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di Monica Capo
Sono giorni che si cerca “la quadra”, giorni che improvvisati avventurieri cercano di votare, “con il cuore che gronda sangue”, una manovra finanziaria equa, giorni che si studiano norme che poi il giorno seguente puntualmente saltano, che si fa tutto e il contrario di tutto. Sembra proprio che il Governo non abbia capito ancora che l'Italia è sotto osservazione, che i mercati finanziari stanno affilando le armi e che, quando la BCE smetterà di comprare i titoli del debito pubblico, (e finirà perché non potrà certo sostenerci in eterno) allora sì che ne vedremo delle belle.
Intanto, gli italiani, in un impeto ormai sempre più forcaiolo (e talvolta anche qualunquista), ma, paradossalmente, non ancora abbastanza “indignados”, puntano il dito a intervalli regolari, contro la casta della politica, contro gli sprechi della Chiesa, contro gli evasori, contro i calciatori, contro i compensi dei sindacalisti e via discorrendo. In verità, è assolutamente sacrosanto che, in questo momento, non ci debba essere un solo capitolo del bilancio dello stato, che passi indenne da una seria revisione pubblica.
Bisognerebbe ricordare, ad esempio, anche i compensi dorati dei proprietari e manager (di Sky, Mediaset, Telecom, Gruppo Marcegaglia, Fiat, De Benedetti, etc); delle nostre famiglie di industriali, per intenderci, che, in gran parte, vivono di monopolio o commesse pubbliche e non di vero libero mercato. Ma, su questo, avete letto, di recente, qualcosa sulla stampa italiana? Sicuramente no, perché, a rigor di logica, nessun giornale denuncerebbe mai lo stesso sistema che lo finanzia.
E bisognerebbe, soprattutto, dire che è venuto il tempo di tagliare e rivedere completamente la nostra spesa militare: è assurdo continuare a spendere, in questo modo, almeno 24 miliardi di euro all'anno. Tanto più che, come ha affermato Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della pace, “si continua a chiedere agli italiani di stringere la cinghia e la discussione sui tagli assomiglia a una guerra balcanica”.
Dello stesso avviso è anche Padre Alex Zanotelli , che ha ricordato, nel suo nuovo appello "Manovra e armi, il male oscuro", per tagliare le spese militari, “che in Italia spendiamo oltre 50mila euro al minuto per la Difesa, cioè 3 milioni di euro all’ora e 76 milioni al giorno, neanche se fossimo invasi dagli UFO”. (l’appello è pubblicato sul sito (www.ildialogo.org). Ma, chiaramente, anche in questo caso i direttori dei principali quotidiani si guardano bene dallo spiegare ai lettori che vi è un’altra Casta - quella militare - che pesa sul debito pubblico; non spiegano i costi di Finmeccanica perché i loro editori fanno parte della stessa famiglia industriale.
Una cosa è certa: occorre da subito una mobilitazione ad oltranza, ma soprattutto coesione, perché tutte le lotte devono concretizzarsi in qualcosa, perché non possiamo continuare ognuno a far finta di fare la sua parte, in maniera ordinata, pensando soltanto a dove posizionarci politicamente, mentre i signori della finanza fanno governi e li disfano, e stracciano le nostre vite.
Basterebbe, semplicemente, fare tesoro dell’esperienza dei Referendum e magari procedere ad una seria riduzione delle spese militari perché, come afferma Padre Alex, “non è forse questa parola, bombardare, che caratterizza il modo della vita umana su questo pianeta nel Ventesimo secolo? Forse altri secoli sono stati altrettanto violenti come il nostro, ma noi che viviamo in questo siamo responsabili del suo presente e del suo futuro”.
