La vittoria di Donald Trump nelle elezioni americane di martedì e, ancora di più, il logoramento prodotto dal disastroso progetto ucraino sembrano avere dato il colpo di grazia all’impopolare governo “semaforo” tedesco del cancelliere Olaf Scholz. La crisi a Berlino non è ancora ufficiale, ma l’esplosione pubblica dello scontro politico tra i tre leader della coalizione rende estremamente improbabile la sopravvivenza dell’esecutivo nei prossimi mesi.

La questione del bilancio per il 2025 aveva da tempo creato tensioni nella maggioranza, con i Liberal Democratici (FDP) del ministro delle Finanze, Christian Lindner, su posizioni sempre più lontane rispetto a Social Democratici (SPD) e Verdi. Oltre a proporre un punto di vista diverso dagli alleati circa le modalità per chiudere il buco di bilancio da almeno 2,4 miliardi di euro e cercare di rianimare un’economia in piena crisi, l’FDP ha puntato i piedi probabilmente per innescare in maniera deliberata uno scontro interno alla coalizione e prendere le distanze da un governo che, in picchiata nei sondaggi, ha trascinato lo stesso partito al di sotto del 5% delle preferenze, ovvero la soglia necessaria a ottenere seggi nel parlamento federale.

Se alla viglia delle elezioni negli Stati Uniti cerano forti timori per possibili tensioni o addirittura violenze causate dalla lentezza dello spoglio e dall'equilibrio tra i due principali candidati alla Casa Bianca negli stati in bilico ("swing states"), con i risultati ancora non del tutto definitivi nella prima mattinata di mercoledì in Italia è arrivata invece la sostanziale conferma della seconda vittoria di Donald Trump. L'esito del voto, come quasi sempre è accaduto negli ultimi decenni, non è tanto dovuto alla popolarità del candidato vincente, quanto al disastro praticamente su tutti i fronti provocato dallamministrazione uscente, in cui la candidata Kamala Harris ha svolto un ruolo di primissimo piano, quanto meno dal punto di vista formale.

Sul piano concreto, Trump ha sbaragliato la sua rivale vincendo in tutti i già ricordati "swing states", ad eccezione della Virginia, stato da tempo a tendenza democratica per via dell'afflusso di residenti con impieghi governativi nei popolosi distretti settentrionali. Decisive sono state le affermazioni di Trump in due stati dove nel 2020 Biden aveva prevalso: la Georgia e, soprattutto, la Pennsylvania, di gran lunga lo stato più combattuto dalle campagne dei due candidati negli ultimi mesi.

Negli ultimi giorni, la Turchia ha nuovamente attirato l’attenzione della comunità internazionale con la rimozione di tre sindaci di città a maggioranza curda, eletti nella regione sudorientale del paese. L’azione del governo, che ha sostituito i leader di Mardin, Batman e Halfeti con fiduciari governativi, segna un’ulteriore offensiva contro i rappresentanti curdi e il Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli (DEM), partito politico pro-curdo. Dietro la giustificazione ufficiale di "terrorismo" addotta dal Ministero dell’Interno si celano, però, strategie politiche che vanno ben oltre il semplice mantenimento della sicurezza interna, in un contesto di grande tensione regionale e di pericolose manovre elettorali.

L’azione contro i sindaci curdi arriva in un periodo in cui Ankara sembrava intenzionata a riaprire il dialogo con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e il suo leader incarcerato, Abdullah Ocalan, per cercare una soluzione politica a un conflitto che va avanti dal 1984.

A poche ore dalle elezioni che dovrebbero stabilire il nome del 47esimo presidente degli Stati Uniti, la corsa tra i candidati dei due principali partiti, Donald Trump e Kamala Harris, sembra essere equilibrata a tal punto da rendere virtualmente inutili i moltissimi sondaggi proposti da istituti specializzati e stampa d’oltreoceano. Quello che invece appare più probabile, secondo molto osservatori, è il rischio di tensioni, dispute, scontri o disordini nel momento in cui verrà annunciato il vincitore o quando uno dei due deciderà di proclamarsi tale in base ai risultati parziali. Entrambi gli schieramenti sembrano infatti avere dei piani per contestare un eventuale esito sfavorevole e soprattutto Trump e la sua squadra potrebbero orchestrare una clamorosa ripetizione della fallita campagna scattata all’indomani del voto del 2020.

Nelle scorse settimane, l’ex presidente repubblicano e i suoi sostenitori hanno intensificato le critiche preventive al sistema elettorale americano, assieme alle denunce di brogli e tentativi di manipolazione delle procedure di voto, così da rendere credibile la tesi di una sconfitta possibile solo in presenza di diffuse irregolarità. È chiaro che Trump e i suoi vogliono preparare il campo per un contrattacco su più fronti in caso di sconfitta, facendo leva sui dubbi inculcati in questa fase nel proprio elettorato circa la regolarità delle operazioni di voto o di spoglio.

Più di 60 milioni di americani hanno già votato ma è praticamente impossibile prevedere chi vincerà negli stati in bilico (7) e andrà quindi alla Casa Bianca. I sondaggi, strumento di orientamento più che di indagine, come succede da anni o sbagliano o non dicono nulla per non sbagliare ma Trump sembra avere maggiori possibilità: il 52% contro il 48% della Harris.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy