Per anni, i governi americani hanno insistito con i regimi arabi mediorientali per far credere che la minaccia esistenziale che incombeva su di essi era rappresentata dall’Iran e, per estensione, dall’Asse della Resistenza. Martedì, però, se qualcuno credeva ancora a questa favola, l’attacco terroristico di Israele contro il Qatar per liquidare la leadership di Hamas ha mostrato nella maniera più chiara possibile dove risiede la vera minaccia per l’intera regione. L’entità ebraica ha agito oltretutto con il totale accordo dell’amministrazione Trump, nonostante le smentite, e il gravissimo episodio potrebbe non essere un caso isolato, anche se rischia di innescare un riallineamento strategico o, quanto meno, un ripensamento delle priorità arabe non esattamente favorevole a Washington e Tel Aviv.

La prevista caduta del governo di minoranza francese del primo ministro François Bayrou all’Assemblea Nazionale lunedì aggrava una crisi politica senza ovvie soluzioni e che il presidente Macron dovrà cercare ora di risolvere nonostante un livello infimo di gradimento tra la popolazione. I francesi hanno chiarito, e nei prossimi giorni continueranno a chiarire, il loro netto rifiuto delle politiche di austerity e di riarmo che l’Eliseo e tutta la classe politica europea intendono imporre. Un debito pubblico quasi fuori controllo e le pressioni dei mercati escludono però un cambiamento più o meno radicale delle priorità economiche e sociali transalpine, quanto meno negli scenari attuali.

I bombardamenti indiscriminati di Israele su Gaza City continuano a colpire edifici residenziali e a massacrare civili in preparazione di una massiccia invasione di terra che sta per segnare una nuova e, se possibile, ancora più cruenta fase del genocidio palestinese. Avendo le mani completamente libere grazie al totale appoggio americano, il primo ministro/criminale di guerra Netanyahu non è minimamente intenzionato a rallentare lo sterminio nonostante il crescente disgusto dell’opinione pubblica internazionale e il senso di imbarazzo dei governi – in Occidente e nel mondo arabo – che continuano a sostenere il suo regime in maniera più o meno aperta. In questo quadro, il nuovo ciclo di notizie e indiscrezioni su una possibile tregua in discussione è l’ennesima manovra, orchestrata da Washington e Tel Aviv, per dare l’impressione che la diplomazia sia in qualche modo al lavoro, mentre l’obiettivo è soltanto quello di consentire la prosecuzione della strage togliendo qualche pressione alle forze del regime sionista.

Le immagini della parata militare cinese hanno ottenuto l’effetto desiderato da Xi, ovvero  dimostrare la consistenza e l’efficacia del rafforzamento militare del Dragone e, nello stesso tempo, presentare la Cina come riferimento del nuovo mondo e punto di possibili mediazioni con l’ordine globale uscente. Nessuna dichiarazione bellicosa, anzi offerte di dialogo e di ricerca di soluzioni. Ma anche nessun indietreggiare sul percorso che porta al riconoscimento pieno della leadership internazionale per la Cina e tutti i paesi emergenti.

Vista da Washington e Bruxelles, la parata allarma. La maggiore paura dell’Occidente collettivo è stato il materializzarsi di progressi militari di Pechino e della saldatura politica dell’asse strategico con Mosca. Tanta dimostrazione di forza e la reiterata alleanza strategica con la Russia ha reso chiaro che per l’Occidente la teoria di Tucidide, di colpire l’avversario prima che esso diventi troppo forte per riuscire a colpirlo, è ormai irrealizzabile.

Le discussioni attorno a una possibile soluzione diplomatica della guerra in Ucraina continuano ad avere al centro, quanto meno in Occidente, la questione delle “garanzie di sicurezza” da dare a Kiev una volta sottoscritto un cessate il fuoco o un trattato di pace vero e proprio. I leader europei assicurano di avere pronto un piano a questo scopo, che potrebbe includere il dispiegamento di un contingente militare in territorio ucraino e/o un meccanismo per fare arrivare armi in maniera regolare all’ex repubblica sovietica. Tutto il dibattito sulla questione è però basato sul nulla e nessuna delle proposte europee per garantire la sicurezza futura dell’Ucraina ha una sola possibilità di essere implementata, visto che renderebbero permanenti quelle cause alla base del conflitto che la Russia non intende evidentemente accettare dopo tre anni e mezzo di guerra.


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