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di Rosa Ana De Santis
Se abbiamo ancora l’idea di essere il paese dell’accoglienza ad oltranza, sommerso di clandestini che, una volta soccorsi nelle acque e ospitati in ostelli a vitto e alloggio gratis, come credono in tanti, diventano irreperibili, siamo lontani dai fatti reali. L’Italia, da tempo ormai, ha cambiato approccio e anima verso determinate questioni sociali nella propaganda politica e nella pratica. La solidarietà, anche quella annacquata dalla retorica del mandolino che ci da una fama di clemenza e allegria in giro per il mondo, anche quella quindi meno nobile e culturalmente meno elevata, si è estinta. Tanto nelle persone di estrazione più popolare, quanto nelle istituzioni che ci governano. Difficile stabilire chi abbia condizionato chi. Certo è che “all’italiana” facciamo tante cose, con benevolenza e con una patina di bontà genetica, ma non tutto. Com’è sempre stato, del resto.
Nella rotta tra Lampedusa e la Tunisia è da tempo che il Viminale autorizza, quasi alla chetichella, quello che nessuna carta di diritti umani e alcuna normativa ONU potrebbe tollerare. Per ogni barcone che vediamo arrivare sulle coste, le coperte termiche, l’assistenza sanitaria, e quelle montagne di persone condotte in quei centri che sono in realtà campi di detenzione, ce ne sono tanti altri che sono rimandati a casa. E’accaduto una settimana fa con 104 migranti fermati in mezzo al mare e rimandati a casa, ma il caso è tutt’altro che isolato. Numerose operazioni di soccorso, coordinate dalla Capitaneria di Porto e chiamate Sar “Save and Rescue”, spesso si sono trasformate in altro.
Il respingimento in mare avviene attraverso modalità fuori dal diritto e da ogni regolamentazione. Si parte con un approssimativo rilevamento della rotta (se è a ovest di Lampedusa) e con l’identikit somatico per stabilire la provenienza delle persone e approntare il respingimento, portando i naufraghi sulla nave italiana e organizzando il successivo trasbordo su una motovedetta tunisina. Impossibile, come richiederebbe la procedura, organizzare qualsiasi intelligente analisi dei casi individuali.
L’identificazione è collettiva e sommaria: non distingue i rifugiati, coloro che avrebbero diritto a richiedere asilo politico, dagli altri che pure, fuggono dalla guerra e dagli stenti, non certo per vacanza. Già nel 2009, allora in virtù degli accordi con l’amico Gheddafi, che in quei tempi era di casa, l’Italia si era resa responsabile di rimpatri fatti in questa maniera e a Strasburgo, oggi, il nostro paese è sotto processo per questi fatti.
Sono tantissimi i tunisini che avrebbero avuto diritto a chiedere asilo e che non sono mai arrivati sulle coste dell’Europa. In nome di respingimenti che non vengono dichiarati come tali e che avvengono nella più selvaggia discrezionalità, senza legge e senza regole. Il semplice pattugliamento viene prestato a operazioni politiche che il Viminale decide volta per volta e che poco hanno a che vedere con i rimpatri così come dovrebbero esser fatti: analizzando i casi e scongiurando il rischio, ad esempio, che un cittadino Saharawi, un potenziale richiedente asilo, come è accaduto per l’ultimo rimpatrio in mare, debba buttarsi nel Mediteranneo per evitare di tornare in patria.
L’ultimo soccorso trasformato in respingimento è stato appunto lo scorso 21 agosto, ci sono testimoni e fotografi a documentarlo. Il cambio di operazione è avvenuto nel giro di qualche telefonata e, tanto la Guardia di Finanza quanto la Capitaneria di Porto, non hanno molti argomenti con cui spiegare come abbiano fatto a identificare i singoli e soprattutto sono reticenti nel parlarne. Forse perché il diritto internazionale è scomparso dalle acque del Mare Nostrum. E se la volontà politica e la ragione del diritto non camminano insieme, l’insidia dell’ingiustizia è dietro l’angolo.
A margine, ma nemmeno troppo, la posizione del nostro Paese nella Comunità Europea sta diventando tutt’altro che semplice. Quando l’istituzione massima della sicurezza agisce esclusivamente sull’onda di una rotta di pensiero, scavalcando la legge, ogni azione di potere diventa repressione. Una medicina amara ma necessaria contro la solidarietà, sosterrebbero in tanti, che potrebbe però non risparmiare nessuno. Nemmeno al di qua del mare.
