Tra le iniziative che la nuova amministrazione repubblicana aveva promesso per ripulire l’apparato di potere burocratico dentro il governo americano, altrimenti noto come “Deep State”, c’era e sembra esserci ancora l’impegno a rendere pubblici tutti i documenti ancora riservati del caso Jeffrey Epstein. Il primo tentativo, annunciato dal ministro della Giustizia (“Attorney General”), Pam Bondi, si è risolto però nei giorni scorsi in un completo fallimento. Il materiale pubblicato non ha aggiunto nulla di nuovo a quanto già si sapeva sui contatti ad altissimo livello del defunto finanziere di New York. Da allora, ci sono stati ulteriori sviluppi che, secondo il dipartimento di Giustizia, dovrebbero finalmente avvicinare la rivelazione dei “segreti” di Epstein.

La vicenda politico-militare ucraina è estremamente complessa. Oltre a rappresentare la fine di una strategia della NATO lunga 30 anni - che vedeva la Russia come nemico, il circondarla come tattica militare e sconfiggerla come obiettivo politico - la conclusione di questa ennesima avventura a perdere del capitalismo liberista messianico porta con sé problemi di natura non semplice.

Il futuro immediato di Gaza e della tregua firmata lo scorso 15 gennaio continua a rimanere avvolto nell’incertezza per via delle manovre del regime di Netanyahu e della doppiezza dell’amministrazione Trump. Il presidente americano ha recentemente respinto il piano alternativo per la ricostruzione della striscia, presentato dall’Egitto e dalla Lega Araba, e lanciato un nuovo feroce ultimatum a Hamas per il rilascio dei rimanenti prigionieri israeliani. Dall’altro lato, però, mercoledì è circolata la notizia di trattative dirette tra gli inviati della Casa Bianca e il movimento di liberazione palestinese che controlla Gaza. Quello in atto sembra essere un gioco di equilibrismi tra il sostegno ai progetti coloniali e genocidi dello stato ebraico e gli sforzi per evitare che la regione esploda in un conflitto generalizzato.

Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha rivelato martedì che il governo russo si è proposto di mediare un eventuale negoziato diplomatico tra gli Stati Uniti e l’Iran per raggiungere un accordo sull’annosa questione del nucleare di Teheran. L’offerta sarebbe stata discussa a margine del vertice tra gli inviati di Trump e Putin a Riyadh lo scorso mese di febbraio, dopo che i due presidenti avevano toccato l’argomento nella telefonata che aveva preceduto l’evento. L’interesse della nuova amministrazione repubblicana per una possibile intesa con la Repubblica Islamica non è una sorpresa, ma lo stesso Trump continua a tenere un atteggiamento a dir poco ambiguo sull’argomento, mentre dal lato pratico sembra assecondare le solite fallimentari politiche della “massima pressione” promosse dai falchi “neo-con” e dal regime sionista di Netanyahu.

La svolta drastica impressa dalla nuova amministrazione americana alla crisi ucraina continua a generare gravi tensioni nei rapporti transatlantici, con la Casa Bianca sempre più decisa a ridisegnare gli equilibri geo-politici degli ultimi decenni e l’Europa, stordita e priva di una reale leadership, alle prese con la nuova realtà con cui dovrà prima o poi fare i conti. Dopo il clamoroso scontro in diretta TV allo Studio Ovale tra Trump e Zelensky della scorsa settimana, il presidente repubblicano ha annunciato la sospensione immediata di tutti gli aiuti economici e militari diretti all’Ucraina. Decisione che ha con ogni probabilità accelerato l’annuncio di martedì della Commissione Europea sul lancio di un programma di prestiti per favorire il processo di riarmo dei paesi membri, ufficialmente per far fronte a una inesistente minaccia russa.


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