L’offerta pubblica di scambio lanciata da Orcel, ad di Unicredit, verso BancoBpm dopo lo stallo dell’altra operazione di acquisizione della tedesca Commerzbank, pone tre ordini di problemi: l’impatto sul sistema Italia, i negativi risvolti occupazionali e gli effetti sulla finanza etica, essendo Bpm secondo socio di Etica Sgr.

Il prezzo delle azioni Unicredit è passato da 14 a 24 euro nel corso del 2023 (+71%) e, arrivato ai 36 euro attuali (+157%), ci si può permettere una proposta “carta contro carta” per prendersi BancoBPM, quattro volte più piccola. Così si spiega l’offerta pubblica di scambio lanciata in questi giorni da Andrea Orcel (amministratore delegato di Unicredit).

Gran parte delle analisi oggi si soffermano sulle implicazioni di valore (o meno) per gli azionisti, mentre la geopolitica dell’operazione, in Italia ed Europa, è stata ben sintetizzata da Alessandro Volpi. Ma quali potranno essere i suoi effetti di carattere generale? Per il momento, almeno tre distinte famiglie di impatti meritano di essere evidenziate: per l’economia italiana, per la finanza cooperativa e, un po’ a sorpresa, per la finanza etica.

Sull’economia reale, e le sue ricadute per il nostro Paese, si gioca la partita più grossa. E non promette bene, tanto sul versante del credito quanto su quello occupazionale. Alcuni numeri: dell’attivo consolidato di Unicredit i prestiti verso famiglie e imprese rappresentano il 54,7%, quota che in Italia scende al 37%. BancoBPM, di cui è amministratore delegato Giuseppe Castagna, è banca con modello più tradizionale, vicino ai territori, e il peso del crediti sull’attivo è maggiore, pari al 64%. Insieme, guardando all’Italia, il colosso che nascesse dalla fusione tra i due avrebbe esposizioni creditizie complessive pari a circa 281 miliardi di euro, una quota dell’attivo attorno al 46%. Ma ciò che nasce da una fusione non è mai la somma dei due addendi: il soggetto più grande trascina verso di sé il minore, rispetto a cultura aziendale, processi, logiche commerciali. Si può dunque ipotizzare (con ottimismo) che l’effetto netto sarà un posizionamento intermedio tra i due modelli, ossia una tendenza ad un rapporto credito/attivo attorno al 41%, circa 30 miliardi di euro di impieghi in meno in Italia, a parità di altre condizioni, equivalente ad una riduzione del 10% delle consistenze in essere a fine 2023.

Proseguendo con il ragionamento, un impatto almeno simile si avrà sul versante occupazionale, forse superiore in termini percentuali se si considera anche la forte sovrapposizione nel nord ovest tra la distribuzione geografica delle filiali Unicredit e quella della ex Banca Popolare di Milano. Sui 16mila dipendenti totali contati in Italia dalle due banche a fine 2023 (di cui 10.864 di Unicredit, sui suoi 23.842 in tutta Europa), si può pertanto stimare prudenzialmente un esubero, risultante dall’operazione, attorno alle 2 mila persone.

Riduzione occupazionale e contrazione degli stock di credito rappresentano ormai una tendenza consolidata del mercato bancario italiano. Ma mentre la prima si può comprendere alla luce delle nuove tecnologie, dei mutati stili di relazione tra banche e risparmiatori e delle economie di scala derivanti dai processi aggregativi, la seconda non ha una giustificazione di questo tipo, e anzi appare controintuitiva in tempi di intelligenza artificiale. Piuttosto, occorre riconoscere che alcuni modelli di banca, i più orientati verso i mercati finanziari globali, associati alle pressioni regolamentari e ad alcune loro schizofrenie, conducono gli intermediari a perdere l’interesse per l’attività creditizia, valutata come poco remunerativa, troppo impegnativa in termini di effort, rischi e compliance, dunque costosa e relativamente poco profittevole.

