Ha destato grande stupore e grandi preoccupazione nell’establishment europeo e nei giornali di regime lo scontro tra Trump e Vance da un lato e Zelensky dall’altro. Al netto della veemenza, che quando c’è viene ricondotta nella formula “colloquio franco e cordiale”, è difficile negare che Trump abbia messo il dito nella piaga. Quattro i concetti fondamentali sferrati in faccia come uno sganassone: 1) l’Ucraina cerca di portare il mondo ad un conflitto globale; 2) Zelensky non dispone di nessun elemento decisivo al fine di indirizzare una trattativa in una o altra direzione; 3) sei vivo grazie a noi; 4) non sei espressione di una democrazia.

Difficile annotare passaggi di maggior disprezzo verso il guitto da parte di Trump che, con la consueta assenza di misura e understatement ha voluto ribaltare la narrazione imposta da Biden, al cui figlio Zelensky ha consentito lucrosi affari ed ha fornito protezione dall’inchiesta che lo FBI svolse a suo carico. I rapporti tra USA e Ucraina non volgono al bello e la fine della favola dell’eroe popolare della democrazia dev’essere considerata ormai come dato acquisito.

Che Zelensky non dovesse aspettarsi devozione è noto, peraltro nei giorni precedenti aveva ripetutamente offeso Trump ed è chiaro che avrebbe fatto meglio a tacere. L’accordo proposto da Trump a Zelensky potrà certamente essere (e lo è) una rapina senza maschera, ma si deve ricordare che l’Ucraina è rapinata dal 2014; è un Paese dove gli USA scelgono la classe dirigente, l’esercito, l’intelligence, l’economia, le terre e le guerre degli ucraini; dunque c’è poco di nuovo.

E visto che si parla di pace duratura, alcuni analisti ricordano che lo sfruttamento da parte USA della quota di terre rare che rimarrebbero all’Ucraina sarebbe, paradossalmente, la migliore delle difese per Kiev, perché la Russia non attaccherebbe interessi e personale statunitense se non attaccata e in forza di un accordo sulla sicurezza globale per  tutta l’Europa dell’Est.

La nuova Amministrazione USA non intende spendere né un Dollaro e né un soldato per garantire l’Ucraina. Anzi, ritiene che un accordo con Putin riguardante l’intera architettura della sicurezza nell’Est Europa debba prevedere anche il divieto tassativo all’ingresso ucraino nella NATO, che costringerebbe in caso di conflitto tra Kiev e Mosca all’entrata in campo diretta, ai sensi dell’Art.5 del Trattato Nord Atlantico.

 

La verità sul terreno

Nell’isteria europea si rimuove il principale dei dati di fatto: la Russia ha vinto e l’Ucraina ha perso. Mosca, attaccata da tutto l’Occidente, sottoposta a isolamento diplomatico e commerciale, ad oltre 1500 programmi di sanzioni, al furto degli attivi bancari e delle proprietà estere di privati cittadini russi, ha vinto su ogni fronte. Kiev, sostenuta da 31 Paesi NATO con armi, denaro, consiglieri militari, istruttori, personale per l’utilizzo di sistemi satellitari, missili a corto e medio raggio, commandos sabotatori e mercenari, appoggio diplomatico, la più estesa e spregiudicata campagna diffamatoria della storia (che ha trasformato in notizie le veline dello SBU ucraino), ha perso.

La Russia ha vinto strategicamente, perché l’allargamento ad Est della NATO è da considerarsi finito. Ampliamento che è stato ed è l’ossessione di un capitalismo apolide e criminale, che vede nella penetrazione di tutti i mercati del mondo e nella sconfitta strategica e successiva disintegrazione della Russia prima e della Cina poi la via per giungere al suo dominio totale sul pianeta.

La NATO, come già in Afghanistan, ha perso rovinosamente. In primo luogo tatticamente, perché non è riuscita a realizzare il suo progetto di utilizzare l’Ucraina come Stato proxy con cui circondare la Russia. Poi strategicamente, perché la vittoria sulla Russia che avrebbe dovuto innescare la sua crisi politica e favorirne lo smembramento, non c’è  mai stata.

