di Saverio Monno

“Ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo, estremo baluardo della questione morale, è dovere della collettività: “resistere, resistere, resistere” come su una irrinunciabile linea del Piave”. Era il 12 gennaio 2002 quando Francesco Saverio Borrelli chiudeva la sua ultima relazione inaugurale dell’anno giudiziario. Era il secondo anno del secondo esecutivo Berlusconi e l’allora procuratore generale di Milano scendeva in trincea contro il governo per difendere l’indipendenza della magistratura dalle baldanze del cavaliere. Borrelli aveva già denunciato i molteplici provvedimenti della Cdl in materia di giustizia, dalla legge sul falso in bilancio, alla legge sulle rogatorie, agli infiniti ostacoli per rallentare il corso della giustizia. Ma quell’ultimo appello, contro l’avvento di “riforme minacciate, piuttosto che annunciate”, dai “trasparenti intenti punitivi”, ed aggravate dall’intento, neanche troppo celato, “di vincolare il pubblico ministero all’esecutivo”, lasciava tutti di sasso. Tutti tranne uno, sembra di capire. Infatti, a sei anni di distanza dall’appello estremo dell’ex capo di Mani Pulite e, a soli quattro dal “naufragio” della prima riforma-Castelli (bocciata e poi ridimensionata grazie all’intervento in extremis di Ciampi che ne decretò l’incostituzionalità), siamo punto e a capo. Il cavaliere è di nuovo sul sentiero di guerra ed è pronto a regolare i conti con la magistratura. Il progetto parla di una riforma del procedimento civile (che in autunno arriverà in Parlamento come ddl collegato alla finanziaria) e, a seguire, della mano pesante sul processo penale. Oltre alla separazione delle carriere fra gli “avvocati dell’accusa” (così ha definito Berlusconi i magistrati inquirenti ndr) e magistratura giudicante, vera e propria fissa del cavaliere, la maggioranza punta al “superamento dell’attuale ipocrisia della finta obbligatorietà”, all’introduzione di “criteri meritocratici nella valutazione del lavoro dei magistrati” e caldeggia demagogiche soluzioni al sovraffollamento carceri.

Archiviato, dunque, il momento critico dello “Schifani-bis” e messo “temporaneamente” al sicuro il premier dagli sviluppi delle sue pendenze processuali, sembra vi siano buone possibilità che la Corte costituzionale annulli la legge che sospende i processi per le quattro alte cariche dello Stato la trimurti Berlusconi-Ghedini-Alfano torna a “minacciare riforme radicali”. E questa volta il cavaliere fa le cose in grande. Non solo è tornato a corteggiare Casini, ma ha persino trovato un testimonial d’eccezione cui addebitare la paternità morale delle proprie furbizie. E’ Giovanni Falcone, il magistrato ucciso dalla mafia nell’attentato di Capaci nel 1992. In fondo tirare la giacchetta al martire paga. E poi quale nome migliore per blindare il provvedimento? Con la legge 30 ed il giuslavorista Biagi il trucco ha funzionato – guai, infatti, a criticarne i principi – e quindi magari funziona anche stavolta. “Il governo - dichiara, quasi commosso, il cavaliere al settimanale Tempi - conta di mettere in pratica molte delle sue idee”. E’ una provocazione bella e buona. E sin da subito, l’ennesima trovata pubblicitaria del premier ha finito per sollevare un vespaio. Costretta a rispondere anche Maria Falcone, sorella del magistrato palermitano. “Giovanni non ha mai chiamato i magistrati avvocati dell’accusa”, afferma in un’intervista. “Non vorrei che qualcuno pensasse di separare le carriere anche per annullare la separazione dei poteri”.

