di Maura Cossutta

Il congresso di Chianciano è finito e Paolo Ferrero è il nuovo segretario di Rifondazione, eletto con 142 voti a favore (uno soltanto in più rispetto al quorum necessario) e 134 contrari. Un voto a sorpresa, che ha portato alla vittoria il candidato non favorito. Uno spettacolare colpo di scena? Certo, la sorpresa c'è stata, i pronostici sono stati ribaltati, ma di colpo di scena sarebbe meglio non parlare. Si tratta infatti della vittoria di un'operazione politica organizzata bene, ma giocata con rituali ben noti, utilizzando meccanismi e dinamiche da tempo consolidate in quel partito. E che si sapeva potessero prevalere. In questo senso la vittoria di Vendola poteva essere nelle cose, se la mediazione fosse riuscita. Ma la vittoria di Ferrero non può stupire più di tanto. Sembra allora piuttosto un dejà vu, per chi ben ricorda la storia di Rifondazione e il passaggio di un altro lontano congresso, nel 1998.

di Mariavittoria Orsolato

Lo potremmo chiamare lodo Speedy Gonzales. Venticinque giorni: tanto è bastato al team delle libertà per discutere, approvare e promulgare il disegno di legge sull’immunità alle quattro più alte cariche dello Stato. Con 171 voti a favore, 128 contrari e i soliti 6 Udc astenuti, il lodo Alfano - versione riveduta, corretta ma non edulcorata, dell’incostituzionale lodo Schifani targato 2004 - ha superato lo scoglio del Senato ed è arrivato tra le mani del Presidente della Repubblica che, probabilmente (auto)convintosi che l’immunità istituzionale era il male minore tra i tanti proposti mali-decreti, l’ha controfirmato e promulgato ufficialmente come legge dello Stato. Grazie a questo blitz della maggioranza, Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio e Presidenti delle due Camere potranno teoricamente commettere all’interno dei loro mandati qualsiasi tipo di malefatta perseguibile penalmente e non essere nemmeno sfiorati dalla lunga ( ? ) mano della Giustizia.

di Maura Cossutta

A Chianciano sembra già tutto deciso. Eppure le attese continuano a essere tante, che succeda davvero qualcosa di importante, che arrivino risposte, che venga indicata la strada. Un popolo di sinistra che aspetta l'ultima chance, quasi un deus ex machina che cambi finalmente i destini. Ma gli attori di questa moderna tragedia greca paiono recitare altri copioni, già visti, già noti. Le mozioni discusse e votate nei congressi territoriali sono state cinque: sembrerebbe essere stata, questo, una prova di volontà di chiarezza, per nominare in modo trasparente distinzioni sostanziali, per una discussione politica senza infingimenti. Ma tutto appare molto più prosaico, il solito schema della conta e delle percentuali dei voti, da far pesare dopo, nel congresso nazionale, da usare nella contrattazione finale. Mozioni diverse per impedire la scelta più importante per un partito, quella della sua linea politica.

di Giovanni Gnazzi


La favola della settimana scorsa, per la quale in cinquantotto giorni il governo Berlusconi avrebbe rimosso la spazzatura da Napoli, è apparsa ai più come l’ennesima boutade del Premier. Non solo perché la spazzatura non è stata eliminata, bensì spostata di qualche chilometro, ma anche perché il Presidente del Consiglio non ha perso l’ennesima occasione per rivendicare a sé ogni merito e agli avversari ogni demerito. E’ parte del personaggio, niente di nuovo, anzi tutto già visto, persino per chi proprio non voleva e non vuole vedere. Perché quando si dipinge come una icona del buongoverno, definendosi a metà strada tra Churcill e De Gaulle o descrive Mara Carfagna come una nuova Santa Maria Goretti, si può anche pensare all’edizione di mezza sera del Bagaglino, ma quando esce dal suo mondo fantastico per entrare nel nostro, molto meno dorato, c’è da preoccuparsi. Infatti, che ci si sia creduto o no, le promesse elettorali di Silvio Berlusconi in tema di economia si sono rivelate quello che erano: illusionismo mediatico. La crisi economica italiana, che seppure non risente come in altri Paesi del crack sui mutui, ma che è indubbiamente più grave in considerazione della particolarità del nostro debito pubblico, sta misurando i suoi livelli più acuti proprio da quando il governo Berlusconi si è insediato a Palazzo Chigi.

di Saverio Monno

Al termine di un finesettimana a dir poco frenetico, Verdi e Comunisti italiani hanno chiuso i rispettivi congressi nazionali. A Chianciano, gli stati generali del sole che ride hanno conferito la reggenza a Grazia Francescato, che con oltre il 60% delle preferenze riuscita ad avere la meglio sull’ex deputato Marco Boato e su Fabio Roggiolani, leader dei Verdi in Toscana e presentatore della mozione “Progetto Ecologista e Federalista”. La votazione, a scrutinio segreto, ha chiuso una tre giorni di tensioni, attese e recriminazioni. Ad appoggiare la presidentessa storica dei Verdi è statai, l’anima più radicale del partito; dallo stesso Pecoraro Scanio, che è spuntato a giochi fatti, tra i fischi, “solo” per la “benedizione”, ai vari Paolo Cento, Loredana de Petris, Gianfranco Bettin e Angelo Bonelli (molto fischiato anche lui). “Una vittoria – denuncia Boato – all'insegna di uno sfrontato continuativismo, che vede prevalere le ragioni di un gruppo dirigente già artefice della disfatta elettorale”. Un mandato “ponte”, quello della Francescato, che dovrebbe consentire al partito di restare a galla almeno sino alle prossime Europee, cercando magari di riaprire il dialogo con l’ala riformista degli ambientalisti, già approdati nel Pd, badando poi a non indispettire troppo Pdci e Rifondazione, perché non si sa mai…Nel frattempo, “non chiamateci più quelli del no – ha avvertito la neoportavoce nazionale – noi diciamo alcuni no, non ideologici, ma sacrosanti, e tanti sì vitali”.


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