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di Carlo Musilli
Fin qui abbiamo scherzato. Dopo la manovra varata a luglio e il decretone di Ferragosto da 45,5 miliardi, ecco arrivare una bella pioggia di emendamenti. Al termine di un conclave durato più di sette ore, dal comignolo della reggia di Arcore è arrivata la fumata bianca. Berlusconi e Bossi - ma soprattutto Tremonti - hanno raggiunto un accordo sulle modifiche da apportare alla manovra bis, quella che ci dovrebbe consentire di arrivare al pareggio di bilancio nel 2013, rispettando così gli ordini impartiti dalla Bce.
Tecnicamente, si tratta delle correzioni a un provvedimento a sua volta correttivo. Nei fatti, si tratta di una nuova proposta che non ha nulla a che fare né col testo di partenza, né con la babele di ipotesi alternative buttate lì a casaccio nelle ultime due settimane. Terza manovra, terzo pasticcio.
I punti più importanti hanno a che vedere con il contributo di solidarietà e con le pensioni. La supertassa scompare magicamente, portandosi dietro i 3,8 miliardi che avrebbe garantito alle casse dello Stato. Al suo posto è in arrivo una nuova stretta sull'evasione e un secco taglio alle agevolazioni per le cooperative. Basterà? Staremo a vedere.
Su questo fronte, in ogni caso, è il Cavaliere a cantare vittoria. L'addizionale Irpef era indubbiamente una misura iniqua (perché colpiva praticamente solo i lavoratori dipendenti), ma soprattutto infliggeva una ferita mortale all'immagine che Berlusconi ha voluto costruire di sé negli ultimi 17 anni. Il paladino del liberismo proprio non poteva permettersela.
Per togliere di mezzo questo abominio, negli ultimi giorni era stata gettata in campo una girandola di idee piuttosto fantasiose. Alla fine sembrava certo che la supertassa sarebbe stata sostituita dall'aggiunta di un punto sull'aliquota Iva più alta (20%). Ma così non è stato, per la gioia dei commercianti e dell'oceano di partite Iva italiche. A spuntarla è stato Tremonti, che si è tenuto l'asso dell'Iva nella manica, pronto ad usarlo quando arriverà il momento della delega fiscale. Per questo bisogna far attenzione a parlare di una Via XX Settembre commissariata dal premier e dal senatùr. Il superministro opera nell'ombra, ma opera.
Quanto alle pensioni, la soluzione raggiunta è un capolavoro del compromesso. La Lega - granitica oppositrice di qualsiasi nuovo intervento in fatto di previdenza - ha salvato la faccia. Ma da chi non lavora più i quattrini arriveranno, e nemmeno pochi. Il trucco sta nell'aver colpito le pensioni di anzianità per via indiretta. In sostanza, i requisiti necessari ad ottenere l'assegno saranno calcolati senza più tener conto degli anni spesi all'università o per il servizio militare. Anni che comunque torneranno buoni per stabilire l'ammontare della pensione.
Altro capitolo spinoso è quello degli Enti locali. Oggi i Comuni hanno dato vita a una manifestazione da Star Trek, riuscendo a portare in piazza sindaci di qualsiasi partito. Ma sono stati accontentati solo in parte. Se infatti si salveranno i micro-municipi (era previsto l'accorpamento di quelli sotto i 3 mila abitanti), nel complesso i tagli agli Enti locali (9,5 miliardi in due anni) sono stati ridotti di soli due miliardi. Una decisione che sa tanto di contentino e che probabilmente non eviterà alle amministrazioni territoriali l'incubo di non poter più garantire ai cittadini neanche i servizi minimi, dagli asili nido ai trasporti pubblici.
Una strada ancora più tortuosa è quella imboccata dalle Province, che saranno abolite tramite una legge costituzionale che conterrà anche il dimezzamento dei parlamentari. Ora, per varare una modifica alla Carta - a voler immaginare che si vada avanti a spada tratta - ci vogliono come minimo nove mesi. In questo caso il Parlamento dovrebbe per giunta esprimersi con una maggioranza di due terzi a favore di una misura che ha già bocciato (non più di un mese fa) e di un'altra che rischia di bruciargli la poltrona sotto le natiche. Sembra fantascienza, ma al momento è forse più corretto definirla demagogia.
