di Maura Cossutta

Il congresso di Chianciano è finito e Paolo Ferrero è il nuovo segretario di Rifondazione, eletto con 142 voti a favore (uno soltanto in più rispetto al quorum necessario) e 134 contrari. Un voto a sorpresa, che ha portato alla vittoria il candidato non favorito. Uno spettacolare colpo di scena? Certo, la sorpresa c'è stata, i pronostici sono stati ribaltati, ma di colpo di scena sarebbe meglio non parlare. Si tratta infatti della vittoria di un'operazione politica organizzata bene, ma giocata con rituali ben noti, utilizzando meccanismi e dinamiche da tempo consolidate in quel partito. E che si sapeva potessero prevalere. In questo senso la vittoria di Vendola poteva essere nelle cose, se la mediazione fosse riuscita. Ma la vittoria di Ferrero non può stupire più di tanto. Sembra allora piuttosto un dejà vu, per chi ben ricorda la storia di Rifondazione e il passaggio di un altro lontano congresso, nel 1998. Una spaccatura netta, oggi come ieri. Oggi, come allora, è stata ribaltata per una manciata di voti la maggioranza politica decisa nel congresso precedente e si è compattata un'altra maggioranza, ibrida, fatta di alleanze a dir poco improbabili, tra anime e culture politiche che si sono sempre contrapposte e che restano sempre le stesse, dei nostalgici di Democrazia Proletaria, dei comunisti duri e puri e dei trotzkisti. Nel '98 è stato Bertinotti a rompere la sua maggioranza e ad allearsi con loro, oggi è stato Ferrero. Sono cambiati i soggetti, ma le cose si ripetono. Ieri come oggi hanno prevalso alleanze costruite più su accordi e interessi organizzativi che politici. Ha prevalso il primato delle logiche di governo interno del partito, più che il primato della politica. Sono sopravvissute le appartenenze “a priori”, senza investire sul processo di ricomposizione della cultura politica di un partito che (come indica nel nome) questo avrebbe dovuto perseguire. “Rifondazione comunista” in realtà non è stata rifondazione proprio di nulla, né di pensiero né di pratiche.

Oggi i nodi sono venuti drammaticamente al pettine. Così come nel '98, quando fu decisa la fuoriuscita dal primo governo Prodi, anche oggi esplode il tema del rapporto di Rifondazione con la questione del governo, delle alleanze. E ancora di più, ieri come oggi, fallisce per Rifondazione il suo stesso progetto fondativo, di riuscire ad essere l'agente della ricostruzione di un soggetto politico plurale e unitario della sinistra, forte, di massa, capace di riconnettere le storie, le culture, le passioni e le ragioni del Novecento, per cimentarsi con le sfide della modernità. Non si è ricomposta la frattura tra chi stava nel Partito comunista e chi nelle organizzazioni fuori da esso. Restano solo le appartenenze ingessate di ogni componente e nel frattempo continuano le emorragie di voti, non più recuperati (né recuperabili).

In questo senso Bertinotti è il grande sconfitto, non solo per quello che è successo in questo congresso, ma per quello che è successo in tutti questi anni. Bertinotti non è riuscito con il suo intervento, acclamato per dieci minuti dalla platea, a restituire a Vendola la sua maggioranza politica. Non ha convinto non tanto la componente di Grassi (che nella sua maggioranza politica non c'era mai stato) ma neppure i suoi fedelissimi. A Chianciano Bertinotti ha misurato la portata di tutti gli errori passati e la responsabilità di un leaderismo che non ha prodotto educazione e cultura politica. Non basta allora dire che questo non è più il partito che aveva sognato, perché in realtà questo è proprio il partito che ha creato. Forse questo avrebbe dovuto saper dire a Chianciano: ammettere gli errori, non tanto riferiti all'esperienza della lista Arcobaleno, ma i tanti di tutti questi lunghi anni.

Sarebbe stato giusto, ad esempio, chiedersi il perché di batoste elettorali continuate in questi ultimi dieci anni con la perdita secca di milioni e milioni di voti. Sarebbe stato importante domandarsi il perché - proprio in presenza di un grande spazio politico, determinato del definitivo addio alla sinistra sancito dai nascita del Pd - il popolo di sinistra non ha ritenuto di affidarsi alla proposta di chi che era nato, tra l’altro, proprio per aprire la sfida dell’egemonia a sinistra. E, soprattutto, una domanda una andava posta: come mai, per la prima volta nella storia della Repubblica, il popolo della sinistra è in assoluta maggioranza fuori e non dentro ai partiti che quel popolo dovrebbero rappresentare? Quanto alla liturgia stanca della presunta disputa sui simboli, basterebbe ricordare che di falci e martelli nelle ultime urne ce n’erano ben tre; e che, tutti insieme, non sono arrivati all’un per centro dei voti. Chi crede che il brand storico dei comunisti abbia un capitale di voti in sé, farà bene a ricredersi in fretta. Di altro c’è bisogno.

Oggi Rifondazione è un'organizzazione politica di militanti, dove chi non è di questa storia non viene ammesso, dove persino è rotta ogni forma di solidarietà interna. Un partito diviso, senza più neppure un'identità nazionale, persino con una distanza profonda tra il Sud e il Nord di questo paese (come questo percorso congressuale ha drammaticamente manifestato). Un partito che ha ormai definitivamente spento la sua grande speranza iniziale, quella che nel 1991 aveva affascinato milioni e milioni di donne e di uomini in attesa di poter ricominciare dopo le sconfitte, le divisioni. Resta solo l'imperativo categorico della cosiddetta ricerca identitaria, che sempre di più è segnale patologico, pericolosamente contiguo e figlio proprio di quei bisogni di appartenenza identitaria che segnano la crisi della nostra società.

A Chianciano è stata scritta un'altra pagina d’impotenza, di divisioni, di possibili future lacerazioni. Ferrero ha una maggioranza (peraltro di pochi voti) ma nessuno può dire fino a quando durerà. Vendola resta nel partito ma nessuno può dire fino a quando. L'unica certezza, che purtroppo gli elettori hanno capito, è che non c'è più una sponda possibile per chi vede cancellati a colpi di maggioranza parlamentare diritti considerati inattaccabili. L'opposizione come terreno di purezza in cui declamare i problemi e in cui persino evocare i soggetti non serve. La sinistra è sempre più senza guida e soprattutto senza ruolo. Quella storia cominciata al Congresso di Rimini, l’ultimo congresso del Pci, è finita a Chianciano.

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