di Rosa Ana De Santis

Riprendendo la tradizione che contraddistingue l’Udc, Casini, a margine della conferenza stampa alla Camera dei Deputati dopo la valutazione di Standard & Poor’s sul debito nazionale, lancia l’appello agli uomini di buona volontà della maggioranza. Una nuova fase del Pdl, per risparmiare all’Italia in crisi nerissima lo spettro della Grecia, ovvero un’entrata in scena del suo partito: l’unico vero ago della bilancia dell’agone politico italiano. Frattini ha già risposto all’appello, promettendo qualche poltrona e un armistizio di fine legislatura che però preveda sempre la presenza del Cavaliere.

L’imbarazzo della maggioranza è tale che si pensa a un governo Alfano con Berlusconi come garante per le riforme. Ma da Palazzo Grazioli il premier persiste nel non mollare. Sul banco dell’accordo ci sarebbero temi fondamentali per il futuro del Paese: una riforma del quadro costituzionale che comprenda la legge elettorale, una manovra per la crescita, la riforma della giustizia.

La diplomazia parlamentare è al lavoro, ma all’ennesima soluzione politichese, scollata dagli elettori e affidata agli inciuci di Palazzo, il Pd non ci sta e rinnova l’invito alle urne, magari con una nuova legge elettorale fatta prima. Casini non vuole che il suo partito si trasformi in una “zattera di salvataggio”, cosi va dicendo da un po’ e maschera con la responsabilità la consueta attitudine a governare senza avere la maggioranza dagli elettori. L’Udc è la prova che il vero partito di governo stabile in Italia è il centro. Quello che fa la maggioranza anche quando i numeri non ci sono più.

Anche il Pd si candida per il governo di responsabilità nazionale, ma siamo quasi sicuri che non sia quella di cui parla Casini. Quella che vede già l’agonia del Pdl imbandita per prolungare la festa. Quella di palazzo di Grazioli, che i cattolici - CEI in testa - pare disdegnino con troppo silenzio, e quella fatta al popolo sovrano.
 

di Rosa Ana De Santis

Le nuove intercettazioni e l’ennesima resistenza del Premier a chiarire la propria posizione di fronte ai magistrati, offrono l’ennesima immagine impietosa di corruzione morale e ricattabilità cui il Paese è abituato da tempo. Ieris era, alle 20,00 é scaduto l'ultimatum che i magistrati hanno dato al Premier per incontrarlo e definire la sua posizione nell'inchiesta. Servirà la richiesta al Parlamento per l'accompagnamento coatto o il cav avrà un sussulto di decenza e andrà dai magistrati a riferire?

Nel peggior momento di crisi economica e d’isolamento internazionale, il mercato, Confindustria, l’Europa e non solo i sindacati e le piazze individuano in Berlusconi la causa della perdita di credibilità nazionale. Ma oltre l’architettura politico-parlamentare della vicenda c’è una questione culturale e sociologica che ormai possiamo considerare assurta alla pianificazione di una vera e propria teoria che, proprio per dignità, può essere meglio definita come anticulturale.

Sono proprio le voci delle prostitute a caccia di contrattini e comparsate tv a confermarcelo. La vendita del corpo, sempre esistita e sempre in voga nel mondo dell’entertainment, dove negli ultimi 20 anni non è mai stato necessario avere grandi doti artistiche, è diventata molto più che una pratica, qualcosa di più che il “mestiere più vecchio del mondo”. E’ la prima volta, soprattutto in un Paese come il nostro, condizionato da un sostrato culturale profondamente religioso, che quello che accade diventa qualcosa da raccomandare, una teoria che può essere legittimata e nobilitata. Per le ragazzine, le più giovani, quelle più desiderate da Berlusconi, quelle che dalle madri e dai fratelli sono spinte senza pudore a “concedersi al drago”.

E’ una delle escort preferite, Terry De Niccolò, a sintetizzarlo in poche parole in un’intervista. La volgarità delle affermazioni è il male minore in quella che viene sfornata come una pratica di cui non vergognarsi, e che ha per presupposto un’idea della società che rasente il limite del nazismo culturale e del darwinismo sociale. La società pensata dentro le camere di Arcore è quella in cui le “racchie” devono soccombere, i vincenti (coloro che hanno denaro, non importa come e se talentuosi) possono sbancare. Manca la rupe di Sparta da cui lanciare i più deboli per completare il quadro aberrante.

Che il premier utilizzi risorse pubbliche (dai voli di Stato alla promozione di consulenze e faccendieri in aziende come Finmeccanica ed Eni e altro ancora) sarebbe motivo sufficiente a sputtanare (è il caso di dirlo) le celebrate rivendicazioni di libero uso delle proprie risorse personali, ancorché in modo vergognoso. Ma l’aspetto peggiore è che la professione più antica del mondo diventa il fulcro sul quale fa leva il movimento assillante del premier e del suo nutrito numero di sodali, maschi o femmine che siano.