Proprio da queste considerazioni nasce la riflessione sul modello più tradizionale di banca, quello di BancoBPM, con una propensione doppia al credito, che verrebbe compromesso dall’operazione Unicredit. Il ruolo svolto da soggetti come BancoBpm nel sistema economico, infatti, nonostante le trasformazioni societarie e le fusioni, rappresenta ancora l’espressione – per quanto in via di diluizione – di una cultura e un modus operandi frutto della tradizione delle banche cooperative e popolari, di cui l’Italia è stata apripista nel mondo.

Si pensi solo alla storia della Banca popolare di Milano, nata nel 1865 per iniziativa di Luigi Luzzatti, studioso e politico liberale che fu anche ministro dell’economia del governo Giolitti, instancabile promotore della formula cooperativa, maestro di Leone Wollenborg, a sua volta fondatore della prima cassa rurale italiana. Tasselli di un modello imprenditoriale e bancario che ha sostenuto lo sviluppo del Paese per oltre 160 anni. Messo poi in difficoltà da alcuni sbagliati interventi legislativi e regolamentari che – unici nel mondo – hanno di fatto condotto ad una delegittimazione di diritto e di fatto delle banche cooperative, con spinta decisa all’omologazione verso la forma della società per azioni quotata. Un processo punitivo per l’economia reale che oggi, in qualche modo, l’offerta di Unicredit andrebbe a sugellare.

Infine, l’operazione Unicredit-BancoBPM potrebbe avere un effetto anche sul “piccolo” mondo della finanza etica italiana, in particolare sul Gruppo Banca Etica, che oggi gestisce circa 10 miliardi di risparmi (una cifra che – per puro caso, si deve credere – riecheggia quella offerta da Orcel a Castagna). Infatti, BancoBpm è il secondo socio di Etica sgr, subito dopo Banca Etica, e ne è stato a lungo il principale azionista. Mentre Anima sgr è il soggetto delegato da Etica Sgr per la gestione dei fondi sottoscritti da soci e clienti.

Come descritto da numerosi commentatori, Anima Sgr è una componente significativa dell’operazione Unicredit: ha recentemente rilevato una quota del 15% di Banca MPS messo sul mercato dal Mef, ed è oggetto di un’Opa proprio da parte di BancoBPM. Nel nuovo gruppo che nascerebbe, da oltre 70miliardi di capitalizzazione di borsa (il 12% più di IntesaSanpaolo), Anima Sgr rappresenterebbe una piccola (2 miliardi) ma strategica partita.

Consideriamo che il gruppo Caltagirone è socio di BancoBpm, di Banca MPS, di Anima Sgr.

Che BlackRock ha il 7,5% di UniCredit e il 4,7% di BancoBpm, che nel nuovo gruppo avrebbe il 6,7%, e un interesse non trascurabile rispetto ad Anima Sgr, leader italiano del risparmio gestito.

Tutto questo avrà un impatto su Banca Etica? Probabilmente qualcuno si starà domandando se non sia stato un errore non attuare quanto previsto nel Piano strategico 2021-2024, ossia “una internalizzazione completa” della gestione dei fondi di Etica Sgr, che mirava proprio, tra l’altro, a liberarsi dalla dipendenza da Anima Sgr.

Si vedrà. Di certo, l’operazione Unicredit-BancoBPM è uno di quegli scossoni di cui il mercato bancario italiano sentirà a lungo gli effetti, comunque vada.

 

di Alessandro Messina

fonte: sbilanciamoci.info

In attesa dei fin troppo annunciati dazi doganali che Trump imporrà all’Europa per tentare di riequilibrare la bilancia dell’import/export tra USA e UE, il Vecchio continente discetta sui commissari della ignobile Von der Leyen e annaspa sotto i colpi di una gestione della politica industriale a dir poco infausta. Uno dei settori più colpiti e che rappresenta il perno principale dell’industria europea è quello del automotive ed è proprio qui, oltre che sull’energia, che l’Europa accusa i colpi peggiori. La crisi dell’auto miete vittime anche ai livelli più alti, raggiungendo anche le aziende tedesche. Si tratta di Audi e gruppo Volkswagen, che da sempre hanno rappresentato un’eccellenza in chiave di qualità di prodotto, innovazione tecnologica, assetti produttivi, relazioni industriali e capacità di export. I due giganti tedeschi chiuderanno alcuni stabilimenti che producono auto elettriche in Germania e Belgio.

