Per molti paesi europei, la guerra in Ucraina è stata un’occasione unica per rimodernare e rafforzare il proprio arsenale bellico con la scusa di sostenere militarmente un paese aggredito senza nessuna ragione valida. Ufficialmente, i vari governi alleati di Kiev hanno in larga misura fornito al regime di Zelensky armi ed equipaggiamenti – spesso obsoleti – che conservavano nei propri depositi. In cambio, l’UE ha permesso di attingere al fondo dal nome orwelliano di “Strumento Europeo per la Pace” (“European Peace Facility” o EPF) per ottenere i relativi rimborsi in denaro. Dopo oltre un anno dall’inizio del conflitto, questa settimana è emerso che alcuni paesi avrebbero approfittato di questo meccanismo, presentando un conto più salato di quello sostenuto a favore dell’Ucraina, così da ottenere le risorse necessarie ad acquistare armi nuove di zecca.

La sospensione momentanea della proposta di legge sul sistema giudiziario israeliano, decisa dal primo ministro Netanyahu, ha per il momento raffreddato le tensioni nello stato ebraico dopo che le proteste del fine settimana e nella giornata di lunedì sembravano sul punto di sfuggire di mano al governo e alle forze di sicurezza. Il passo indietro appare tuttavia una pausa tattica nel tentativo di indebolire l’opposizione contro una “riforma” che in molti hanno bollato come un vero e proprio golpe da parte del gabinetto più reazionario della storia di Israele.

Le pressioni su Netanyahu erano diventate enormi dopo settimane di manifestazioni oceaniche e la presa di posizione contro la nuova legge da parte sia dei militari e del business israeliani sia degli alleati occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti. Lo stesso premier aveva avvertito che la situazione interna era ormai “sull’orlo della guerra civile”, resa poi ancora più grave nei giorni scorsi da una raffica di scioperi che hanno paralizzato parecchi settori dell’economia di Israele.

Milioni di lavoratori francesi sono nuovamente scesi in piazza per continuare a lottare contro la “riforma” delle pensioni imposta dal presidente Macron senza un voto del parlamento. In varie città si sono svolte manifestazioni accolte nuovamente dalla violenza delle forze di sicurezza. Nella giornata di giovedì, alcuni settori cruciali come quello dei trasporti hanno indetto scioperi che hanno causato pesanti disagi in tutto il paese. Le tensioni sono andate alle stelle dopo l’apparizione televisiva di Macron nel primo pomeriggio di mercoledì. L’intervento, che nelle intenzioni avrebbe dovuto contribuire a calmare gli animi, si è risolto invece in una difesa a oltranza della “riforma”, nonostante l’opposizione della grandissima maggioranza dei francesi, e nella sostanziale liquidazione dei principi democratici in nome dei grandi interessi economico-finanziari a cui fa esclusivo riferimento l’inquilino dell’Eliseo.

L’ex presidente americano Trump potrebbe diventare questa settimana il primo ex inquilino della Casa Bianca a essere incriminato formalmente, se non addirittura a finire agli arresti. Il procuratore distrettuale di Manhattan, Alvin Bragg, starebbe infatti per ufficializzare le accuse nell’ambito di un’indagine che sembrava a tutti gli effetti archiviata alcuni anni fa. I fatti non si riferiscono né all’assalto all’edificio del Congresso del gennaio 2021 né ai vari reati finanziari che Trump potrebbe avere commesso in veste di imprenditore. Il caso in questione riguarda invece il pagamento di una consistente somma di denaro per nascondere la notizia di una sua avventura extraconiugale con la pornostar Stormy Daniels (vero nome Stephanie Gregory Clifford).

La grande stratega internazionale Giorgia Meloni, passata dal retrobottega della scarsamente prestigiosa sede del Movimento sociale italiano – Destra nazionale della Garbatella a dirigere il governo italiano, ha parlato: “Non sono mature le condizioni della pace”. Di conseguenza Giorgia ci esorta a continuare la guerra e a intensificare le forniture di armi verso l’Ucraina che si spera possa lanciare una controffensiva vincente. E’ del tutto casuale che tale presa di posizione corrisponda al cento per cento a quella assunta ieri dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che ha respinto la proposta cinese di mediazione.


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