La Georgia è al centro di una nuova ondata di proteste e tensioni politiche dopo la decisione del governo di sospendere le trattative per l'adesione all'Unione Europea fino al 2028. La scelta, comunicata lo scorso 28 novembre, ha scatenato violente manifestazioni nella capitale Tbilisi e in altre città. Gruppi di manifestanti, prevalentemente studenti e giovani, hanno eretto barricate e affrontato le forze dell’ordine con molotov e fuochi d’artificio. La polizia ha risposto con arresti massicci e misure di sicurezza rafforzate. A peggiorare la situazione, la presidente Salomé Zourabishvili ha fatto un appello controverso affinché anche i minori si uniscano alle proteste, mossa vista come un tentativo disperato di ampliare la base dei manifestanti.

La controffensiva delle forze governative siriane dopo l’avanzata a sorpresa nei giorni scorsi dei terroristi di Hayat Tahrir al-Sham (HTS ed ex Fronte al-Nusra) e dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA) sembra guadagnare consistenza in questo inizio di settimana grazie al supporto di Russia e Iran. In attesa di rinforzi di terra inviati da Damasco, le forze aeree russe e siriane stanno prendendo di mira postazioni e convogli dei “ribelli” nelle aree rurali della parte meridionale della provincia di Idlib e a ovest di Aleppo. L’intera vicenda ha tutti i connotati di una nuova operazione studiata dagli sponsor più o meno ufficiali delle formazioni jihadiste attive in Siria, con l’obiettivo di destabilizzare questo paese e, sia pure con sfumature diverse, favorire gli interessi strategici di Stati Uniti, Turchia e Israele.

Non si è ancora insediato alla Casa Bianca ma Donald Trump ogni giorno comunica e nomina decisioni, mosse e ministri del suo prossimo gabinetto presidenziale. In questi ultimi giorni sono state fatte filtrare le possibili decisioni in merito a dazi doganali e sanzioni contro Cina, Messico, Canada e UE. Trump dice di voler imporre una tassa del 25% su tutti i prodotti che entrano da Canada e Messico e un'ulteriore tariffa del 10 per cento sulle merci provenienti dalla Cina. L’impatto per l’economia statunitense sarebbe importante, visto che gli USA sono il più grande importatore di beni al mondo, con Messico, Cina e Canada come primi tre fornitori. E se per l’Europa i dazi generali potrebbero oscillare tra il 10% al 20%, per Pechino si ipotizzano dazi fino al 60%.

L’Unione Europea si prepara a siglare il controverso trattato di libero scambio con il blocco sudamericano del Mercosur, un progetto negoziato per oltre due decenni e ora più vicino che mai alla ratifica. Nonostante l’opposizione di paesi come Francia e Polonia, il trattato rappresenta una priorità strategica per Bruxelles, decisa a contenere l’influenza cinese in America Latina e a rilanciare la propria economia, gravata da crisi interne in larga misura auto-inflitte. Le conseguenze rischiano di essere tuttavia devastanti per settori chiave come l’agricoltura europea e per l’ambiente globale.

Se l’accordo per un cessate il fuoco più o meno stabile tra Israele e Hezbollah in Libano è stato accolto quasi universalmente con favore, vista la violenza scatenata dal regime di Netanyahu negli ultimi due mesi, le garanzie che la pace sia duratura lungo il confine nord dello stato ebraico restano al momento piuttosto esili. Il premier israeliano e l’amministrazione Biden hanno fatto di tutto per vendere la tregua come un successo indiscutibile di Tel Aviv. La realtà dei fatti presenta tuttavia uno scenario molto diverso. Il genocidio palestinese a Gaza, quanto meno nell’immediato, non sarà influenzato dagli eventi libanesi, ma la fine concordata delle ostilità nel “paese dei cedri” avviene indiscutibilmente senza che nessuno dei principali obiettivi prefissati da Netanyahu all’inizio dell’invasione sia stato raggiunto.


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