riconoscimento dello status di candidato ufficiale all’ingresso nell’Unione Europea.
Allo stesso tempo, il governo georgiano è perfettamente consapevole dell’importanza di evitare che le relazioni con la Russia precipitino, visto anche il ricordo molto vivido della disastrosa guerra in Abkhazia e Ossezia del sud nel 2008. La Russia è chiaramente una presenza fondamentale e inevitabile, dal punto di vista geografico, economico e militare, così che Tbilisi non ha alcun interesse a percorrere la strada suicida dell’Ucraina o, in prospettiva, della Moldavia per assecondare le mire strategiche occidentali. Realismo e pragmatismo sono quindi i principi a cui si ispira il partito di governo fin dall’approdo al potere per la prima volta dodici anni fa sotto la guida dell’imprenditore miliardario con interessi in Russia, Bidzina Ivanishvili.
Alla luce di questi orientamenti, non sorprende che governi e servizi di intelligence occidentali abbiano intensificato le manovre per fare pressioni sul governo di Tbilisi, principalmente fomentando proteste di piazza talvolta violente per far naufragare una legge che andrebbe a colpire o, quanto meno, a smascherare le loro stesse manovre destabilizzanti. Se anche le tensioni dovessero abbassarsi dopo l’approvazione della legge sulle ingerenze straniere, è probabile che la campagna contro il governo riprenderà nei prossimi mesi in vista delle elezioni legislative in programma a ottobre.
Tornando alla posizione della Georgia, va ricordato che questo paese impoverito negli ultimi due anni ha beneficiato notevolmente dell’aumento dei traffici commerciali con la Russia, dovuto alla chiusura, per via delle sanzioni americane ed europee, delle rotte che passavano dall’Occidente. Non si stratta solo di un’attitudine opportunistica, quella georgiana, ma di un calibramento strategico volto a massimizzare i vantaggi di una politica estera aperta. Tanto che la Georgia ha accompagnato la candidatura all’ingresso nell’UE alla formalizzazione di una partnership strategica con la Cina.
A fronte di ciò, i crociati della democrazia in Occidente chiedono invece alla Georgia di salire sul carro delle sanzioni contro la Russia, favorendo un autentico suicidio economico esattamente come sta facendo l’Europa, e di andare allo scontro totale con Mosca, sposando la fallimentare causa ucraina e mettendo a serio rischio la propria sicurezza interna. Con queste premesse, non è difficile comprendere le ragioni per cui il governo di Tbilisi diffidi dell’Occidente e intenda andare fino in fondo per tenere sotto controllo le manovre di destabilizzazione organizzate dall’estero.
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- Scritto da Sara Michelucci
Esordio alla regia per Micaela Ramazzotti, con il film Felicità, di cui è anche la protagonista, che sarà presentato in concorso nella sezione Orizzonti Extra alla 80ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.
La storia è quella di una famiglia storta, di genitori egoisti e manipolatori, un mostro a due teste che divora ogni speranza di libertà dei propri figli. Desirè è la sola che può salvare suo fratello Claudio e continuerà a lottare contro tutto e tutti in nome dell’unico amore che conosce, per inseguire un po’ di felicità.
Una sorella che tenta in tutti i modi di far uscire dalla depressione il fratello, vittima dei suoi stessi genitori, troppo debole per riuscire a salvarsi da solo. Un film sulla famiglia e sulla costante lotta per riuscire a distruggere legami sbagliati e che fanno stare male.
Con Max Tortora, Anna Galiena, Matteo Olivetti, Micaela Ramazzotti e con la partecipazione di Sergio Rubini, il film è prodotto da Lotus Production con Rai Cinema e sarà distribuito da 01 Distribution.
"Sono onorata e orgogliosa che proprio la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia sia la prima a voler bene a Felicità - dichiara la regista - . Cosa di cui tutti noi abbiamo bisogno".
Il film arriverà nella sale italiane il 21 settembre.
Felicità (Italia, 2023)
Regia: Micaela Ramazzotti
Attori: Micaela Ramazzotti, Max Tortora, Anna Galiena, Matteo Olivetti, Sergio Rubini
Distribuzione: 01 Distribution
Sceneggiatura: Micaela Ramazzotti, Isabella Cecchi, Alessandra Guidi
Fotografia: Luca Bigazzi
Montaggio: Jacopo Quadri
Produzione: Lotus Production con Rai Cinema
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- Scritto da Sara Michelucci
Presentato in anteprima mondiale al Sundance Festival 2023 e vincitore del Gran Premio della Giuria per miglior film drammatico, A Thousand and one, primo film dietro la macchina da presa, della sceneggiatrice A.V. Rockwell, narra la storia di Inez (Teyana Taylor), una donna determinata e impetuosa, la quale rapisce il figlio Terry, di sei anni, dal sistema di affidamento nazionale. Aggrappandosi uno all’altro, madre e figlio cercano di ritrovare il senso di casa, di identità e di stabilità in una New York in rapido cambiamento.
