Come accade puntualmente ad ogni iniziativa di paesi o entità rivali, la propaganda occidentale e, nel caso del Medio Oriente, dello stato ebraico si è subito scatenata anche dopo l’attacco missilistico iraniano di martedì sera contro Israele. La falsificazione della realtà di questa operazione e del contesto in cui è avvenuta è fondamentale per tenere in piedi quel poco che resta della credibilità di Netanyahu e del suo regime genocida agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, ma anche per giustificare un’eventuale ritorsione che Tel Aviv ha peraltro già minacciato. Il massiccio lancio di missili da parte di Teheran è stato tuttavia legittimo alla luce dei numerosi atti di terrorismo di Israele e, oltretutto, è stato deciso solo dopo che la leadership della Repubblica Islamica aveva evidenziato una pazienza strategica decisamente sproporzionata rispetto alle provocazioni subite in questi mesi.

Con 88 voti a favore, 13 contrari e 20 astensioni, l'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa ha ritenuto ieri che il giornalista e fondatore di WikiLeaks Julian Assange sia un prigioniero politico. “L'Assemblea ritiene che le accuse sproporzionatamente gravi mosse dagli Stati Uniti contro Julian Assange ai sensi della legge sullo spionaggio, che lo espongono di fatto al rischio di ergastolo, (...) giustifichino la designazione di Assange come prigioniero politico”, si legge nel testo della risoluzione adottata dall'organismo.

Il testo della risoluzione denuncia gli Stati Uniti per l'uso improprio della legge sullo spionaggio del 1917 e chiede alle autorità del Paese di modificarla immediatamente in modo che “non venga applicata contro editori, giornalisti e informatori”, ma contro “l'intento doloso di danneggiare la sicurezza nazionale” dello Stato.

Shigeru Ishiba, nuovo leader del Partito Liberal Democratico (LDP), è stato eletto oggi primo ministro del Giappone, subentrando a Fumio Kishida. Ishiba, figura di lunga esperienza politica e già più volte ministro della Difesa, eredita un paese alle prese con complicate sfide economiche interne e una complessa rete di equilibri internazionali, soprattutto nella regione “Asia-Pacifico”. La sua nomina segna un mix di continuità e potenziali cambiamenti, con un particolare occhio di riguardo per la politica estera e le relazioni con gli Stati Uniti.

Per la seconda volta quest’anno, la Repubblica Islamica ha mostrato la fragilità di Israele lanciando centinaia di missili sul territorio dello stato ebraico nella serata di martedì. L’attacco è la risposta all’assassinio di venerdì scorso del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e del comandante dei Guardiani della Rivoluzione, generale Abbas Nilforoushan,nonché di quello dello scorso mese di luglio del capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Questa operazione apre scenari imprevedibili in Medio Oriente, ma per il momento interrompe bruscamente l’ubriacatura sionista dopo i recenti atti di terrorismo in Libano e l’inizio dell’invasione di terra nel “paese dei cedri” che sembravano avere assestato un colpo quasi letale all’asse della resistenza.

Le operazioni militari degli ultimi giorni di Israele in Libano hanno decapitato una parte della leadership di Hezbollah e assestato un colpo gravissimo alla coesione e alle capacità organizzative del “Partito di Dio”. Le potenzialità offensive di Hezbollah restano tuttavia per lo più intatte e, al di là della propaganda sionista e dell’ostentazione di forza del regime terroristico di Netanyahu, gli obiettivi della guerra nel “paese dei cedri”, così come a Gaza, restano lontani dall’essere raggiunti. Se i tempi di risposta di Hezbollah saranno tutti da verificare dopo gli ultimi eventi, sono in pochi a credere che lo stato ebraico possa sottomettere con la sola violenza i propri nemici e stabilizzare a proprio favore gli scenari della regione.


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