Dazi al 10% per gli europei che esportano negli USA ma esenzione dei dazi europei per le aziende strategiche statunitensi che operano in Europa. Questa asimmetria dai contorni kafkiani è la prima parte del nuovo modello di relazioni bilaterali USA-UE confermato anche dall’accordo raggiunto tra i paesi aderenti alla NATO sulla proposta USA di portare al 5% del PIL la spesa militare, con la lodevole eccezione della Spagna che ha ribadito come il 2,1 sia il massimo del suo contributo come da accordi precedenti. La nuova dimensione bilaterale tra USA e UE è una vittoria di Trump ed una nuova vergogna europea, che certifica come di fronte ai desideri del feudatario, vassalli, valvassini e valvassori pieghino testa, ragioni e dignità.

La vittoria a sorpresa di Zohran Mamdani nelle primarie del Partito Democratico per le elezioni del prossimo novembre alla carica di sindaco di New York ha mandato letteralmente in fibrillazione l’establishment politico americano sia a destra sia a (centro-)sinistra. Il 33enne di fede musulmana e nato in Uganda da genitori di origine indiana – la madre è la nota regista Mira Nair – ha stravolto le gerarchie democratiche nella città che è il simbolo stesso del turbo-capitalismo USA grazie a un programma orientato verso i bisogni di lavoratori e classe media o, secondo la caratterizzazione proposta dai suoi oppositori, “socialista”. Il successo di Mamdani porta alla luce, in un sistema dominato da una ristretta oligarchia, questioni potenzialmente esplosive, che però tutta la classe dirigente americana intende soffocare il prima possibile, così da garantire che, per quante spinte in direzione progressista o addirittura “rivoluzionarie” esistano nella società, anche le elezioni che decideranno il prossimo primo cittadino di New York continuino a rimanere un innocuo esercizio politico.

La guerra illegale di Israele e Stati Uniti contro l’Iran non ha risolto nessuno dei “problemi” alla base dell’aggressione, ma ha se possibile aggravato le preoccupazioni dei due alleati relativamente ai rapporti di forza in Medio Oriente. La resistenza e la controffensiva della Repubblica Islamica hanno infatti rovesciato la narrativa sionista e occidentale degli ultimi venti mesi, che voleva Israele padrone praticamente assoluto dei destini della regione, soprattutto dopo il crollo del governo di Assad in Siria e l’indebolimento di Hezbollah in Libano. Inebriato da questi “successi”, il premier/criminale di guerra Netanyahu riteneva di applicare la stessa formula all’Iran, ma, una volta retta l’onda d’urto iniziale e nonostante le gravi perdite subite, Teheran ha di fatto messo alle corde lo stato ebraico, costringendolo precocemente a implorare l’intervento dell’alleato americano.

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha confezionato questa settimana un altro regalo per l’amministrazione Trump nell’implementazione del programma ultra-reazionario diretto contro gli immigrati. I sei giudici di estrema destra che ne compongono la maggioranza hanno infatti annullato l’ingiunzione di un tribunale federale che aveva congelato le espulsioni forzate di migranti condannati per qualche reato verso paesi “terzi”, cioè con cui non hanno nessun legame, anche se in stato di guerra o in condizioni di estrema precarietà economica e sociale.

Dopo meno di 48 ore dal bombardamento illegale americano di tre siti nucleari iraniani, la Repubblica Islamica ha lanciato un attacco contro la più importante base militare USA in Medio Orienta, quella di Al Udeid in Qatar. La struttura era già stata evacuata e Teheran aveva avvisato in anticipo dell’operazione sia Doha sia Washington. La situazione resta estremamente fluida e ancora non si è dissolta la “nebbia della guerra” sui contorni dell’operazione ordinata da Donald Trump nelle prime ore di domenica. Quel che appare certo è che il successo “spettacolare” annunciato da quest’ultimo, sia in termini materiali sia dal punto di vista geo-strategico, resta una fantasia, mentre sarà sempre più complicato per la Casa Bianca sganciarsi dall’abbraccio mortale di Netanyahu. La palla passa ora nel campo americano, con l’amministrazione repubblicana e il regime sionista che dovranno valutare molto attentamente quali obiettivi intendono realmente raggiungere, calcolare fino a che punto saranno disposti a destabilizzare il Medio Oriente e rischiare un allargamento del conflitto, ma soprattutto quale prezzo pagare per le proprie scelte.


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