di Mariavittoria Orsolato

Lo potremmo chiamare lodo Speedy Gonzales. Venticinque giorni: tanto è bastato al team delle libertà per discutere, approvare e promulgare il disegno di legge sull’immunità alle quattro più alte cariche dello Stato. Con 171 voti a favore, 128 contrari e i soliti 6 Udc astenuti, il lodo Alfano - versione riveduta, corretta ma non edulcorata, dell’incostituzionale lodo Schifani targato 2004 - ha superato lo scoglio del Senato ed è arrivato tra le mani del Presidente della Repubblica che, probabilmente (auto)convintosi che l’immunità istituzionale era il male minore tra i tanti proposti mali-decreti, l’ha controfirmato e promulgato ufficialmente come legge dello Stato. Grazie a questo blitz della maggioranza, Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio e Presidenti delle due Camere potranno teoricamente commettere all’interno dei loro mandati qualsiasi tipo di malefatta perseguibile penalmente e non essere nemmeno sfiorati dalla lunga ( ? ) mano della Giustizia. Nel mondo civilizzato l’unica a potersi arrogare questo diritto di impunità è la regina d’Inghilterra e i giornali stranieri già sghignazzano - giustamente - alle nostre spalle definendo il nostro ordinamento statale “monarchia incostituzionale”. Silvio Berlusconi non chiedeva di meglio: la monarchia, si sa, è sempre stata la sua vocazione e l’incostituzionalità lo accompagna fin dalla sua “discesa in campo”. All’interno del pacchetto sicurezza - già approvato dalle Camere – il premier aveva provato a mettere di tutto pur di salvare la sua persona e i suoi interessi dall’imminente processo per presunta corruzione in atti giudiziari, il famoso processo Mills. Non ce l’ha fatta, per ragioni di tempistica tecnica, né con la blocca-processi né con il disegno di legge sulle intercettazioni, ma se perseverare è diabolico, bisogna anche dire che in questo mondo alla rovescia premia.

“Il lodo Alfano è il minimo che una democrazia possa apprestare a difesa della propria libertà”, questo il commento di Berlusconi all’indomani della sua promozione a cittadino immune dalla legge. “Ho già detto che non mi sarei avvalso, per processi anteriori al 2000, della norma che è stata chiamata blocca-processi o salva-premier - conclude rivolto ai giornalisti - quando smetterete questa persecuzione inaccettabile sarà troppo tardi”. Questo chiosare sulla sua buona fede in realtà ne rafforza implicitamente la mala fede: affermando di rinunciare ad una possibilità inesistente, il nostro self-made-man conferma di voler ricorrere di fatto al jolly dell’immunità giudiziaria. Gli alleati plaudono gaudenti e plaude anche il PD per bocca del suo segretario, l’ex sindaco romano Walter Veltroni che, appoggiando la decisione del Capo dello Stato di apporre la firma al lodo, cade nella stessa contraddizione di Berlusconi e fa capire il perché della debole opposizione al provvedimento, Di Pietro e manifestanti vari ovviamente esclusi.

Ed è proprio sull’ex magistrato e paladino di Mani Pulite - inchiesta grazie alla quale nel 1993 la politica tutta, destra in testa, votò l’abolizione dell’immunità parlamentare - che si sta cercando di far defluire la controversia politica e inevitabilmente mediatica. In una manifestazione a sostegno dei lavoratori delle Entrate, colpiti pesantemente dai tagli voluti dal Ministro Brunetta, il buon Tonino è intervenuto in merito al lodo: “Raccoglieremo le firme e attraverso il referendum abrogheremo questa legge che non serve allo Stato, ma solo a qualcuno”. Poi, in un eccesso di fervore politico e pecoreccio, ha agguantato una vessillo del suo partito aggiungendo - non si sa se rivolto alla sua pubblica nemesi o alla bandiera – “ci vuole la mazza, ci vuole!”.

Apriti cielo! Il popolo della libertà è insorto immediatamente condannando le parole del leader dell’Italia dei Valori. “Di Pietro conferma la sua scelta per la violenza e per l'aggressione continua dell'avversario” dice Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. “Di Pietro dice che serve la mazza? Qualcuno che in Italia la pensava così c'è già stato. Ma è finito appeso a testa in giù”, questo il paragone azzardato dell’ex Guardasigilli Castelli.

Ma se ormai l’accezione simbolica di libertà è mutata geneticamente da concetto illuminato al più italiano - prendendo a prestito Corrado Guzzanti - “facciamo un po’ come cazzo ce pare”, non dobbiamo stupirci della piega che hanno preso gli eventi. Come suol dirsi, sia fatta la volontà popolare. Che nessuno, togati compresi, si azzardi a minarla.


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