Beninteso, la disponibilità ad offrirsi in cambio di qualcosa non nasce con Berlusconi. Berlusconi ha avuto però l’abilità di rendere confessabili quelle voluttà, le più basse e le più volgari, che grazie a lui, per il semplice fatto di esistere, diventano legittimabili. La prostituzione è nobilitata come il modo migliore per avere successo, collocazione professionale e ruolo sociale.

Non è certo la prostituzione della strada, non è nemmeno quella dei vecchi bordelli dove le donne che avevano solo la propria disponibilità carnale facevano l’unica cosa che sapevano fare. Ora è un vestito che può essere cucito addosso a tutte, un lavoro confezionato in un nome migliore, un futuro per le ragazzine d’Italia. La scorciatoia efficace per superare il traffico reso intasato delle tante aventi diritto per capacità e titoli. Qualcosa che davanti ai microfoni non scuote più la coscienza di tanti genitori. Basta che le figlie abbiano la faccia carina di Noemi Letizia o quella voluttuosa di Ruby. Studentesse, impiegate, aspiranti deputate, manager: tutte in lizza per avere un futuro e per offrirsi come nella prima repubblica si offrivano le bustarelle.

Era stato proprio Berlusconi a suggerire in prima serata alla precaria, giovane e carina, di sistemarsi trovando un fidanzato ricco. Altro che teoremi sul precariato e sul lavoro incessante delle Istituzioni. La ricetta di Palazzo Grazioli è un’altra, talmente un’altra che il Cavaliere ci lavora ogni notte. E’ comico dover associare tutto questo al governo che ha raccolto voti sulla propaganda della cultura del merito, sulla talentuosità dei giovani e sul mito americano del “self made man” come viatico di organizzazione sociale e personale. E’ evidente che l’unico merito che si riconosce, nella fattispecie alle donne, è quello del canone estetico e della disponibilità a prostituirsi per ottenere qualsiasi cosa: un contrattino, una manciata di gioielli, un aumento di carriera. Altro che studio, inglese, formazione e competenza. Inevitabile vedere in parallelo le norme del livido Sacconi contro il lavoro in contemporanea con l’esaltazione del mestiere. Sono le due facce della stessa medaglia.

A perdere, alla fine di questa storia, non sarà solo l’uomo Berlusconi, se non sullo scacchiere della partita di governo, ma un’intera generazione di donne che, ormai palesemente, potranno rivendicare l’attività sessuale come unico merito riconosciuto e riconoscibile. Sono queste le macerie culturali e sociali da cui non sarà semplice riprendersi, soprattutto perché esse sono il sintomo che una cultura di reale emancipazione delle donne, dalla percezione sessista degli uomini, se mai c’è stata, è diventata minoritaria. Questo Berlusconi ha compreso prima degli altri e questo ha rilanciato in ogni casa italiana con le televisioni.

La pancia e il sotto cintura dei maschi è diventata filosofia di vita e stile, fine ultimo cui tendere la propria carriera. Il sesso è tornato ai suoi primitivi criteri maschilisti e di dominio. Le bassezze sono ormai sdoganate e prive di vergogna. E’ stato proprio Berlusconi a far uscire il sesso dalla privacy, che rivendicano i suoi legali, e dalla sua camera di letto. Lui l’ha trasformato in strumento sociale e culturale, nonché in calamita di voti da parte dei maschi invidiosi e delle donne innamorate del suo impero.

Tutto questo è potuto accadere proprio in un Paese che si dice cattolico, ma solo per molto meno. Un capo di governo ricattabile e in ostaggio delle proprie voluttà al punto da avvantaggiare papponi e compagni di governo a suon di appalti, non è certamente in grado di guidare un Paese. Ma la regressione culturale di fattura berlusconiana gli sopravviverà a lungo. E’ una certezza. Il precipitato peggiore di questo disordine clinico e morale, in cui per la prima volta è la politica ad entrare nel letto dell’imperatore, sarà quello di aver lasciato ai più giovani un significato distorto del merito e del successo. Pensare che la vendita di sé sia qualcosa di dignitoso e illudersi che il pollice in su di Nerone voglia dire di valere qualcosa. Men che mai ora, mentre Roma brucia, ma solo di vergogna.

 

di Carlo Musilli

Tra gli spifferi di Montecitorio, da tempo i parlamentari della maggioranza sussurravano la parolina proibita, la più detestata quando si parla di politica fiscale: condono. Ora che la manovra è legge e l'attenzione mediatica si è spostata altrove, l'impulso fin qui represso si è trasformato in parole scritte su carta bollata. Per di più attraverso uno strumento subdolo come l'Ordine del giorno, che non fa rumore, ma impegna il Governo ad agire in una certa direzione. In verità gli Odg approvati dall'Esecutivo in questi giorni sono stati una valanga, ma quello più interessante porta la firma di Domenico Scilipoti.

