Il suo caso è uno dei più grandi simboli di repressione della lotta per i diritti dei nativi nordamericani degli anni Settanta, sfociata in uno scandalo giudiziario. Leonard Peltier nasce a Grand Forks, nel Dakota del Nord, il 12 settembre 1944. E’ figlio di Leo Peltier, di origini per un quarto francesi e per tre quarti Chippewa, e di Alvina Robideau, di origini per metà Chippewa e per metà Lakota, e cresce in una famiglia di 13 fratelli e sorelle, nella “Anishinabe (Chippewa) Turtle Mountain Indian Reservation”. Il giovane Leonard Peltier diventa ben presto un attivista per i diritti dei nativi nordamericani ed entra nell’American Indian Movement (AIM), fondato nel luglio 1968 a Minneapolis, nel Minnesota, al fine di salvaguardare la sovranità degli Indiani d'America, la loro cultura e spiritualità, ma che in seguito diventa un movimento che denuncia i numerosi episodi di molestie della polizia e di razzismo contro i nativi americani costretti ad abbandonare la loro cultura ancestrale.

Le scene di violenza in Venezuela, dove i nuovi "guarimberos" hanno attaccato uomini, uffici e simboli dell'istituzionalità del Paese, vanno decifrate per quello che sono: un tentativo di colpo di Stato voluto e sostenuto dagli Stati Uniti come tutti i precedenti tentativi nella storia delle relazioni USA-Venezuela. L'obiettivo era (ed è tuttora) il rovesciamento del governo di Maduro e l'instaurazione di un regime di estrema destra simile per molti aspetti a quello di Noboa in Ecuador e - per alcuni tratti - a quello di Milei in Argentina. La fisionomia golpista della destra venezuelana non sorprende. L'identità subculturale, idrofoba, impregnata di classismo, razzismo e odio verso l’interno unito a dosi massicce di malinchismo (non semplice esterofilia ma affascinamento e devozione per i paesi esteri  dominanti ndr) verso l’esterno, sono i connotati tipici della destra latinoamericana in generale, e trovano nella destra venezuelana il punto di massima espressione.

Nel luglio 2024, il Woodrow Wilson International Center for Scholars (o Wilson Center) - uno degli United States Presidential Memorial, fondato a Washington DC come parte dello Smithsonian Institution, riconosciuto come uno dei primi dieci più importanti think tank al mondo - ha pubblicato un paper dal titolo “Venezuela Desk – How to stop a coup”, ovvero “come fermare un colpo di Stato in Venezuela”. Un titolo che potrebbe trarre in inganno, in quanto potrebbe far pensare ad un documento che voglia prevenire un colpo di Stato, ma in realtà si tratta del suo opposto: il dossier illustra i piani golpisti di stampo fascista che gli Stati Uniti avevano preparato per le elezioni presidenziali del 28 luglio contro il governo socialista di Nicolas Maduro.

Il lager di Guantánamo è tornato al centro dell’interesse della stampa americana nei giorni scorsi con l’annuncio, subito rientrato, di un accordo tra tre sospettati di avere organizzato gli attentati dell’11 settembre e il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. I legali di Khalid Shaikh Muhammad, Walid bin Attash e Mustafa al-Hawsawi avevano accettato di dichiararsi colpevoli in cambio della rinuncia da parte dell’accusa a chiedere una condanna alla pena di morte. Poco dopo la diffusione della notizia e l’esplodere di una feroce polemica a Washington, il numero uno del Pentagono in persona, l’ex generale Lloyd Austin, ha però rescisso il patteggiamento, facendo ripiombare l’intera vicenda nel pantano di un procedimento pseudo-legale senza via d’uscita.

Come nelle più scontate spy-stories, accettare il negoziato da un lato comporta impedirlo dall’altro. Com’è noto, Ismail Haniyeh, capo di Hamas, esponente riconosciuto dell’ala politica più incline a sostenere un processo unitario di riorganizzazione della resistenza palestinese e negoziatore con Israele, è stato barbaramente assassinato da un attentato ad opera dei servizi segreti di Tel Aviv. Haniyeh si trovava a Teheran per la cerimonia d’insediamento del Presidente iraniano Pezshkian ed era reduce dal Vertice di Pechino dove, grazie agli  sforzi diplomatici cinesi, l’intera gamma delle formazioni palestinesi avevano trovato un accordo. Haniyeh, peraltro, era tra i candidati più accreditati a guidare il percorso di riconciliazione unitaria.


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