Il 24 marzo 2016 la Corte Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia nel totale silenzio mediatico, ha scagionato Slobodan Milosevic dalle responsabilità per i crimini di guerra della guerra serbo-bosniaca 1992-1995.Inizio modulo Erano passati dieci anni dal 15 marzo 2006, quando a Belgrado, davanti a 50.000 persone, si celebrava il funerale di Slobodan Milosevic, l’ex-leader della Serbia che fu al potere nel decennio del sanguinoso tracollo della Jugoslavia. Dieci anni fa i suoi fedelissimi in strada gridavano il loro atto di accusa contro il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, gli USA e l’Occidente imperialista che per anni definirono Milosevic il “macellaio dei Balcani”. 

Le circostanze senza precedenti che stanno agitando il panorama politico dell’America sembrano andare di passo con l’intensificarsi della crisi che attraversa la sua classe politica e un sistema che di democratico non ha quasi più nemmeno l’apparenza. Un’altra tappa di questa parabola discendente è la sentenza di martedì della Corte Suprema del Colorado che ha escluso l’ex presidente Trump dalle elezioni primarie del Partito Repubblicano in questo stato, programmate per il 5 marzo prossimo.

Il tribunale ha ribaltato un verdetto di un giudice distrettuale sulle responsabilità di Trump nell’attacco al Congresso del 6 gennaio 2021, basandosi su un’interpretazione differente del contenuto ambiguo della Sezione 3 del 14esimo Emendamento alla Costituzione americana. Questo dispositivo, risalente al periodo successivo alla Guerra Civile, vieta a coloro che hanno complottato per il rovesciamento del governo di assumere cariche pubbliche.

Il governo americano continua a ostentare preoccupazione per l’andamento della guerra genocida di Israele a Gaza, sostenendo di adoperarsi per cercare una de-escalation della crisi e convincere il regime di Netanyahu a ridurre i bombardamenti indiscriminati che stanno facendo strage di civili palestinesi. Nel concreto, tuttavia, l’appoggio dell’amministrazione Biden allo stato ebraico resta fermissimo e si è addirittura concretizzato questa settimana nella creazione di una “task force” navale per contrastare la crescente minaccia, da parte del movimento yemenita Ansarallah (“Houthis”), alle rotte commerciali nel Mar Rosso che interessano Israele e non solo.

La dichiarazione ufficiale con cui lunedì dal Bahrein il segretario alla Difesa USA, Lloyd Austin, ha annunciato il lancio del nuovo progetto (“Operazione Guardiano della Prosperità”) ha fatto riferimento all’imperativo di salvaguardare la libertà di navigazione e i flussi commerciali globali. Isolando alcune frasi del comunicato del capo del Pentagono si potrebbe pensare che le attività da contrastare siano quelle criminali di Israele a Gaza. Secondo Austin, quando sta accadendo mette infatti in pericolo vite “innocenti e viola il diritto internazionale”. Si tratta perciò di una “sfida internazionale che richiede azioni collettive”.

Le conseguenze potenzialmente rovinose dell’ingresso della Finlandia nella NATO circa otto mesi fa cominciano a emergere in tutta la loro problematicità in seguito all’approvazione, da parte del governo di Helsinki, di un accordo di cooperazione militare con gli Stati Uniti. A riassumere le implicazioni e i pericoli dell’adesione del paese nordico al Patto Atlantico è stato il presidente russo Putin in una recente intervista. Finlandia e Russia non hanno mai avuto questioni serie per le quali scontrarsi dal secondo dopoguerra, ma i “problemi” inizieranno a presentarsi nel prossimo futuro a causa delle scelte relative alla sicurezza del proprio paese fatte dalla classe politica finlandese.

Putin, intervistato domenica dal giornalista russo Pavel Zarubin, ha ricordato come le dispute precedenti con la Finlandia, incluse quelle di natura territoriale, siano state risolte da moltissimo tempo. Lo status di neutralità della Finlandia era inoltre garanzia di pace e stabilità lungo i quasi 1.300 km di frontiera tra i due paesi. Ora, però, ha aggiunto Putin, l’Occidente ha “trascinato la Finlandia nella NATO”, assumendosi la responsabilità delle conseguenze che ne deriveranno.

Senza apparenti discordie, salvo quella dell’Ungheria, è stato deciso l’inizio della procedura per l’accesso di Kiev nell’Unione Europea. Restano programmate nei prossimi due anni quelle di altri candidati: Albania e Montenegro, Serbia e Macedonia del Nord, Bosnia Herzegovina, Moldova e Georgia, per finire con l’annosa questione turca, che resterà un pour parler.

Sembra quindi che l’Ucraina possa entrare nella UE dopo che, dal 2014, la UE era entrata in Ucraina. A coronamento di un sostegno politico in funzione anti russa sin dalla candidatura Timoshenko, l’UE decise infatti, in complicità con gli USA, di accelerare il piano di conflitto con Mosca. Lo fece svolgendo un ruolo importante per la cacciata del governo di Yanukovic con il colpo di stato, poi voltandosi dall’altra parte per 8 anni, quando l’artiglieria ucraina bersagliava il Donbass assassinando 15.000 persone e, infine, sostenendo in ogni modo il nazi-governo guidato da Zelensky.


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