di Rosa Ana De Santis

Come di consueto, l’orgoglio cattolico corona nel Meeting di CL la propria autocelebrazione, lancia progetti politici, tende la mano al sacerdote del Centro Casini e quest’anno, più che in passato, per voce di Bagnasco, lamenta un tentativo di violento ostracismo dalla vita politica e sociale del nostro Paese. Surreale se non comico questo outing da chiesa perseguitata, sfrontato rispetto all’evidenza della vita politica nazionale. Tutti gli appuntamenti più importanti dell’agenda di palazzo hanno visto non soltanto il contributo e l’osservazione degli alti prelati, ma il pesante condizionamento della Santa Sede sulle scelte dell’elettorato in tante importanti occasioni, non risparmiandoci vere e proprie pagine di propaganda cattolica attraverso i media. Queste sono le vicende che allarmano e che fanno tremare coloro che hanno a cuore la laicità delle nostre istituzioni. Tolleriamo benissimo, su questo vorremmo rassicurare il cardinale Bagnasco, gli Angelus da Castel Gandolfo del Santo Padre, ai suoi appelli alla pace e alla guida sicura il sabato sera. Come sottolinea lo storico Melloni, le parole della Chiesa tradiscono le ragioni della paura e il discorso di Bagnasco è denso di profonde contraddizioni. Nessuno ha mai teorizzato, tantomeno in questo Paese, la chiusura privatistica della fede cattolica, la necessità di rinunciare alla testimonianza del messaggio cristiano, prima ancora che cattolico, nello spazio della società civile e nella vita politica. E’ la nostra storia: il passato e l’eredità di una cultura dominante in tutto il Vecchio Continente. Nessun imbarazzo, piuttosto una cifra di interpretazione della nostra identità. Il cardinale però cade in un errore concettuale e metodologico insieme. Lo fa sapendo bene soprattutto quello che tace piuttosto che quello che dichiara.

Non può dire apertamente che persino l’anima della destra, appendice storica di CL, sembra non garantire più abbastanza la difesa in trincea di alcuni dogmi etici, proprio quelli che possono diventare in una strategia di conversione forzata - eccola la tentazione - divieti di legge; quelli che invadono non tanto e non solo lo spazio della vita politica, ma il privato dei cittadini costretti in questo modo, per legge dello Stato e non per catechismo della chiesa, ad essere cattolici praticanti senza nemmeno saperlo. E’ questa la strategia nemmeno troppo occulta del vertice CEI ed è questa che – a dire di Bagnasco - non è più difesa abbastanza dalla destra.

Siamo abituati a questo misero dòmino. Negli anni 80 era Alex Zanotelli ed era allora il direttore di Nigrizia. Lanciava documentate denunce sulla politica corrotta di tanti governi africani sul commercio di armi, sulla mafia delle multinazionali. Accuse di fuoco per i nostri Craxi, Andreotti, Spadolini. Nel 1987 per esplicita volontà delle autorità ecclesiastiche padre Alex venne allontanato e rimosso dalla direzione del mensile. Troppo disturbo il suo impegno politico, la sua ossessiva ricerca della verità e lo smascheramento coraggioso di ogni forma di ingiustizia sociale e abuso. Un uomo in lotta con i poveri, un vero uomo del Vangelo, un religioso votato all’impegno cristiano nella società civile, uno che non conosce cosa significhi una fede solo privata, appesa al collo in un rosario o recitata in sagrestia.

Forse un po’ troppo impegnato per i gusti della CEI. Difficile giustificare questa alternanza a convenienza sul portare i valori della fede religiosa nella geografia del potere politico e nell’anima della società civile. Forse Bagnasco intende dire che questo vale solo per alcuni temi? Forse l’unica piazza in cui vuole cimentarsi è quella degli obiettori di coscienza, dei difensori dell’embrione, di quanti rifiutano pietà per Eluana Englaro?