Da questo terzo pasticcio sorgono almeno due problemi macroscopici. Il primo ha prosaicamente a che fare con la moneta sonante. Com'è facile notare, gli emendamenti trattano per lo più di provvedimenti da cancellare. Come si può parlare allora di saldi invariati? Dove li troviamo 45,5 miliardi in due anni? Dalla maggioranza garantiscono che i conti tornano, ma non essendoci delle stime certe sui gettiti che i singoli interventi produrranno, non possono esserne poi così sicuri. Il guaio è che probabilmente anche a Bruxelles verranno dubbi di questo tipo. E non è scontato che il placet dato alla manovra del 12 agosto sia esteso anche alla sua nuova versione stravolta.
Il secondo problema riguarda il futuro del nostro Paese. Ieri il Fondo monetario internazionale ha tagliato le previsioni di crescita per l'economia italiana su 2011 e 2012. E noi abbiamo sprecato la terza occasione in due mesi per varare una qualsiasi misura a favore dell'occupazione e dello sviluppo delle imprese. Le liberalizzazioni, ad esempio, potevano essere approvate a costo zero. Bastava volerlo, invece niente. E, purtroppo per noi, l'occhio dei mercati riesce a vedere più lontano della politica.
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di Carlo Musilli
Mentre infuria la bagarre politica sulle modifiche da apportare alla manovra bis, il Senato è al lavoro. O meglio, ad essere impegnata è la prima commissione di Palazzo Madama. Quella che si occupa di "Affari costituzionali". La Casta sembra non farci caso - impegnata com'è a inventare nuove tasse per sostituire quelle stabilite appena due settimane fa - ma il provvedimento che ci dovrebbe portare al pareggio di bilancio nel 2013 contrasta in più punti con la nostra Costituzione. Un problema ben più serio rispetto ai capricci dei partiti o alle proteste degli Enti locali.
La critica più pesante mossa dalla commissione alla manovra riguarda il tanto odiato contributo di solidarietà. In particolare, l'addizionale Irpef sui redditi medio-alti "non appare sufficientemente rispettosa" dell'articolo 53 della Carta, quello che sancisce il principio di progressività del sistema tributario ("Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva"). Non basta. La misura violerebbe anche l'articolo 3 ("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge").
Questo perché la supertassa colpirebbe prevalentemente i lavoratori dipendenti - obbligati per loro natura all'onestà fiscale - mentre non toccherebbe i redditi degli evasori, che in Italia sono un popolo sterminato. E non stiamo parlando di pochi milionari, ma di chiunque abbia un reddito (lordo!) che superi 90 mila euro l'anno.
Nel parere della commissione si legge poi che "esenti dal contributo sarebbero le ricchezze patrimoniali, anche molto ingenti". E' intuitivo che tassare i patrimoni sarebbe una misura molto più equa ed efficace. Questo genere di prelievi incide molto meno sulla crescita economica di quanto non facciano quelli sul reddito, senza contare che è ben più difficile nascondere al Fisco i beni immobili rispetto allo stipendio. Purtroppo il vangelo berlusconiano, ammantato di liberismo, vieta di imboccare una strada del genere.Ciò non toglie che il Cavaliere sia il primo a detestare il contributo di solidarietà, un orrore che lo costringe a "mettere le mani nelle tasche degli italiani". Vorrebbe proprio levarlo di mezzo. E allora via con la girandola di misure alternative per sostituire la supertassa: dall'aumento dell'Iva (che però "deprimerebbe i consumi") a nuovi interventi sulle pensioni (negati dalla Lega), fino all'ultima creatura partorita dalla mente di Roberto Calderoli, una specie di tassa-Frankenstein misteriosamente definita "patrimoniale sugli evasori".
Sorvolando sul fatto che ancora non si conosce né la soglia né l'aliquota di questa nuova trovata ("oggi pomeriggio continueremo a scriverla", ha detto giovedì mattina il ministro delle Semplificazioni), rimangono perlomeno dei dubbi semantici. Se un patrimonio è "evaso", vuol dire che lo Stato non sa della sua esistenza. Come fa a tassarlo?