Il primo ciclo di negoziati delle Nazioni Unite, avviato il 26 aprile 2024 per arrivare ai Termini di Riferimento (ToR) per la prima Convenzione Quadro sulla Cooperazione Fiscale Internazionale, ha preparato una bozza di testo da discutere in agosto (https://t.ly/hVTwm). Il testo riguardava, tra l'altro, le imposte sul reddito, sul patrimonio, sull'ambiente e sulle società. L'iniziativa del 2023 è partita dal Gruppo africano ed è stata inizialmente osteggiata dai grandi Paesi, ma alla fine tutti hanno aderito ai colloqui.

In articoli successivi ho sostenuto che in America Latina i neoliberisti, i libertari anarco-capitalisti, gli imprenditori che la pensano come loro e i governi imprenditoriali che li rappresentano, non solo mobilitano l'ideologia perversa della “libertà economica” ma hanno anche come “nemici” le tasse, i diritti del lavoro, lo Stato (https://t.ly/LbewH) e, per finire, persino l'idea stessa di giustizia sociale. Il punto di partenza è Friedrich von Hayek (1899-1992), il padre del neoliberismo, che nel suo saggio “L'atavismo della giustizia sociale” (https://t.ly/3eDRd), parla di un'idea “impossibile” e di un concetto che deve essere “eliminato” in economia.

Le analisi economiche che predominano nella sfera pubblica, grazie all'influenza decisiva dei media legati agli interessi delle élite imprenditoriali dell'America Latina, si caratterizzano per il fatto di staccare i dati dalle condizioni storiche e sociali della regione. Non si tratta di un fenomeno nuovo. La CEPAL (1948) lo aveva avvertito fin dai suoi primi studi che, inoltre, insistevano sulla necessità di distinguere la teoria economica proveniente dai Paesi centrali e che si presume sia universalmente valida, da quella richiesta dalle realtà di questa parte del mondo, che non si conformano alle concezioni straniere e che, quindi, richiedono la creazione di concetti e teorie proprie.

L'impegno latinoamericano è di ampio respiro, anche se con ambiti diversi nei vari Paesi. Argentina, Brasile e Messico si sono sempre distinti e i loro teorici hanno dato contributi formidabili all'esame sia delle strutture interne sia delle relazioni internazionali, come nel caso di coloro che hanno formulato la famosa teoria della dipendenza negli anni Sessanta. Gli studiosi di altri Paesi non sono stati da meno, anche se sono stati più influenti a livello nazionale che internazionale. L'argentino Raúl Prébisch (1901-1986), che si distinse come segretario esecutivo della CEPAL, fece riflessioni che non avrebbero potuto essere formulate da autori europei o nordamericani dell'epoca, che non conoscevano la realtà latinoamericana.

Lo stesso si potrebbe dire del brasiliano Theotônio dos Santos (1936-2018) o della recentemente scomparsa Maria da Conceição Tavares (1930-2024). Il problema che hanno dovuto affrontare gli intellettuali che hanno studiato la storia economica dell'America Latina e hanno sviluppato le loro idee in piena Guerra Fredda è stato la persecuzione e la squalifica, perché le loro tesi erano in definitiva critiche nei confronti del capitalismo e molti si definivano marxisti. Al contrario, l'economia istituzionalizzata e ufficiale mostrava analisi basate quasi esclusivamente sulla misurazione delle variabili macroeconomiche, che determinavano il tipo di politiche da decidere attraverso il controllo statale. Tuttavia, lo sviluppismo degli anni '60 e '70 si occupava del "cambiamento strutturale", presupponendo l'industrializzazione e il ruolo di pianificazione e investimento dello Stato, che le oligarchie dell'epoca attaccavano come "comunismo".

