Gli 800 miliardi di euro del piano di riarmo europeo, ribattezzato per esigenze di comunicazione positiva “Readiness 2030”, sembrano una misura dagli effetti pratici limitati, ma con ampie ripercussioni politiche ed economiche sulla struttura del Vecchio Continente. È necessario perché la spesa militare russa è superiore a quella europea? Assolutamente no, anzi, è vero il contrario. In pieno conflitto, la spesa russa ammonta a 145,9 miliardi di dollari, mentre quella europea (Regno Unito incluso) raggiunge i 457 miliardi di dollari (il triplo). Gli Stati Uniti si attestano sugli 850 miliardi di dollari. Ergo, affermare che esista un divario di investimenti da colmare è semplicemente falso.

La presidenza di Donald Trump sta segnando un punto di non ritorno nella storia degli Stati Uniti. Quello che, almeno a livello formale, un tempo era considerato il baluardo della democrazia occidentale si sta trasformando in un regime autoritario, dove il potere esecutivo agisce senza alcun controllo, calpestando diritti costituzionali e ordinamenti giudiziari. Gli episodi che hanno fatto esplodere anche pubblicamente la questione sono rappresentati dalla deportazione di massa di immigrati venezuelani e dalla persecuzione politica di attivisti pro-Palestina come Mahmoud Khalil, uno studente della Columbia University e residente legale negli USA, attualmente detenuto in Louisiana in attesa di espulsione.

Il secondo colloquio telefonico tra Putin e Trump nella giornata di martedì segna un nuovo passo avanti verso la possibile soluzione diplomatica della guerra in Ucraina. In termini concreti, le misure concordate per una tregua molto parziale di trenta giorni appaiono per il momento relativamente trascurabili, ma il peso simbolico e le implicazioni dell’accordo preliminare tra i due presidenti potrebbero gettare le basi non solo – e finalmente – della pace, ma anche di cambiamenti epocali negli equilibri strategici e geopolitici in Europa. Per questa ragione, è molto probabile che i leader europei più accanitamente russofobi e lo stesso regime di Kiev possano reagire con nuove iniziative per boicottare un processo diplomatico che dovrebbe registrare la prossima tappa già nel prossimo fine settimana in Arabia Saudita.

La ripresa dei bombardamenti indiscriminati su Gaza nelle prime ore di martedì da parte di Israele è la logica conseguenza degli sforzi delle ultime settimane per affondare la tregua con Hamas firmata lo scorso mese di gennaio. Le bombe contro obiettivi civili, che hanno massacrato centinaia di donne e bambini, si sono accompagnate alla solita ondata di propaganda israeliana e americana. La nuova aggressione sionista avviene in un contesto segnato dall’emergere di pericolosissime tensioni tra gli Stati Uniti da una parte e l’Iran e il movimento Ansarallah che controlla parte dello Yemen dall’altra, rendendo ancora più esplosiva la situazione in Medio Oriente.

Gli attacchi aerei sullo Yemen di quella che è diventata a tutti gli effetti la prima vera guerra americana del secondo mandato alla presidenza di Donald Trump sono proseguiti nelle prime ore della giornata di lunedì, nonostante l’autentica strage di civili registrata nel fine settimana. L’operazione riprende la fallimentare campagna avviata dalla precedente amministrazione democratica ed è collegata sia alle manovre di Israele per sabotare la tregua in vigore e strangolare la popolazione palestinese a Gaza sia all’escalation del confronto tra Iran e Stati Uniti.

Lunedì è stato il governatorato di Hodeidah a essere colpito con almeno due incursioni USA. Tra sabato e la mattina di domenica era toccato invece alla capitale Sana’a e ad altre località della parte del paese controllata dal movimento Ansarallah (“Houthis”), di fatto la componente più attiva dell’asse della Resistenza, assieme a Hezbollah, nel combattere il genocidio palestinese dopo i fatti del 7 ottobre 2023. I bombardamenti del fine settimana, secondo fonti yemenite, hanno fatto almeno 53 vittime e oltre 100 feriti, incluse donne e bambini, come hanno confermato le drammatiche immagini girate negli ospedali e nelle strade della capitale del paese della penisola arabica.


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