Ma torniamo ai problemi di costituzionalità. I dubbi della commissione riguardano infatti anche altri provvedimenti contenuti nella manovra d'agosto. Ad esempio quello che colpisce le tredicesime dei dipendenti pubblici e il famoso Tfr. Ad oggi, il decreto stabilisce che il pagamento di questi assegni sia rinviato di due anni per chi sceglie la strada del pensionamento anticipato. Una decisione che "oltre a comprimere il diritto costituzionale alla retribuzione - si legge ancora nel parere dei senatori - appare particolarmente vessatoria nei confronti dei lavoratori".
La commissione chiede di rivedere anche la misura per l'accorpamento alle domeniche delle festività laiche (25 aprile, primo maggio, 2 giugno). Potrebbe rivelarsi un sacrificio inutile, considerando che "la relazione tecnica allegata al decreto tace circa la quantificazione dei risparmi che deriverebbero dall'applicazione di tale misura". Sarebbe quindi opportuno "verificare se l'accorpamento produca effetti economici rilevanti e tali da giustificare la soppressione delle festività".
Infine, bisognerebbe fare chiarezza sulle previste liberalizzazioni dei servizi pubblici gestiti dagli Enti locali. C'è infatti il rischio che interventi di questo tipo siano incompatibili "con gli effetti abrogativi prodotti da due dei quattro referendum del 12 e 13 giugno 2011".
Ora, il parere della commissione si definisce "non ostativo", nel senso che non ostacola l'approvazione della legge, a patto che siano quantomeno "riformulate" le misure contestate. Il vero problema è che non sappiamo nemmeno se domattina queste misure saranno ancora sull'agenda del governo. Dipende da quello che succederà oggi, termine di scadenza per la presentazione degli emendamenti. Arrivati a questo punto, la girandola della politica si deve fermare.
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di Ilvio Pannullo
Non sarà il politico italiano più simpatico all’opinione pubblica e a suo carico sono molte le critiche che possono essere mosse, ma quello che non può essere negato è che Giulio Tremonti sia un politico di razza. Intervenendo al Meeting di Rimini il ministro dell'Economia ha speso parole importanti nel commentare l’attuale situazione in cui versa l’economia del nostro continente, criticando, anche aspramente, le scelte fatte fino ad oggi da questo governo.
Nel descrivere e nell’analizzare l’attuale crisi ha individuato i problemi e prospettato soluzioni, economicamente sagge e auspicabili, anche se politicamente difficili da ottenere. “Sulla crisi, non siamo ancora al game over. In giro ci sono ancora mostri”. Questa, in sintesi, la metafora cara al nostro ministro, sempre alla ricerca d’immagini facilmente comprensibili dal vasto pubblico, per descrivere l'attuale fase di turbolenza finanziaria che attraversa il mondo e l'Italia.
Per Tremonti il Meeting di Rimini, di cui il titolare del Tesoro è oramai divenuto ospite fisso, è stato un bagno di folla. È stato accolto dagli applausi del popolo ciellino sia il suo arrivo alla Fiera di Rimini che il suo discorso, attesissimo, che ha di fatto chiuso il Meeting. Tremonti - non lasciando nulla al caso - si è fatto prima fotografare sotto un'immagine di De Gasperi, quindi, dopo aver visitato la mostra sulla sussidiarietà, ha pranzato alla mensa di Cl, dove è stato subito attorniato da tanti giovani che gli si sono avvicinati per chiedere un autografo e farsi ritrarre assieme al ministro.
Poco prima, Tremonti aveva osservato all'ingresso della mostra la frase di don Giussani, per la quale “Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell'uomo” che ha riproposto come conclusione del suo intervento. Berlusconi e Formigoni sono avvisati: la loro leadership ora è meno solida, incalzata dal divino e odiosissimo professor Tremonti, un giorno ministro della Repubblica, un giorno commentatore critico - quasi estraneo - della globalizzazione, un giorno filosofo posticcio del pensiero cattolico.