Gli ultimi due decenni del XX secolo e l'inizio del XXI hanno definito il corso neoliberale dell'America Latina sotto la globalizzazione egemonizzata dagli Stati Uniti. Tuttavia, l'emergere del progressismo sociale e i governi del primo ciclo che lo hanno espresso hanno fatto un passo avanti rispetto ai processi che in passato erano stati finalizzati al superamento degli Stati oligarchici. Hanno dato impulso a un nuovo quadro storico in cui la sconfitta del neoliberismo per la costruzione di Stati sociali o di un buon vivere sociale e ambientale è venuta a determinare l'allineamento delle élite proprietarie e ricche, con l'appoggio delle loro forze politiche, dei mass media e della destra sociale, che ora si confrontano apertamente e direttamente con i lavoratori, le classi medie, i settori popolari, i popoli indigeni, le organizzazioni e i movimenti sociali.

Il neoliberismo latinoamericano ha pervertito le responsabilità dei governi nel promuovere lo sviluppo con il benessere umano e nel sostenere gli ideali della democrazia rappresentativa. I governi corporativi non riescono a comprendere le origini del ruolo economico dello Stato, la conquista dei diritti del lavoro, l'emergere della tassazione diretta (proprietà, eredità, reddito); non riescono a comprendere l'espansione degli investimenti pubblici, dei beni e dei servizi; è impossibile per loro ammettere che la ricchezza concentrata delle élite latinoamericane ha un'origine storica basata sullo sfruttamento umano, sul saccheggio dello Stato, sul mancato adempimento delle responsabilità economiche e sul mancato rispetto delle leggi sociali e del lavoro. Il libertarismo anarcocapitalista ha fatto un passo avanti creando l'utopia del regno imprenditoriale privato senza Stato.

Tra i suoi grandi ispiratori c'è Friedrich Hayek (1899-1992), un antisocialista radicale del suo tempo, messo in discussione da John Maynard Keynes (1883-1946) e le cui idee, sebbene gli siano valse il "Premio della Banca di Svezia per le Scienze Economiche in memoria di Alfred Nobel" nel 1974, sono estranee alla realtà latinoamericana e sono rimaste ipotesi astratte che i Paesi capitalisti centrali non hanno ripreso e trasformato in politiche nazionali definitive. Sebbene le economie sociali europee siano state influenzate dalle idee neoliberali, non hanno smantellato del tutto gli Stati sociali; e servizi come l'istruzione, la sanità, la sicurezza sociale e le pensioni continuano a basarsi su una forte tassazione, che, al contrario, sono rifiutati dal neoliberismo latinoamericano.

Il neoliberismo e il libertarismo anarco-capitalista sono diventate ideologie che, nel XXI secolo, frenano le possibilità di sviluppo economico e impediscono qualsiasi proposito di benessere umano in America Latina. Questa realtà storica si inserisce perfettamente nella modifica delle relazioni internazionali, in cui gli Stati Uniti stanno perdendo la loro antica egemonia di fronte alla formazione di un mondo multipolare, in cui spiccano la Cina, la Russia, i BRICS e un Sud globale che non è disposto a vedere la propria sovranità sottomessa.

In questo contesto, Ecuador e Argentina sono diventati "paradigmi" delle tensioni in America Latina. In Argentina si è instaurato il primo regime anarcocapitalista libertario, guidato dall'utopia della "libertà economica" senza Stato. Dal 2017, l'Ecuador ha ripristinato l'utopia dell'"impresa privata" con uno Stato minimo, diventando un Paese storicamente stagnante, che ha riproposto il quadro del sottosviluppo e un modello di economia primaria-esportazione sotto il dominio oligarchico e un'insicurezza cittadina senza precedenti.

In entrambi i Paesi, sono privilegiate solo le imprese private delle élite che si concentrano sulla ricchezza, che accumulano ricchezza a spese dello Stato e della società. La contropartita è il deterioramento accelerato delle condizioni di vita e di lavoro della popolazione nazionale. Gli studi che spiegano questi processi provengono non solo da accademici, ma anche dalla CEPAL e da altre importanti organizzazioni internazionali, che contraddicono le ideologie dei seguaci di Hayek.


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