di Mariavittoria Orsolato

Continua a trascinarsi in una penosa catena di eventi il melodramma della commissione di vigilanza Rai. L’elezione a tradimento dell’ex Udeur Villari, come preannunciato, ha sollevato un polverone di polemiche e ha scoperto altarini che in molti disperavano ormai di vedere svelati. Dopo il battibecco sulla legittimità di un’elezione avvenuta fuori dalle normali consuetudini, le dimissioni di quello che già sembrava un cavallo di Troia, erano intese ed attese come atto dovuto ma, ad una settimana dall’annuncio, il nostro Villari Riccardo non sembra proprio intenzionato a lasciare la sedia a Sergio Zavoli - senatore Pd nonché ex presidente Rai - su cui i favori di entrambi gli schieramenti sono caduti dopo l’impasse Orlando. E siccome, a quanto si dice, “ la parola dimissioni non esiste nel vocabolario di un democristiano”, l’attuale presidente di commissione si dichiara “sereno” e prepara già bozze di regolamenti e ordini del giorno perché “è mia intenzione ferma porre al primo posto la priorità di ogni parlamentare, che è quella di rispettare e garantire le istituzioni repubblicane”. Come suol dirsi, il patriottismo è l’ultima spiaggia dei cialtroni.

di Saverio Monno

Tempi duri per il Paese. Occorre tirare la cinghia. Siamo in piena recessione ed alle prese con la più forte e lunga crisi economica che si ricordi. I margini di ricchezza si sono fortemente ridotti. Cosa fa il governo liberale in una congiuntura di questo tipo? Taglia la spesa pubblica, finge di ridurre le imposte ed abbandona ciascuno a se stesso. In questi primi mesi di attività, il governo ci ha dato solo un assaggio di tutto ciò, il “bello” deve ancora venire. Ci siamo liberati dell’ICI sulla prima casa - che a quanto pare era la causa principale dei dissesti economici familiari - ciononostante, se prima non si arrivava alla fine del mese, ora non si passa la prima settimana. Poi sono arrivati i tagli alla spesa pubblica. Erano vent’anni che cercavano di farci entrare nella zucca che “tutto ciò che è pubblico è spreco”, quest’estate si è passati ai fatti. “È finita la ricreazione!” come diceva qualcuno.

di Eugenio Roscini Vitali

Dal palco del congresso dei “Circoli del Buongoverno” il ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Maurizio Sacconi, sostiene: “Oggi siamo impotenti di fronte agli scioperi considerati irregolari dalla Commissione di garanzia. Questo perchè la sanzione è affidata al datore di lavoro. Abbiamo un'ipotesi d’intervento sui servizi di pubblica utilità che prevede, prima che si dia vita ad uno sciopero, il referendum consultivo, ma obbligatorio, tra i lavoratori e l'adesione individuale con un congruo tempo di anticipo”. Dicono che un tempo Sacconi era socialista, ma forse anche allora aveva idee decisamente diverse da quelle espresse da Filippo Turati che nel gennaio 1902, in una breve precisazione al Corriere della Sera, a proposito dello sciopero generale e dell'opportunità o meno di regolamentarlo, sosteneva la "assoluta libertà di sciopero" perché "diritto essenziale". Quell’idea di diritto che nel settembre del 1904 portò i lavoratori italiani, guidati dai socialisti, a quella forma di lotta sociale sviluppata qualche anno prima in Francia da Georges Eugène Sorel: lo sciopero generale.

di mazzetta

A seguito dell'anticipazione di un articolo de L'Espresso su Renato Brunetta, si è appreso che nel corso dei suoi mandati elettivi il ministro anti-fannulloni, in Italia come a Bruxelles, ha sempre frequentato il minimo necessario ad assicurarsi diarie e stipendi, con singolare costanza e precisione, quasi con scientificità. La prima parte dell'articolo-inchiesta è davvero chiara in questo senso. Poi L'Espresso ripercorre la carriera accademica, - anche questa caratterizzata dallo scarso impegno e da promozioni assai acrobatiche - e, infine, ripercorre l'arricchimento economico di Brunetta. In questo caso ventilando l'ipotesi di favoritismi dietro ad alcune operazioni immobiliari particolarmente redditizie. Brunetta ha risposto con veemenza, suggerendo poi con grande eleganza a L'Espresso di fare inchieste su De Benedetti, che è azionista di riferimento del giornale.

di Mariavittoria Orsolato

A quasi due mesi dall’inizio della mobilitazione, per la grande onda del movimento studentesco è giunto il tempo di tirare le somme. La manifestazione di venerdì è stata un successo su tutti i fronti, sia dal punto di vista dei numeri - 200.000 presenze secondo gli organizzatori, 30.000 (molto improbabili) per la Questura di Roma - sia da quello dei risultati. Un corteo allegro e pacifico ma allo stesso tempo cosciente e determinato, che di fatto ha trasformato l’onda in uno tsunami di cui nessuno poteva prevedere la portata. Nonostante le defezioni dell’ultimo minuto - la Cisl di Bonanni, assieme a Ugl e Snals, ha infatti deciso di revocare la sua adesione dopo il vertice di martedì scorso con la ministra Gelmini - il serpentone umano che ha paralizzato Roma per tutta la mattinata, è riuscito nell’intento di riportare l’attenzione pubblica, distratta da crisi economica e beghe politiche, sui temi della scuola, dell’università e della ricerca.


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