di Ilvio Pannullo

Non sarà il politico italiano più simpatico all’opinione pubblica e a suo carico sono molte le critiche che possono essere mosse, ma quello che non può essere negato è che Giulio Tremonti sia un politico di razza. Intervenendo al Meeting di Rimini il ministro dell'Economia ha speso parole importanti nel commentare l’attuale situazione in cui versa l’economia del nostro continente, criticando, anche aspramente, le scelte fatte fino ad oggi da questo governo.

Nel descrivere e nell’analizzare l’attuale crisi ha individuato i problemi e prospettato soluzioni, economicamente sagge e auspicabili, anche se politicamente difficili da ottenere. “Sulla crisi, non siamo ancora al game over. In giro ci sono ancora mostri”. Questa, in sintesi, la metafora cara al nostro ministro, sempre alla ricerca d’immagini facilmente comprensibili dal vasto pubblico, per descrivere l'attuale fase di turbolenza finanziaria che attraversa il mondo e l'Italia.

Per Tremonti il Meeting di Rimini, di cui il titolare del Tesoro è oramai divenuto ospite fisso, è stato un bagno di folla. È stato accolto dagli applausi del popolo ciellino sia il suo arrivo alla Fiera di Rimini che il suo discorso, attesissimo, che ha di fatto chiuso il Meeting. Tremonti - non lasciando nulla al caso - si è fatto prima fotografare sotto un'immagine di De Gasperi, quindi, dopo aver visitato la mostra sulla sussidiarietà, ha pranzato alla mensa di Cl, dove è stato subito attorniato da tanti giovani che gli si sono avvicinati per chiedere un autografo e farsi ritrarre assieme al ministro.

Poco prima, Tremonti aveva osservato all'ingresso della mostra la frase di don Giussani, per la quale “Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell'uomo” che ha riproposto come conclusione del suo intervento. Berlusconi e Formigoni sono avvisati: la loro leadership ora è meno solida, incalzata dal divino e odiosissimo professor Tremonti, un giorno ministro della Repubblica, un giorno commentatore critico - quasi estraneo - della globalizzazione, un giorno filosofo posticcio del pensiero cattolico.

Va detto che il discorso del ministro, più che sulla paura delle possibili conseguenze di una cattiva gestione della crisi, è stato proiettato sulla speranza che da questa situazione di aspra difficoltà si possa uscire gettando il cuore al di là del muro. Lancia in resta difende gli Eurobond - titoli del debito pubblico emessi dall’Unione Europea per sostenere i debiti nazionali i tutti gli Stati membri - e critica la posizione della Germania. “Il tempo degli Eurobond sta arrivando” afferma, respingendo “l'idea che servano solo all'Italia e alla Spagna ma che non convengano alla Germania”. Per il titolare del Tesoro, infatti, “queste obiezioni sono commenti sbagliati e non appropriati, perché - spiega - gli Eurobond sono uno strumento di consolidamento fiscale per la moneta comune e rappresentano l'unico modo per avviare una prospettiva di crescita e finanziare il nostro futuro coniugando il rigore con lo sviluppo”.

Tutto corretto - oseremmo dire - soprattutto la critica alla locomotiva teutonica. Le obiezioni nascono, infatti, da un deficit fondamentale degli intellettuali tedeschi nel dibattito sull'attuale crisi europea: l'astrarsi dalle sue cause economiche e di conseguenza il non proporre soluzioni efficaci per disinnescare la minaccia di una crisi dell'euro. La crisi economica viene interpretata in alcuni interventi recenti di Jürgen Habermas e di Heribert Prantl, soprattutto come una crisi delle istituzioni. Questo approccio - va detto con forza - è troppo limitato. Le istituzioni europee e la loro legittimità democratica, infatti, sono sempre più subordinate al protettorato della dottrina economica dominante.

Ma l’Europa è molto più del saggio d’interesse a cui la Banca Centrale Europea presta il suo (è suo, non nostro) denaro, è molto più della somma dei singoli Prodotti Interni Lordi degli Stati membri dell’Unione: l’Europa è un’idea. Un’idea millenaria, per cui vale la pena di lottare. Un’idea che peraltro è descritta, anche in modo minuzioso ed enfatico, in tutti i preamboli di ogni suo trattato istitutivo: dai Trattati di Roma al Trattato di Lisbona, passando per l’Atto Unico Europeo e il trattato di Maastricht.

Ed è in quest’ottica che s’inserisce il discorso del ministro Tremonti, secondo il quale per superare la crisi “è fondamentale creare un blocco europeo”. “Non ci sono idee anticipate - tiene a puntualizzare, dopo aver ripercorso la storia della formulazione degli Eurobond, a partire dalla presidenza europea di Jacques Delors - ma esistono solo idee che aspettano il loro tempo e quel tempo ora sta arrivando”.

Poi arriva la bacchettata, a quello che ormai appare sempre più come un avversario politico, che come il presidente del suo partito: “Troppi governi (tra cui il nostro, di cui lo stesso Tremonti è colonna portante) hanno pensato che quella che si avviava non era una crisi ma solo un ciclo” dice il ministro rilevando che “dall'avvio della crisi sono stati commessi molti errori”. Al tempo stesso, però, come per volersi schermare dalle sicure critiche interne al suo (ma lo sente ancora come proprio?) partito, Tremonti osserva che “la crisi ha una dimensione finora non nota nell'esistente”.

L'analisi di Tremonti è nota: “La crisi - ha continuato nel suo discorso - è stata gestita usando, per i salvataggi, i debiti pubblici e così la medicina é diventata il male in sé". “Molti errori - osserva - sono stati finora commessi: non é stato ristrutturato il sistema bancario, anzi il denaro pubblico è stato usato per salvare le banche; non sono state scritte, se non per finta, le regole sulla finanza che, essendo materia complicata, dovevano essere proposte dai banchieri e non dovevano farle i governi”. Come a dire che se il problema nasce dal sistema bancario, è da folli pensare seriamente che la soluzione dello stesso possa venire da chi è il principale colpevole della situazione in cui ci troviamo. Ma allora - ed è questo il punto su cui ci si deve seriamente interrogare - se  le regole del sistema bancario vanno riscritte partendo dalla salvaguardia degli interessi nazionali e popolari, perché nulla è stato fatto? Chi è che scrive le leggi, la politica o i banchieri?

 

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