Siamo di fronte ad un dramma familiare contemporaneo, che racconta le difficoltà di una donna sola e certamente non benestante, in una città difficile come NY. Terry sogna di poter stare con sua madre e lega subito con Lucky (Aaron Kingsley Adetola), il compagno di Inez. Quando diventa adolescente, Terry (Aven Courtney) si rivela essere un ragazzo intelligente e studioso e così sua madre sogna per lui un futuro migliore del suo, lontano dalla strada, ma ciò che ha segnato all’origine la loro difficile storia familiare sta per tornare a galla.
Un film sicuramente interessante sia dal lato della sceneggiatura, che della regia, che ha nel realismo di cui è intriso quella giusta carica che serve a sondare e comprendere la vita dei suoi protagonisti.
A Thousand and one (Usa 2023)
Regia: A.V. Rockwell
Cast: Teyana Taylor, William Catlett, Josiah Cross, Aven Courtney, Aaron Kingsley Adetola, Terri Abney, Delissa Reynolds, Amelia Workman, Adriane Lenox
Sceneggiatura: A.V. Rockwell
Fotografia: Eric Yue
Montaggio: Sabine Hoffman, Kristan Sprague
Distribuzione: Lucky Red e Universal Pictures International Italy
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- Scritto da Sara Michelucci
Firmato da Giuseppe Piccioni, L'ombra del giorno racconta una storia d'amore in un periodo storico difficile. Siamo nel 1938. È un giorno qualunque, in una città di provincia come tante altre in Italia (Ascoli Piceno). I tavoli sono apparecchiati e Luciano ha appena aperto il suo ristorante. Dalla vetrina vede un corteo ordinato di bimbi di una scuola elementare, accompagnati da una maestra. Camminano disciplinati sul marciapiede al sole, in fila per due, con i loro grembiuli infiocchettati e i capelli pettinati con cura. Luciano è tentato di credere a quell’immagine di serenità, di fiducia nel futuro. Ha un’andatura claudicante a causa di una ferita della prima guerra mondiale, un ricordo permanente della ferocia di quel conflitto.
Dietro le ampie vetrine che danno sull’antica piazza scorre la vita di quella piccola città in quegli anni. Sono gli anni del consenso, delle operepubbliche, e delle nuove città. Luciano è un fascista, come la maggior parte degli italiani in quel periodo, ma lo è a modo suo; ha preferito rimanere in disparte e si è tenuto lontano dall’idea di trarre vantaggio dalle sue decorazioni di guerra e dalla militanza ottusa e obbediente nelle gerarchie del partito.
Però si sente partecipe di quel generale entusiasmo, nonostante per indole tenda a occuparsi solo dei fatti propri, perché “il lavoro è lavoro”: quello che gli sta a cuore è il suo ristorante e i compiti quotidiani a cui lui si dedica con scrupolo taciturno. Finché fuori dalla vetrina, appare una ragazza. Mi chiamo Anna Costanzi, gli dice, e timidamente chiede se cercano personale. Di lì a poco l’avvento di quella ragazza e le prime evidenti crepe che si evidenziano in quel mondo che guarda dalla vetrina cambieranno la vita di Luciano.
Com’è strana la vita, pensa Luciano. Un tempo, del suo lavoro, gli piaceva proprio essereaffacciato sulla strada, guardare la gente che passeggiava, che correva in fretta al lavoro, gli dava l’illusione di essere insieme a quelle persone, al loro stesso livello. Adesso invece tutto si confonde e ogni giorno si rinnova la sorpresa. E ha il volto di Anna. Ora, in entrambi, si è fatto strada un sentimento, qualcosa a cui Luciano aveva rinunciato da tempo. Ma quella giovane donna ha un segreto. Ad interpretare i protagonisti ci sono due bravi attori come Riccardo Scamarcio e Benedetta Porcaroli, che vestono alla perfezione i panni di questi due innamorati.
L'ombra del giorno (Italia 2022)
Regia: Giuseppe Piccioni
Soggetto e sceneggiatura: Giuseppe Piccioni, Gualtiero Rosella, Annick Emdin
Cast: Riccardo Scamarcio, Benedetta Porcaroli, Waël Sersoub
Distributore: 01 Distribution