Le conseguenze potenzialmente rovinose dell’ingresso della Finlandia nella NATO circa otto mesi fa cominciano a emergere in tutta la loro problematicità in seguito all’approvazione, da parte del governo di Helsinki, di un accordo di cooperazione militare con gli Stati Uniti. A riassumere le implicazioni e i pericoli dell’adesione del paese nordico al Patto Atlantico è stato il presidente russo Putin in una recente intervista. Finlandia e Russia non hanno mai avuto questioni serie per le quali scontrarsi dal secondo dopoguerra, ma i “problemi” inizieranno a presentarsi nel prossimo futuro a causa delle scelte relative alla sicurezza del proprio paese fatte dalla classe politica finlandese.

Putin, intervistato domenica dal giornalista russo Pavel Zarubin, ha ricordato come le dispute precedenti con la Finlandia, incluse quelle di natura territoriale, siano state risolte da moltissimo tempo. Lo status di neutralità della Finlandia era inoltre garanzia di pace e stabilità lungo i quasi 1.300 km di frontiera tra i due paesi. Ora, però, ha aggiunto Putin, l’Occidente ha “trascinato la Finlandia nella NATO”, assumendosi la responsabilità delle conseguenze che ne deriveranno.

Senza apparenti discordie, salvo quella dell’Ungheria, è stato deciso l’inizio della procedura per l’accesso di Kiev nell’Unione Europea. Restano programmate nei prossimi due anni quelle di altri candidati: Albania e Montenegro, Serbia e Macedonia del Nord, Bosnia Herzegovina, Moldova e Georgia, per finire con l’annosa questione turca, che resterà un pour parler.

Sembra quindi che l’Ucraina possa entrare nella UE dopo che, dal 2014, la UE era entrata in Ucraina. A coronamento di un sostegno politico in funzione anti russa sin dalla candidatura Timoshenko, l’UE decise infatti, in complicità con gli USA, di accelerare il piano di conflitto con Mosca. Lo fece svolgendo un ruolo importante per la cacciata del governo di Yanukovic con il colpo di stato, poi voltandosi dall’altra parte per 8 anni, quando l’artiglieria ucraina bersagliava il Donbass assassinando 15.000 persone e, infine, sostenendo in ogni modo il nazi-governo guidato da Zelensky.

L’assassinio da parte di soldati israeliani di tre loro connazionali prigionieri di Hamas potrebbe diventare un evento decisivo nella guerra scatenata dallo stato ebraico contro la popolazione palestinese a Gaza. Nel fine settimana anche un’indagine ufficiale delle forze armate sioniste ha confermato che i tre giovani si erano fatti riconoscere inequivocabilmente come prigionieri che cercavano aiuto da una squadra di militari israeliani. Questi ultimi, invece, coerentemente con le “regole di ingaggio” osservate finora, hanno aperto il fuoco uccidendoli senza il minimo indugio o scrupolo.

L’episodio, accaduto venerdì nel quartiere Shijaiyah di Gaza City, ha subito scatenato nuove proteste in Israele contro il regime di Netanyahu. Manifestanti si sono accampati all’esterno del ministero della Difesa a Tel Aviv a partire da sabato per chiedere la ripresa immediata di negoziati con la resistenza palestinese e ottenere la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas.

Due voti dall’esito opposto sul controllo dei flussi migratori nei parlamenti di Francia e Gran Bretagna hanno messo in risalto questa settimana l’estrema fragilità dei governi di questi due paesi. Il presidente francese, Emmanuel Macron, e il primo ministro britannico, Rishi Sunak, si ritrovano a gestire crisi politiche sempre più complicate, prodotte dal fallimento delle rispettive politiche economiche e sociali, nonché, più in generale, dal crescente deficit di legittimità del tradizionale sistema “democratico” occidentale.

Si chiama Esequibo, e tutto ciò che sta in superficie, sopra e sotto dei suoi 160.000 chilometri quadrati, è venezuelano. Checché ne dicano, a Miami e a Dallas, dove vige il convincimento che tutto ciò che vale a sud del Rio Bravo è proprietà di chi sta a nord dello stesso fiume. Esequibo è un territorio piccolo, ma ricco di ogni risorsa e proprio per questo oggetto di miserabili tentativi di spoliazione da parte di Exxon Mobil, che è una delle multinazionali e delle compagnie petrolifere che, dalla sua sede a Dallas, costruisce la politica energetica statunitense nell’area centro-sudamericana e caraibica. Alla compagnia statunitense, come ad altre società internazionali, il governo della Guyana ha dato frettolosamente ed illegittimamente autorizzazione allo sfruttamento minerario e ittico di un territorio che non è il suo. Senza se e senza ma.


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