Se si ignora tutto questo, si nega in radice la stessa possibilità di un negoziato, perché in ogni negoziato che possa definirsi tale, si parte dalla realtà del terreno e non dalle pretese e dai capricci. E la realtà sul terreno dice due cose chiare, una militare ed una politica: militarmente i russi controllano il 25% del territorio ucraino, l’Ucraina nemmeno un chilometro di quello russo. Politicamente la Russia ha smentito fragorosamente le catastrofiche previsioni degli organismi finanziari internazionali a guida occidentali e la crescita del suo PIL in questi anni è stata sempre superiore a quello dell’insieme dei paesi UE. Ha resistito all’offensiva totale dell’Occidente respingendo il tentativo di isolarla internazionalmente (142 paesi su 194 non hanno applicato nessuna sanzione verso Mosca, anzi hanno incrementato gli scambi in monete locali) ed ha invece accresciuto il suo prestigio a livello internazionale, del quale la vittoria militare in Ucraina e la conduzione della presidenza dei BRICS ne ha rappresentato la definitiva consacrazione quale interlocutore affidabile e temibile.

L’Ucraina? E’ uno stato fallito e non basteranno i 500 miliardi di Dollari pronosticati da Black Rock a ricostruirla completamente. Dal momento che l’ingresso nella UE comporterebbe una fiches da 50 miliardi di Euro, che l’Ucraina non possiede nemmeno in minima parte, nella visione della Casa Bianca sarà proprio la UE a doversi far carico della stabilizzazione economica, militare e politica di Kiev.

E’ anche da questo compito così gravoso - quello del finanziare la ricostruzione - che Trump vuole escludere gli USA mentre invece pensa di aver diritto a spartirsi i futuri dividendi post pacificazione. Nulla di nuovo anche qui: dal dopoguerra ad oggi tutti gli interventi militari USA sono stati preceduti dai contratti per la ricostruzione di quello che si preparavano a distruggere.

Importa poco quello che decideranno - se e come lo decideranno - a Londra i rappresentanti UE, tra l’altro simbolicamente convocati da un paese (GB) che della UE non è membro da più di 5 anni. L’idea di dar vita ad una difesa comune dell’Europa è già bocciata dal fatto che non tutta l’Europa la vuole, per non parlare di cosa questo comporterebbe per la spesa sociale nei rispettivi paesi, che gli elettori ricorderebbero bene. Non è chiaro come potrebbe vincere l’Ucraina senza gli USA, quando con al loro fianco ha fragorosamente perso. E non è chiaro nemmeno, nel caso la Starlink di Musk spegnesse i satelliti che guidano la contraerea di Kiev, chi e che cosa fermerebbe i missili russi.

Si fantastica sulla difesa europea, ma non è minimamente credibile a breve-medio termine l’istituzione di un esercito europeo a fronte di minacce inventate e mai esistite nella realtà, armamentario proprio della disinformazione europea che ha contraddistinto la comunicazione UE dal 2014 ad oggi. Quanto alle truppe d’interposizione, la Russia ha già detto in più occasioni che la UE è potenza belligerante e dunque non può svolgere il ruolo di arbitro nel conflitto, tantomeno salvaguardare la pace visto che chiede apertamente la guerra. Quindi l’ipotetico contingente verrebbe considerato di guerra, non di interposizione, con quel che ne consegue.

 

Il guitto al capolinea

Il presidente scaduto dell’Ucraina ha vissuto gli ultimi tre anni a chiedere nei giorni pari aiuti militari e denaro, e in quelli dispari a dire che non erano abbastanza. Ha chiesto ogni tipo di sistema d’arma e li ha avuti, ma ha ottenuto successi solo nelle operazioni terroristiche in Russia, in territorio ucraino il suo esercito ha regolarmente indietreggiato. Per oltre mille giorni ha chiesto l’intervento diretto della NATO con truppe, aerei e navi nel conflitto, sostanzialmente la Terza guerra mondiale che avrebbe azzerato il genere umano. Il tutto per salvare il suo governo. Un ridicolo e narciso senso delle proporzioni.

Qui c’è stato l’errore più grave dell’Occidente, il terzo dopo il golpe del 2014 e la presa in giro degli accordi di Minsk. Nessuno dei paesi NATO ha ritenuto di farlo tacere e di finirla con la sua questua permanente, alimentando l’idea che il mendicante fosse l’azionista di maggioranza dell’impero. Si diceva che in questi anni chi acquistasse un televisore lo trovava con la faccia di Zelensky incorporata. Gli strateghi di Londra e della Washington di Biden si sono dedicati ad ogni dettaglio, look compreso, per provare a trasformare un guitto in un eroe, un comico in uno statista. Ma la sua elevazione a simbolo del Bene contro il Male, non fa presa invece sulla nuova Casa Bianca, che i suoi interessi strategici li vede a rischio nell’area dell’Indopacifico e non nell’Est Europa. Per il comico in mimetica è andata male e può andare solo peggio.

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