La Cina "è pronta con la Russia a sostenere con determinazione il sistema internazionale incentrato sulle Nazioni Unite, a sostenere l'ordine mondiale basato sul diritto internazionale e le norme fondamentali delle relazioni internazionali basate sugli scopi e sui principi della Carta delle Nazioni Unite, a sostenere un autentico multilateralismo, a promuovere il multipolarismo nel mondo e a democratizzare le relazioni internazionali, nonché a promuovere lo sviluppo della governance globale in una direzione più giusta e razionale".

Con queste parole il Presidente cinese Xi Jinping ha iniziato la sua visita in Russia, che rilancia l’alleanza militare e politica tra i due Paesi e invia un segnale preciso alla Casa Bianca, impegnata nell’alzare la temperatura del termometro globale. Inoltre ripropone il ruolo di mediazione di Pechino nel conflitto tra Nato e Russia via Ucraina ed offre il suo ombrello economico e commerciale alla Russia che, da parte sua, non ha mai risentito particolarmente dell’isolamento occidentale. Già nel 2022 l'interscambio è salito del 34%, a un valore di 190 miliardi di dollari, soprattutto grazie al gas e al petrolio acquistati da Pechino a prezzo di favore.

Mentre a Pechino il governo cinese promuoveva la riconciliazione tra Iran e Arabia Saudita, l’amministrazione Biden e due dei più stretti alleati degli Stati Uniti si apprestavano a dar vita a un vertice in una base militare in California per annunciare ufficialmente i nuovi preparativi di guerra in Asia orientale. L’incontro di lunedì a San Diego ha visto la partecipazione dei primi ministri di Gran Bretagna e Australia – Rishi Sunak e Anthony Albanese – nel quadro del cosiddetto “AUKUS”, il patto di natura prettamente militare sottoscritto dai tre paesi nel 2021. Al centro dell’evento c’è stata la presentazione del piano senza precedenti per mettere a disposizione dell’Australia un numero imprecisato di sottomarini da guerra a propulsione nucleare, in previsione di un conflitto diretto con Pechino nel prossimo futuro.

La Georgia è nuovamente sotto i riflettori. Questa volta per una legge annunciata e successivamente ritirata. Non perché non fosse legittima, financo necessaria, ma per abbassare la tensione di piazza generata dalla mobilitazione dell’opposizione finanziata da Washington e Bruxelles che ha tentato - per ora inutilmente - la spallata al governo.

Il quale, se cercava una conferma all’esistenza di un piano sovversivo per abbatterlo e consegnare la Georgia alle mani occidentali, l’ha trovata. Nitida nella sua evidenza e chiara nei suoi contorni, interni ed internazionali. Quello recitato a Tbilisi è in larga misura il consueto copione delle “rivoluzioni colorate” promosse dall’Occidente, peraltro già sperimentato in Georgia nel 2003.

Le pressioni occidentali attraverso le proteste violente dell’opposizione georgiana hanno alla fine convinto il governo di Tbilisi e la maggioranza parlamentare del paese caucasico a ritirare il discusso disegno di legge sulla “registrazione degli agenti stranieri”. La notizia è stata annunciata giovedì dopo che nei due giorni precedenti si era scatenato il caos nella capitale dell’ex repubblica sovietica, incluso un tentativo di assalto all’edificio che ospita il Parlamento. Il ritiro della proposta potrebbe essere solo momentaneo, ma rappresenta comunque una sconfitta per il partito di governo “Sogno Georgiano”, i cui sforzi per evitare il coinvolgimento del paese nel conflitto tra Russia e Ucraina (NATO) sono sempre più sotto attacco delle forze politiche filo-occidentali.

La macchina della propaganda americana sembra essersi messa in movimento questa settimana per confondere le acque in merito al sabotaggio dei gasdotti Nord Stream (1 e 2) sul fondo del Mar Baltico a fine settembre 2022. L’offensiva mediatica punta a screditare la tesi proposta dalla rivelazione di Seymour Hersh di inizio febbraio, che attribuiva la responsabilità dell’esplosione direttamente alla Casa Bianca. Il New York Times ha aperto la campagna di disinformazione martedì con la pubblicazione di una “esclusiva” nella quale vengono citati i soliti anonimi funzionari governativi per spiegare che l’operazione sarebbe stata condotta da un non meglio definito “gruppo filo-ucraino” non collegato al regime di Zelensky.


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