La tregua a Gaza sembra essere ormai sull’orlo del collasso. Hamas ha annunciato la sospensione della liberazione dei prossimi ostaggi, un passo che compromette seriamente l'implementazione degli accordi di cessate il fuoco. Questa decisione è motivata dalle reiterate violazioni dell’accordo da parte di Israele, che continua a condurre operazioni militari e bloccare l’ingresso di forniture essenziali. Tra le infrazioni documentate, si segnalano l’uso quotidiano di droni da ricognizione, l’uccisione di decine di civili e ostacoli sistematici all’ingresso di materiali di soccorso, inclusi medicinali e attrezzature per la rimozione delle macerie. A peggiorare la situazione, Israele continua a ritardare il ritorno dei palestinesi sfollati nel nord della striscia, violando uno degli impegni centrali della tregua.

Questa escalation arriva dopo l’ennesima dimostrazione di arroganza politica da parte degli Stati Uniti. Durante un’intervista, Donald Trump ha ribadito il suo progetto di spopolare Gaza e trasformarla in una sorta di proprietà personale, descrivendola come "un’opportunità immobiliare per il futuro". Le dichiarazioni dell'ex presidente delineano un piano criminale di pulizia etnica, che include il trasferimento permanente dei palestinesi verso paesi terzi come Giordania ed Egitto, minacciando sanzioni contro chiunque non collabori.

La sigla non lasciava dubbi, USAID è sempre stata sinonimo di aiuti umanitari statunitensi. Ma, come denunciato da decenni, la bugia cominciava proprio dalla sigla e si estendeva a opere e uomini della struttura USA, nata nel 1961, durante il governo John F. Kennedy nel bel mezzo della Guerra Fredda, e il cui compito era quello di contenere l’influenza sovietica nel mondo.

A Teheran si potrà anche continuare ad urlare “Morte all’America”, ma lo slogan dei fondamentalisti iraniani non cambia la realtà: gli Stati Uniti, nonostante la crisi, continuano a imporre la loro influenza globale. Con Trump di nuovo alla Casa Bianca, l'Iran deve scegliere tra resistenza e compromesso.

Le prime dichiarazioni del nuovo mandatario, rivolte a paesi come Canada, Messico, Danimarca e Panama, dimostrano che Washington si vede obbligata a un’espansione continua per mantenere il proprio dominio. Lo slogan "Make America Great Again" non è altro che un’ammissione del declino americano e l’illusione di poterlo invertire con nuove strategie di controllo e subordinazione degli alleati.

Il ritorno di Trump alla Casa Bianca e l’insostenibilità della posizione del Regno Unito di fronte al diritto internazionale stanno mettendo in seria crisi il governo laburista del primo ministro, Keir Starmer, sulla questione del ritorno delle isole Chagos sotto la sovranità delle Mauritius. Lo scorso ottobre, Londra aveva trovato un accordo per conformarsi, quanto meno parzialmente, a un parere della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) del 2019 e a una successiva risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ma l’opposizione più o meno esplicita di Washington minaccia di sabotare quello che dovrebbe essere un passo dovuto, anche se tardivo, nel processo di decolonizzazione dell’ex impero britannico. Tutto ruota attorno al controllo della base militare congiunta britannico-americana sull’isola di Diego Garcia, parte appunto dell’arcipelago dell’oceano Indiano, considerata cruciale per la proiezione degli interessi strategici dei due alleati nel continente asiatico.

Il ritorno alle politiche di ostilità e alle sanzioni unilaterali contro l’Iran da parte della nuova amministrazione Trump a prima vista smentisce precocemente quegli osservatori che ipotizzavano un possibile allentamento delle tensioni tra Washington e Teheran alla luce della volontà del presidente repubblicano di evitare di imbrigliare gli Stati Uniti in un’altra guerra impossibile da vincere. Il decreto firmato da Trump martedì, che rispolvera le politiche di “massima pressione” nei confronti della Repubblica Islamica, se anche nella sostanza cambia di poco gli scenari visti durante il mandato di Joe Biden, sembra infatti contraddire una delle promesse centrali della sua campagna elettorale.


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