Insomma forse il non detto è che la Chiesa postmoderna, in pieno vento di nuova controriforma, vive la contraddizione di pretendere controllo sul privato perché nel pubblico non ha più titoli di sovranità da rivendicare? Non sarà che mira a recuperare quello stesso titolo compiacendo di volta in volta il trono giusto, che diventa magari ancora più giusto se acconsente alla strategia della conversione, il tutto a scapito delle altre chiese e delle altre fedi?

Perché al di là dei pacati inviti alla convivenza pacifica tra religioni e culture diverse, la chiesa - come ogni chiesa - non ha mai smesso di combattere la sua guerra santa. La nostra lo fa in modo tutto occidentale e lo fa proprio a partire dal privato dei cittadini, corrodendo quella distinzione essenziale tra uomo e civis su cui lo Stato nazionale moderno ha l’unica possibilità di sopravvivere a se stesso e adeguarsi alle morfologia di una geografia trans nazionale. E’ la loro ultima possibilità.

Perché se salta quel confine, salta ogni fondamento ragionevole e universalizzabile di ragione pubblica e diventa sempre più vincente quel modo tutto cattolico - ma potremmo dire tipico dei tre grandi monoteismi – d’intendere la politica per cui anche chi non è fedele deve adeguare il proprio profilo morale ai dettami di quella fede; spacciandolo per l’unico sistema morale possibile e confidando nel paternalismo istituzionale, quello secondo il quale chi decide lo fa per “il tuo bene”. Non sono cosi lontane sul piano concettuale le monarchie illuminate e a quanto pare non ancora scomparse del tutto, nonostante la robusta democrazia occidentale.

Perché Bagnasco mente. Non c’è bavaglio in uno Stato laico alla testimonianza pubblica di una fede religiosa. Non facciamo che sentire la loro voce e le loro prediche in ogni evento di questo paese. Ogni celebrazione eucaristica lo è e ogni spazio pubblico in cui la Chiesa liberamente interviene lo diventa. Non c’è religione che possa rinunciare alla politica della conversione e che possa pertanto essere privata della sua naturale vocazione all’impegno sociale. Chi lo fa è giustamente condannato senza ombre a livello internazionale.

Per ogni pratica profondamente spirituale, persino nelle forme più integrali di clausura e preghiera, esiste sempre un lato pubblico di impegno. E se questo è vero per ogni espressione di fede religiosa, lo è particolarmente per quella cristiana, che in Europa ha intessuto insieme al potere politico ogni angolo di storia, ogni scontro, la tensione della dialettica dei poteri ispirando la vita intera dei cittadini dal lavoro al pensiero. Ancora di più in Italia che paga a tutt’oggi il prezzo di avere in casa uno Stato religioso.

Il punto vero è che la Chiesa di Ratzinger come di Wojtyla vuole altro. Vuole convertire usando il voto dei cittadini con uno spirito di prevaricazione delle competenze che nulla c’entra con la libertà di testimoniare la fede. Vuole controllo e lo vuole assolutamente nel privato. L’unica strada libera per controllare il potere che non ha più ufficialmente. E per farlo non le bastano gli strumenti dell’omelia, dell’oratorio, delle missioni. Vuole farlo mutuando le forme del potere politico o ancor peggio mirando a condizionarle e ad asservirle con la teoria falsa di essere depositari della morale e dell’etica. Errore di contenuto, errore di metodo.

Il presidente della CEI era distratto forse quando don Tonino Bello nelle sue omelie tesseva il mosaico di un autentico manifesto politico contro la discriminazione degli stranieri, quando Oscar Romero veniva ucciso sull’altare da cui gridava la sua denuncia ai militari di El Salvador e non veniva ricevuto da Wojtila. E’ distratto quando Famiglia Cristiana scrive di discriminazione fascista ai danni degli stranieri. E’ distratto o non è d’accordo. Lui la politica preferisce farla ai meeting dei potenti, alla vigilia dei referendum, quando vorrebbe decidere al posto di ogni uomo e di ogni donna come fare l’amore, come concepire figli, come costruire una famiglia e come morire. Una tela di ragno velenosa che forse nemmeno il Parlamento italiano può tessere più con tanta disinvoltura.

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