Il leader di quelli che una volta erano conosciuti come "Responsabili" (oggi "Popolo e territorio") ha deciso di non farsi mancare proprio niente, mettendo sul piatto sia un condono fiscale tombale sia uno edilizio. Il primo si applicherebbe sulle tasse evase dal 2006, il secondo sugli immobili fino a 400 metri cubi costruiti entro il 31 dicembre 2010. Secondo il "Re dei peones" (dal titolo dell'opera letteraria pubblicata da Scilipoti, con tanto di prefazione firmata Silvio Berlusconi), il condono dei "piccoli abusi destinati all'edilizia residenziale", sarebbe "opportuno" perché consentirebbe di reperire "immediate e certe risorse".

Sorvolando sul fatto che quantificare il gettito di un condono è un'operazione tutt'altro che "certa", e che la riscossione non è mai "immediata", come dimostrato dalle passate esperienze, è divertente come l'onorevole Scilipoti tenda a sminuire il senso della sua stessa proposta, presentandola come una faccenda di bonarietà e ragionevolezza. Non finge neanche di porsi il problema morale di fronte a una misura che fa l'interesse dei delinquenti.

Quanto al condono fiscale, da settimane i pidiellini Amedeo Laboccetta e Antonio Mazzocchi hanno prodotto un testo che pare abbia ricevuto larghi apprezzamenti. In sostanza, si tratterebbe di un'amnistia generalizzata (dall'Irpef all'Irap, fino ad arrivare, Europa permettendo, all'Iva) per tutti gli evasori che hanno rubato soldi al Fisco fra il 2006 e il 2009. Gettito previsto: 35 miliardi. "Sono più di 40 i colleghi deputati - spiega Laboccetta - che a Montecitorio hanno firmato il documento che io e l'amico Mazzocchi abbiamo elaborato e inviato al Segretario Angelino Alfano". Davvero un motivo d'orgoglio.

di Rosa Ana De Santis

La Giunta per le autorizzazioni della Camera ha votato, come previsto, per respingere la richiesta di arresto avanzata nei confronti di Marco Milanese dalla Procura di Napoli. Fondamentale la posizione del Carroccio, annunciata già alla vigilia del voto, in barba alla libertà di coscienza su cui Bossi dovrebbe dare il licet conclusivo. Contrari in 11 e a favore 10: così si è per ora salvato il braccio destro di Tremonti, il cui arresto avrebbe certamente comportato, in questa delicatissima fase dell’esecutivo, l’ennesimo contraccolpo.

Ma i giochi non sono conclusi e l’aula si esprimerà il 22 settembre sul voto della Giunta. Il dibattito si annuncia già infuocato, con i centristi che dichiarano voto secondo coscienza e il Pd che chiede il voto palese, insieme anche all’Udc, per restituire all’elettorato tutta la verità dell’ennesimo fattaccio giudiziario che inquina le Istituzioni e questo governo in modo particolare.

La comunicazione del governo continua ad essere tutta incentrata sul tema del “fumus persecutionis” e del massacro mediatico. Un po’ pochino. Le accuse pesantissime di corruzione, rivelazione di segreto d’ufficio, associazione a delinquere, opera di rallentamento delle indagini della Guardia di Finanza sugli affari  loschi delle assicurazioni internazionali, rivelazioni sulla condotta del Generale Adinolfi e i suoi avvisi sulle indagini in corso, sembrano inchiodare il consigliere numero uno del Ministro dell’Economia.

Proseguiranno le interviste di Tremonti per discolparsi della propria ingenuità e della “stupidata” commessa nell’abitare in una casa pagata da Angelo Proietti, titolare di società Edil Ars, uno dei tanti giri di Milanese, ma la sensazione è che sia tutto ininfluente. La questione è ormai tutta politica.

Questa mattina Bossi, durante la solita colazione a Via Giolitti, ai cronisti ha detto che “non gli piace mandare in galera la gente” e che “l’arresto gli pare una forzatura”. Il partito che nella maggioranza vorrebbe rappresentare la voce più popolare e più legata al territorio del Pdl in questo voto gioca una partita importante di fronte ai propri elettori. E il caso Milanese è, aldilà dell’epilogo giudiziario in aula, un colpo alla compattezza della maggioranza che non sarà indolore. Il voto è insieme un voto e un veto su Tremonti e la partita dipende, ancora una volta, dal Cavaliere.

di Rosa Ana De Santis

Un evidente caso di legittimo impedimento o una fuga, ma Berlusconi martedi sarà in Europa. Prima a Bruxelles per incontrare il Presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, poi a Stasburgo per un colloquio con il presidente della commissione Ue José Manuel Barroso. Salta quindi l’udienza fissata dalla procura di Napoli sulla presunta rete di ricatti ed estorsioni di Tarantini e Lavitola ai danni del premier, ma il capo della Procura Giovandomenico Lepore annuncia che sarà fissata presto una nuova data.

