I malumori europei per l’andamento del conflitto in Ucraina e le sue conseguenze economiche stanno venendo a galla in modo sempre più esplicito, mettendo in mostra tensioni e divisioni che attraversano un fronte NATO in rapido sfaldamento. Il tentativo americano di accorciare il guinzaglio degli alleati europei per mezzo della guerra e della demonizzazione della Russia sembrava poter dare all’inizio i frutti sperati da Washington, ma il protrarsi delle operazioni militari, la resistenza di Mosca e il tracollo imminente del regime di Zelensky hanno fatto esplodere le contraddizioni di un piano destabilizzante da cui l’Europa non ha semplicemente nulla da guadagnare.

Anche sulla stampa ufficiale circolano commenti e citazioni di fonti governative europee che ruotano attorno alla questione dei vantaggi derivanti dalla crisi russo-ucraina. Per l’Europa sembrano cioè essercene pochi o nessuno al netto della propaganda sull’impegno per la difesa della democrazia in Ucraina contro l’aggressione russa. Al contrario, se vantaggi ci sono in relazione alla guerra in corso, è chiaro a chiunque che a raccoglierli è soltanto Washington, quanto meno sul piano strategico o dei profitti dell’industria militare.

Con 494 voti favorevoli, 58 contrari e 44 astensioni, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione con la quale indica la Russia come “Stato sponsor del terrorismo per le atrocità commesse dal regime di Vladimir Putin contro il popolo ucraino". Lo ha fatto nelle stesse ore in cui Ankara bombardava i curdi, Tel Aviv i palestinesi e Ryad gli yemeniti, ovvero quelli colpiti dalle “bombe democratiche”. La risoluzione, che celebra Zelensky, veniva votata mentre a Mosca, in compagnia del presidente cubano Diaz Canel, Putin omaggiava la nuova statua di Fidel Castro, gigantesco statista del XX secolo. Ognuno ha i suoi riferimenti.

La risoluzione è solo un segnale politico, non comporta nessuna conseguenza, non é vincolante per la UE in quanto istituzione come per nessuno dei singoli paesi membri. Formalmente, infatti, "l'Ue non può attualmente dichiarare gli Stati come sponsor del terrorismo in modo ufficiale", spiega in una nota lo stesso Parlamento europeo.

La nuova operazione militare inaugurata dalla Turchia contro le milizie curde in Siria e in Iraq ha messo nuovamente in luce il precario stato delle relazioni all’interno della NATO e, in particolare, tra il governo di Ankara e gli Stati Uniti. Da Washington è arrivata comunque una mezza approvazione dei bombardamenti ordinati da Erdogan, mentre la Russia ha invitato quest’ultimo alla moderazione, sia pure concedendo alla Turchia l’uso dello spazio aereo nel nord della Siria, che Mosca controlla di fatto. Dietro all’atteggiamento cauto dell’amministrazione Biden si nascondono appunto tensioni che durano ormai da anni e sono strettamente collegate alla crisi interna al Patto Atlantico, sempre più visibile anche negli sviluppi della crisi ucraina.

Durante la campagna per le presidenziali del 2020, l’allora candidato Joe Biden aveva promesso agli americani di fare dell’Arabia Saudita e del suo leader di fatto, il principe ereditario Mohammed bin Salman (MBS), dei veri e propri “paria” sulla scena internazionale. La minaccia, virtualmente senza precedenti contro un esponente di massimo livello della casa regnante a Riyadh, derivava dall’assassinio del giornalista-dissidente, Jamal Khashoggi, fatto a pezzi nel consolato saudita di Istanbul nell’ottobre 2018. A quattro anni di distanza, l’amministrazione Biden ha ora assicurato l’immunità formale a MBS, il quale non avrà quindi nulla da temere per la causa legale in corso nei suoi confronti in un tribunale degli Stati Uniti.

Una operazione di false flag, di “disinformazione attiva” come sarebbe giusto chiamarla. Questa è la genesi e la storia della provocazione messa in opera da Kiev con il missile in territorio polacco. Contando sulla complicità polacca (venuta meno su ordine USA) è stata un’operazione grossolana di un governo che sa di poter spacciare la sua propaganda come verità assoluta, approfittando della censura ai media russi e dell’accondiscendenza dell’Occidente, che ha completamente rovesciato la verità storica, militare e politica che fa da sfondo all’operazione russa in Ucraina.

I rilievi satellitari statunitensi e russi sono stati subito in grado di rilevare la falsità affermate da Kiev e Zelensky ha tentato una penosa marcia indietro parlando di “tragico incidente”, ma non c’è stato nessun errore: gli ucraini hanno lanciato un missile in Polonia tentando di innescare i meccanismi previsti dall’articolo 4 e 5 del Trattato Atlantico, che prevedono rispettivamente la convocazione del Consiglio Atlantico su richiesta di uno stato membro (art. 4) e l’immediata risposta militare da parte di tutti a sostegno del membro dell’Alleanza sotto attacco (art.5).

A sbugiardare Kiev e a scoprirne l’intenzionalità di colpire il territorio polacco non ci voleva molto: bastavano un esperto di balistica e uno di buon senso. Il primo avrebbe dimostrato che, vista l’inesistenza di missili con traiettoria boomerang, il missile esploso in Polonia, appartenente alle forze armate ucraine, per quanto di tecnologia superata e imprecisa, avrebbe potuto mancare il bersaglio ma non invertire completamente la rotta. Dunque non era stato indirizzato verso le posizioni russe a sud-est, bensì e volutamente verso il territorio polacco a nord-ovest.


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