Lo scioccante bombardamento del palazzo presidenziale e di altri edifici governativi siriani da parte di Israele nella giornata di mercoledì ha dimostrato ancora una volta come non sia possibile intrattenere rapporti paritari con lo stato ebraico, il quale, per sua natura, comprende e accetta soltanto la dipendenza, quando a essa è collegata la sua stessa esistenza, ed è il caso delle relazioni con gli Stati Uniti, o la sottomissione, a cui cerca invece di sottoporre virtualmente tutti gli altri paesi. Il nuovo regime (ex) qaedista al potere a Damasco aveva infatti obbedito agli ordini di Washington per aprire un processo di normalizzazione dei rapporti con Tel Aviv, ma questa disponibilità non lo ha risparmiato dalla violenza sionista.

La presentazione del bilancio pubblico per l’anno 2026 del primo ministro, François Bayrou, ha dato un’anticipazione piuttosto chiara delle misure drastiche di riduzione della spesa sociale che attendono non solo la Francia, ma anche molti degli altri paesi europei che hanno abbracciato con entusiasmo insensato le politiche ultra-dispendiose di riarmo per far fronte alla minaccia-fantasma russa. La brutale intensificazione dell’austerity prevista dal governo del presidente Macron è anche la conseguenza di un debito pubblico esploso in seguito alle crisi economiche degli ultimi due decenni, che hanno richiesto pesanti interventi di salvataggio per banche e imprese, e alla costante riduzione della pressione fiscale per le grandi società transalpine. Il costo del crescente buco di bilancio venutosi così a creare, in Francia come altrove, verrà fatto pagare come sempre a lavoratori, pensionati e classe media.

L’aggressione di Stati Uniti e Israele dello scorso mese di giugno contro l’Iran e il sostanziale appoggio dato alla guerra dai governi europei hanno reso ancora più improbabile una già complicata soluzione diplomatica all’annosa questione del nucleare della Repubblica Islamica. Gli eventi delle ultime settimane e l’attitudine generale dell’Occidente hanno però dato anche un colpo forse letale al sistema internazionale di controllo e regolamentazione in ambito nucleare. Un ordine diventato più che precario e che potrebbe crollare definitivamente se i tre governi europei coinvolti nell’accordo di Vienna del 2015 (JCPOA) dovessero decidere di far scattare un meccanismo previsto da quest’ultimo per reintrodurre le sanzioni internazionali contro Teheran, sospese appunto un decennio fa.

La stampa ufficiale negli Stati Uniti e in Europa sta favorendo e preparando accuratamente il cambiamento di rotta forse definitivo di Donald Trump sull’approccio alla guerra in Ucraina e sulla natura dei rapporti tra Washington e Mosca. L’esaurimento della pazienza del presidente americano nei confronti di Putin sarebbe determinato, secondo questa versione, dall’ostinazione del capo del Cremlino nel respingere tutte le – ragionevoli – proposte della Casa Bianca per arrivare a una tregua temporanea. Vista l’intrattabilità del presidente russo, presumibilmente determinato a conquistare tutta l’Ucraina e l’intera Europa, a Trump non resterebbe che tornare all’unica opzione possibile, quella della guerra “fino all’ultimo ucraino” già perseguita dal suo predecessore. La metamorfosi di Trump è stata ratificata lunedì con un doppio annuncio dalla Casa Bianca, uno appunto sulla vendita di armi a Kiev e l’altro che consiste nell’immancabile “ultimatum”, indirizzato in questa occasione al Cremlino.

Durante il diciassettesimo incontro annuale dei BRICS, recentemente celebratosi a Rio de Janeiro, i leader del blocco hanno proposto di avanzare nella creazione di un nuovo sistema di transazioni finanziarie nell’ambito dell’Iniziativa dei Pagamenti Transfrontalieri dei BRICS, con l’obiettivo di facilitare transazioni più accessibili, rapide e sicure tra i Paesi membri.


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