di Eugenio Roscini Vitali

Dal palco del congresso dei “Circoli del Buongoverno” il ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Maurizio Sacconi, sostiene: “Oggi siamo impotenti di fronte agli scioperi considerati irregolari dalla Commissione di garanzia. Questo perchè la sanzione è affidata al datore di lavoro. Abbiamo un'ipotesi d’intervento sui servizi di pubblica utilità che prevede, prima che si dia vita ad uno sciopero, il referendum consultivo, ma obbligatorio, tra i lavoratori e l'adesione individuale con un congruo tempo di anticipo”. Dicono che un tempo Sacconi era socialista, ma forse anche allora aveva idee decisamente diverse da quelle espresse da Filippo Turati che nel gennaio 1902, in una breve precisazione al Corriere della Sera, a proposito dello sciopero generale e dell'opportunità o meno di regolamentarlo, sosteneva la "assoluta libertà di sciopero" perché "diritto essenziale". Quell’idea di diritto che nel settembre del 1904 portò i lavoratori italiani, guidati dai socialisti, a quella forma di lotta sociale sviluppata qualche anno prima in Francia da Georges Eugène Sorel: lo sciopero generale.

di mazzetta

A seguito dell'anticipazione di un articolo de L'Espresso su Renato Brunetta, si è appreso che nel corso dei suoi mandati elettivi il ministro anti-fannulloni, in Italia come a Bruxelles, ha sempre frequentato il minimo necessario ad assicurarsi diarie e stipendi, con singolare costanza e precisione, quasi con scientificità. La prima parte dell'articolo-inchiesta è davvero chiara in questo senso. Poi L'Espresso ripercorre la carriera accademica, - anche questa caratterizzata dallo scarso impegno e da promozioni assai acrobatiche - e, infine, ripercorre l'arricchimento economico di Brunetta. In questo caso ventilando l'ipotesi di favoritismi dietro ad alcune operazioni immobiliari particolarmente redditizie. Brunetta ha risposto con veemenza, suggerendo poi con grande eleganza a L'Espresso di fare inchieste su De Benedetti, che è azionista di riferimento del giornale.

di Mariavittoria Orsolato

A quasi due mesi dall’inizio della mobilitazione, per la grande onda del movimento studentesco è giunto il tempo di tirare le somme. La manifestazione di venerdì è stata un successo su tutti i fronti, sia dal punto di vista dei numeri - 200.000 presenze secondo gli organizzatori, 30.000 (molto improbabili) per la Questura di Roma - sia da quello dei risultati. Un corteo allegro e pacifico ma allo stesso tempo cosciente e determinato, che di fatto ha trasformato l’onda in uno tsunami di cui nessuno poteva prevedere la portata. Nonostante le defezioni dell’ultimo minuto - la Cisl di Bonanni, assieme a Ugl e Snals, ha infatti deciso di revocare la sua adesione dopo il vertice di martedì scorso con la ministra Gelmini - il serpentone umano che ha paralizzato Roma per tutta la mattinata, è riuscito nell’intento di riportare l’attenzione pubblica, distratta da crisi economica e beghe politiche, sui temi della scuola, dell’università e della ricerca.

di Mario Braconi

Nella notte del 21 luglio 2001 diverse squadre della Mobile di Roma irrompono nella Scuola Diaz di Genova, dove sono accampati un centinaio di ragazzi che hanno partecipato alle manifestazioni contro il G8. Risultato: un centinaio di ragazzi feriti, un’ottantina di arresti arbitrari. Dopo 200 udienze, il tribunale di Genova, dopo dieci ore di camera di consiglio, ha condannato 13 dei 28 poliziotti imputati ad un totale di 36 anni: condanna minima rispetto ai 110 anni richiesti dai PM Zucca e Cardona Albini, chiamati a giudicare su una bruttissima storia di pestaggi selvaggi ed indiscriminati ai danni di giovani innocenti ed inermi, aggravati da conclamati episodi di crudele accanimento sulle vittime. Esemplari al proposito le vicende di una ragazza, manganellata sul capo fino a farle uscire della materia cerebrale, stando all’orripilante testimonianza di Michelangelo Fournier, all'epoca del G8 a Genova vice questore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma, condannato ieri a due anni e quella di un giornalista britannico, cui rappresentanti delle forze dell’ordine, a forza di calci, hanno fatto percorrere volando il perimetro di una stanza.

di Mariavittoria Orsolato

Dopo quasi 50 fumate nere è stato finalmente eletto quello che sarà il nuovo presidente di vigilanza Rai, ma aspettate a stappare lo champagne. La fumata bianca, quella che si attendeva da cinque mesi e che c’è quasi costata un Pannella in sciopero di fame e sete, è arrivata nel pomeriggio dopo una votazione che definire “cilena” pare quasi riduttivo. Il nuovo presidente di commissione è infatti Riccardo Villari e non Leoluca Orlando. Riassunto delle puntate precedenti: da quando in Parlamento sedevano Fanfani, Togliatti e Almirante, la regola ufficiosa di nomina del Presidente della commissione vigilanza Rai è sempre stata quella dell’alternanza, ovvero quella della nomina di un esponente dell’opposizione; anche stavolta si presumeva che il tacito accordo sarebbe valso e l’opposizione ha presentato come candidato l’ex sindaco della Palermo antimafia Leoluca Orlando. Essendo il nostro in quota Idv, è risultato immediatamente sgradito alla maggioranza la quale, a suon di assenze e di mancati numeri legali, ne ha boicottato l’elezione ben 46 volte a dispetto dei continui richiami dal Quirinale.


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