La sparata di Berlusconi chiama in causa l’Anm, che attraverso il suo segretario Giuseppe Cascini avverte: “In questi anni l’autonomia della magistratura è stata fortemente ridotta. Se introducessimo la politica nel Csm, come pare si stia cercando di fare, rischieremmo di richiamarci ad un modello fascista, dove la magistratura non è indipendente dal potere politico”. Ma l’attacco più duro arriva dal leader dell’Idv, Antonio Di Pietro. “Lasci stare Falcone, è come il diavolo che parla dell'acqua santa” sostiene l’ex magistrato. “I problemi della giustizia - aggiunge - stanno nella mancanza di fondi e nella penuria del personale, non nella mancata separazione delle carriere”. E poi conclude: “Falcone ha combattuto la mafia, Berlusconi molte volte ha ammiccato a mafiosi, anzi, si è portato a casa anche qualche stalliere e ha pure candidato in Parlamento qualcun altro condannato per averne favorito gli interessi”.

Ma stiano calmi i forcaioli, la riforma è “dalla parte dei magistrati”, sostiene Niccolò Ghedini. L’avvocato di fiducia del premier, in un’intervista a La Repubblica passa al contrattacco: “L’autunno sarà caldo per i parlamentari, ma non per i giudici. L’Anm e Cascini non accettano l´esito delle urne. La critica, anche aspra, è legittima e costruttiva, ma parlare di fascismo è diffamatorio. Se un magistrato esterna contro il premier deve pesare le parole”. La storia è la solita. Sono le toghe che lottano contro Berlusconi, perché “non sopportano la sua leadership”. “Subito le modifiche al processo civile - rilancia Ghedini - poi la riforma costituzionale per dar vita a due Csm, uno per i pm, l’altro per i giudici e quindi la separazione delle carriere”. Sull’obbligatorietà dell’azione penale è più cauto del cavaliere. “E’ un valore che ci dà certezza” sostiene. “E poi il pm non finirà sotto l’esecutivo - conclude - farò tutto quello che posso per garantire l´indipendenza della magistratura”.

Ma, ad eccezione del “non-omologato” Casini (come ama definirsi il leader Udc), che già si è detto disposto al dialogo, e degli attacchi dei radicali sia contro la maggioranza che contro l’Anm, le precisazioni del difensore di Berlusconi non convincono l’opposizione e dopo Di Pietro, persino il PD si getta pacatamente nella mischia. In casa Veltroni non sono in pochi a sostenere la necessità di rinviare la discussione alle aule del parlamento, ma attraverso Ermete Realacci il Partito Democratico denuncia: “Purtroppo la percezione della legalità di Berlusconi e del suo governo non mi pare coerente con la memoria di Falcone”.

Ma a destra, i colonnelli del premier fanno quadrato attorno al loro leader. “Bene così Berlusconi, avanti tutta” gridano dalle fila della Lega. “Le critiche non dicono niente di nuovo” accusa Fabrizio Cicchitto, presidente del Pdl alla Camera. “Il tema della giustizia costituisce un nervo scoperto per una parte della sinistra che non vuole rinunciare all’uso politico della magistratura”. D’altronde “questa impostazione - sostiene la presidente della Commissione Giustizia della Camera, Giulia Bongiorno - dà ampio riconoscimento al lavoro di molti magistrati, distinguendo con nettezza quelli che esercitano correttamente il loro potere da una minoranza che non sempre esercita con massimo rigore e imparzialità la funzione”. Quanto a Cascini, Gaetano Quagliarello (Pdl), membro della seconda commissione permanente giustizia, ha un suo modo di vedere come stanno le cose; le parole del segretario dell’Anm costituirebbero, a detta del senatore forzista, il “frutto di un cocktail diabolico fatto di ignoranza, presunzione corporativa e disprezzo della sovranità popolare”.

Stessa musica dunque e solita litania. E’ vietato dissentire. L’operato di Berlusconi non può essere messo in discussione, né come privato cittadino, dal giudizio di un tribunale, né come politico, dal giudizio della gente. La pesantezza del regime è tutta qui, in uno stallo lungo un ventennio, passato a combattere i capricci di un capo che prima o poi ottiene tutto ciò che vuole, complice l’indifferenza di una società, quella italiana, intorpidita da un incubo che non riesce a riconoscere come tale.

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