Va detto che il discorso del ministro, più che sulla paura delle possibili conseguenze di una cattiva gestione della crisi, è stato proiettato sulla speranza che da questa situazione di aspra difficoltà si possa uscire gettando il cuore al di là del muro. Lancia in resta difende gli Eurobond - titoli del debito pubblico emessi dall’Unione Europea per sostenere i debiti nazionali i tutti gli Stati membri - e critica la posizione della Germania. “Il tempo degli Eurobond sta arrivando” afferma, respingendo “l'idea che servano solo all'Italia e alla Spagna ma che non convengano alla Germania”. Per il titolare del Tesoro, infatti, “queste obiezioni sono commenti sbagliati e non appropriati, perché - spiega - gli Eurobond sono uno strumento di consolidamento fiscale per la moneta comune e rappresentano l'unico modo per avviare una prospettiva di crescita e finanziare il nostro futuro coniugando il rigore con lo sviluppo”.
Tutto corretto - oseremmo dire - soprattutto la critica alla locomotiva teutonica. Le obiezioni nascono, infatti, da un deficit fondamentale degli intellettuali tedeschi nel dibattito sull'attuale crisi europea: l'astrarsi dalle sue cause economiche e di conseguenza il non proporre soluzioni efficaci per disinnescare la minaccia di una crisi dell'euro. La crisi economica viene interpretata in alcuni interventi recenti di Jürgen Habermas e di Heribert Prantl, soprattutto come una crisi delle istituzioni. Questo approccio - va detto con forza - è troppo limitato. Le istituzioni europee e la loro legittimità democratica, infatti, sono sempre più subordinate al protettorato della dottrina economica dominante.
Ma l’Europa è molto più del saggio d’interesse a cui la Banca Centrale Europea presta il suo (è suo, non nostro) denaro, è molto più della somma dei singoli Prodotti Interni Lordi degli Stati membri dell’Unione: l’Europa è un’idea. Un’idea millenaria, per cui vale la pena di lottare. Un’idea che peraltro è descritta, anche in modo minuzioso ed enfatico, in tutti i preamboli di ogni suo trattato istitutivo: dai Trattati di Roma al Trattato di Lisbona, passando per l’Atto Unico Europeo e il trattato di Maastricht.
Ed è in quest’ottica che s’inserisce il discorso del ministro Tremonti, secondo il quale per superare la crisi “è fondamentale creare un blocco europeo”. “Non ci sono idee anticipate - tiene a puntualizzare, dopo aver ripercorso la storia della formulazione degli Eurobond, a partire dalla presidenza europea di Jacques Delors - ma esistono solo idee che aspettano il loro tempo e quel tempo ora sta arrivando”.
Poi arriva la bacchettata, a quello che ormai appare sempre più come un avversario politico, che come il presidente del suo partito: “Troppi governi (tra cui il nostro, di cui lo stesso Tremonti è colonna portante) hanno pensato che quella che si avviava non era una crisi ma solo un ciclo” dice il ministro rilevando che “dall'avvio della crisi sono stati commessi molti errori”. Al tempo stesso, però, come per volersi schermare dalle sicure critiche interne al suo (ma lo sente ancora come proprio?) partito, Tremonti osserva che “la crisi ha una dimensione finora non nota nell'esistente”.
L'analisi di Tremonti è nota: “La crisi - ha continuato nel suo discorso - è stata gestita usando, per i salvataggi, i debiti pubblici e così la medicina é diventata il male in sé". “Molti errori - osserva - sono stati finora commessi: non é stato ristrutturato il sistema bancario, anzi il denaro pubblico è stato usato per salvare le banche; non sono state scritte, se non per finta, le regole sulla finanza che, essendo materia complicata, dovevano essere proposte dai banchieri e non dovevano farle i governi”. Come a dire che se il problema nasce dal sistema bancario, è da folli pensare seriamente che la soluzione dello stesso possa venire da chi è il principale colpevole della situazione in cui ci troviamo. Ma allora - ed è questo il punto su cui ci si deve seriamente interrogare - se le regole del sistema bancario vanno riscritte partendo dalla salvaguardia degli interessi nazionali e popolari, perché nulla è stato fatto? Chi è che scrive le leggi, la politica o i banchieri?