Ancora una volta, dunque, Berlusconi decide di sottrarsi ai pm, dopo aver denunciato la “solita macchina del fango”. Nelle ore dell’ennesimo caso scottante sul capo del governo, si è fatta persino strada, accanto all’opposizione tradizionale del Pd e all’invito di Bersani alle dimissioni, la tesi bizzarra di Buttiglione e dell’Udc. Dimissioni in cambio di salvacondotto, ovvero di una chiusura (non si capisce bene come) dei processi penali a suo carico.

Il tono caritatevole, utilizzato nell’offerta del presidente Udc al Premier, non soltanto restituisce una foto impietosa della giustizia italiana, ma lascia alla storia del paese un precedente legale (anzi illegale) pesantissimo, incoerente con quel principio di eguaglianza scritto nella Costituzione e finora ribadito senza tregua di fronte ai tentativi del governo di svuotarlo di senso; ma soprattutto legittima, in nome di un incarico politico, l’impunità per uno e uno solo.

Non si sa a nome di chi Buttiglione parli, molti l’hanno interpretata come una provocazione. E’ vero che da molto tempo, nel Palazzo e fuori, si parla di un ipotetico patto che il Premier potrebbe sottoscrivere che prevedrebbe la sua uscita di scena in cambio di una sanatoria generalizzata dei procedimenti a suo carico. Altre versioni, alle quali si associano sussurri del suo stesso entourage, riportano invece d’improbabili salvacondotti di tipo politico-istituzionale (vedi Quirinale). Ma qui saremmo alla fantascienza.

Molti hanno polemizzato duramente con la proposta dell’Udc, i dipietristi confidano appunto in una provocazione a sorpresa. Certo è che l’Italia liberata da Berlusconi inaugurerebbe una nuova fase della sua storia, ma liberata in questo modo trascinerebbe con sé più ombre di quelle che lascerebbe alla storia personale del Cavaliere, con un’ipoteca sul futuro le cui conseguenze sono difficili da prevedere.

Se Buttiglione voleva rimproverare alla sinistra di aver cavalcato troppo (e vanamente) la via giudiziaria alla spallata del governo, non può ignorare che dispensare un capo di governo dalle proprie responsabilità pubbliche non sarà indolore per la vita delle Istituzioni. Sorprende che sia proprio un paladino della moralità della politica a nobilitare l’indecenza pubblica e l’illegalità, che è materia ben diversa dalle abitudini sessuali di Berlusconi e dalla sua vita privata, argomenti che peraltro (vale la pena ricordare) interessano molto l’Udc quando si parla dei comuni cittadini e molto meno quando si parla di loro (vedi i divorzi di Casini o la vivace vita sessuale del deputato Mele).

Vero è che l’Udc lavora alacremente per un berlusconismo senza Berlusconi. Il tentativo di costruire un nuovo asse politico che, benedetto da Oltretevere, tenga dentro forzitalioti, democristiani di antico e nuovo corso, magari con alla testa un nuovo imprenditore o banchiere, ha certamente come presupposto l’uscita del cavaliere, come che sia. Insomma: con qualche decennio di ritardo, riecco spuntare il fattore K.

Ma non si tratta di opporsi a quest’ipotesi in nome della tattica politica. La tesi di Buttiglione è più grave per ciò che rischia di portare dopo Berlusconi. La normalizzazione di un Parlamento pieno zeppo d’indagati e condannati? Infatti: in nome di cosa la solidarietà dovrebbe valere solo per il Premier? Un tirannicidio concesso non è tale né autentico; è soltanto una somma azione d’ingiustizia e di immoralità. Davvero si può essere così ingenui da pensare che dispensato l’uomo, si risolleva un paese intero?

L’Udc utilizza lo stesso strumento della giustizia inseguito dal Pd, solo lo fa annullandolo. E proprio mentre lo vorrebbe annullare, ecco che lo ammette, cadendo nello stesso vizio di forma degli “anti Cav”. Lo ammette, pur se con l’eccezione. Che è però eccezione di legge e moralità. Ma è proprio ciò che non si può concedere. Soprattutto perché è solo la legge ciò che ci può salvare dagli abusi dell’uomo che si vorrebbe proteggere e anche dai moralisti. Tutti quelli che mentre lanciano strali di condanna, partecipano o vorrebbero partecipare agli stessi baccanali e conducono le prove generali di quando saranno loro i nuovi rais. Tutto più facile in un paese che perde pezzi di Costituzione e di storia. 


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