di Rosa Ana De Santis

Se abbiamo ancora l’idea di essere il paese dell’accoglienza ad oltranza, sommerso di clandestini che, una volta soccorsi nelle acque e ospitati in ostelli a vitto e alloggio gratis, come credono in tanti, diventano irreperibili, siamo lontani dai fatti reali. L’Italia, da tempo ormai, ha cambiato approccio e anima verso determinate questioni sociali nella propaganda politica e nella pratica. La solidarietà, anche quella annacquata dalla retorica del mandolino che ci da una fama di clemenza e allegria in giro per il mondo, anche quella quindi meno nobile e culturalmente meno elevata, si è estinta. Tanto nelle persone di estrazione più popolare, quanto nelle istituzioni che ci governano. Difficile stabilire chi abbia condizionato chi. Certo è che “all’italiana” facciamo tante cose, con benevolenza e con una patina di bontà genetica, ma non tutto. Com’è sempre stato, del resto.

Nella rotta tra Lampedusa e la Tunisia è da tempo che il Viminale autorizza, quasi alla chetichella, quello che nessuna carta di diritti umani e alcuna normativa ONU potrebbe tollerare. Per ogni barcone che vediamo arrivare sulle coste, le coperte termiche, l’assistenza sanitaria, e quelle montagne di persone condotte in quei centri che sono in realtà campi di detenzione, ce ne sono tanti altri che sono rimandati a casa. E’accaduto una settimana fa con 104 migranti fermati in mezzo al mare e rimandati a casa, ma il caso è tutt’altro che isolato. Numerose operazioni di soccorso, coordinate dalla Capitaneria di Porto e chiamate Sar “Save and Rescue”, spesso si sono trasformate in altro.

Il respingimento in mare avviene attraverso modalità fuori dal diritto e da ogni regolamentazione. Si parte con un approssimativo rilevamento della rotta (se è a ovest di Lampedusa) e con l’identikit somatico per stabilire la provenienza delle persone e approntare il respingimento, portando i naufraghi sulla nave italiana e organizzando il successivo trasbordo su una motovedetta tunisina. Impossibile, come richiederebbe la procedura, organizzare qualsiasi intelligente analisi dei casi individuali.

L’identificazione è collettiva e sommaria: non distingue i rifugiati, coloro che avrebbero diritto a richiedere asilo politico, dagli altri che pure, fuggono dalla guerra e dagli stenti, non certo per vacanza. Già nel 2009, allora in virtù degli accordi con l’amico Gheddafi, che in quei tempi era di casa, l’Italia si era resa responsabile di rimpatri fatti in questa maniera e a Strasburgo, oggi, il nostro paese è sotto processo per questi fatti.

Sono tantissimi i tunisini che avrebbero avuto diritto a chiedere asilo e che non sono mai arrivati sulle coste dell’Europa. In nome di respingimenti che non vengono dichiarati come tali e che avvengono nella più selvaggia discrezionalità, senza legge e senza regole. Il semplice pattugliamento viene prestato a operazioni politiche che il Viminale decide volta per volta e che poco hanno a che vedere con i rimpatri così come dovrebbero esser fatti: analizzando i casi e scongiurando il rischio, ad esempio, che un cittadino Saharawi, un potenziale richiedente asilo, come è accaduto per l’ultimo rimpatrio in mare, debba buttarsi nel Mediteranneo per evitare di tornare in patria.

L’ultimo soccorso trasformato in respingimento è stato appunto lo scorso 21 agosto, ci sono testimoni e fotografi a documentarlo. Il cambio di operazione è avvenuto nel giro di qualche telefonata e, tanto la Guardia di Finanza quanto la Capitaneria di Porto, non hanno molti argomenti con cui spiegare come abbiano fatto a identificare i singoli e soprattutto sono reticenti nel parlarne. Forse perché il diritto internazionale è scomparso dalle acque del Mare Nostrum. E se la volontà politica e la ragione del diritto non camminano insieme, l’insidia dell’ingiustizia è dietro l’angolo.

A margine, ma nemmeno troppo, la posizione del nostro Paese nella Comunità Europea sta diventando tutt’altro che semplice. Quando l’istituzione massima della sicurezza agisce esclusivamente sull’onda di una rotta di pensiero, scavalcando la legge, ogni azione di potere diventa repressione. Una medicina amara ma necessaria contro la solidarietà, sosterrebbero in tanti, che potrebbe però non risparmiare nessuno. Nemmeno al di qua del mare. 

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