di Rosa Ana De Santis

Le nuove intercettazioni e l’ennesima resistenza del Premier a chiarire la propria posizione di fronte ai magistrati, offrono l’ennesima immagine impietosa di corruzione morale e ricattabilità cui il Paese è abituato da tempo. Ieris era, alle 20,00 é scaduto l'ultimatum che i magistrati hanno dato al Premier per incontrarlo e definire la sua posizione nell'inchiesta. Servirà la richiesta al Parlamento per l'accompagnamento coatto o il cav avrà un sussulto di decenza e andrà dai magistrati a riferire?

Nel peggior momento di crisi economica e d’isolamento internazionale, il mercato, Confindustria, l’Europa e non solo i sindacati e le piazze individuano in Berlusconi la causa della perdita di credibilità nazionale. Ma oltre l’architettura politico-parlamentare della vicenda c’è una questione culturale e sociologica che ormai possiamo considerare assurta alla pianificazione di una vera e propria teoria che, proprio per dignità, può essere meglio definita come anticulturale.

Sono proprio le voci delle prostitute a caccia di contrattini e comparsate tv a confermarcelo. La vendita del corpo, sempre esistita e sempre in voga nel mondo dell’entertainment, dove negli ultimi 20 anni non è mai stato necessario avere grandi doti artistiche, è diventata molto più che una pratica, qualcosa di più che il “mestiere più vecchio del mondo”. E’ la prima volta, soprattutto in un Paese come il nostro, condizionato da un sostrato culturale profondamente religioso, che quello che accade diventa qualcosa da raccomandare, una teoria che può essere legittimata e nobilitata. Per le ragazzine, le più giovani, quelle più desiderate da Berlusconi, quelle che dalle madri e dai fratelli sono spinte senza pudore a “concedersi al drago”.

E’ una delle escort preferite, Terry De Niccolò, a sintetizzarlo in poche parole in un’intervista. La volgarità delle affermazioni è il male minore in quella che viene sfornata come una pratica di cui non vergognarsi, e che ha per presupposto un’idea della società che rasente il limite del nazismo culturale e del darwinismo sociale. La società pensata dentro le camere di Arcore è quella in cui le “racchie” devono soccombere, i vincenti (coloro che hanno denaro, non importa come e se talentuosi) possono sbancare. Manca la rupe di Sparta da cui lanciare i più deboli per completare il quadro aberrante.

Che il premier utilizzi risorse pubbliche (dai voli di Stato alla promozione di consulenze e faccendieri in aziende come Finmeccanica ed Eni e altro ancora) sarebbe motivo sufficiente a sputtanare (è il caso di dirlo) le celebrate rivendicazioni di libero uso delle proprie risorse personali, ancorché in modo vergognoso. Ma l’aspetto peggiore è che la professione più antica del mondo diventa il fulcro sul quale fa leva il movimento assillante del premier e del suo nutrito numero di sodali, maschi o femmine che siano.

Beninteso, la disponibilità ad offrirsi in cambio di qualcosa non nasce con Berlusconi. Berlusconi ha avuto però l’abilità di rendere confessabili quelle voluttà, le più basse e le più volgari, che grazie a lui, per il semplice fatto di esistere, diventano legittimabili. La prostituzione è nobilitata come il modo migliore per avere successo, collocazione professionale e ruolo sociale.

Non è certo la prostituzione della strada, non è nemmeno quella dei vecchi bordelli dove le donne che avevano solo la propria disponibilità carnale facevano l’unica cosa che sapevano fare. Ora è un vestito che può essere cucito addosso a tutte, un lavoro confezionato in un nome migliore, un futuro per le ragazzine d’Italia. La scorciatoia efficace per superare il traffico reso intasato delle tante aventi diritto per capacità e titoli. Qualcosa che davanti ai microfoni non scuote più la coscienza di tanti genitori. Basta che le figlie abbiano la faccia carina di Noemi Letizia o quella voluttuosa di Ruby. Studentesse, impiegate, aspiranti deputate, manager: tutte in lizza per avere un futuro e per offrirsi come nella prima repubblica si offrivano le bustarelle.

Era stato proprio Berlusconi a suggerire in prima serata alla precaria, giovane e carina, di sistemarsi trovando un fidanzato ricco. Altro che teoremi sul precariato e sul lavoro incessante delle Istituzioni. La ricetta di Palazzo Grazioli è un’altra, talmente un’altra che il Cavaliere ci lavora ogni notte. E’ comico dover associare tutto questo al governo che ha raccolto voti sulla propaganda della cultura del merito, sulla talentuosità dei giovani e sul mito americano del “self made man” come viatico di organizzazione sociale e personale. E’ evidente che l’unico merito che si riconosce, nella fattispecie alle donne, è quello del canone estetico e della disponibilità a prostituirsi per ottenere qualsiasi cosa: un contrattino, una manciata di gioielli, un aumento di carriera. Altro che studio, inglese, formazione e competenza. Inevitabile vedere in parallelo le norme del livido Sacconi contro il lavoro in contemporanea con l’esaltazione del mestiere. Sono le due facce della stessa medaglia.

A perdere, alla fine di questa storia, non sarà solo l’uomo Berlusconi, se non sullo scacchiere della partita di governo, ma un’intera generazione di donne che, ormai palesemente, potranno rivendicare l’attività sessuale come unico merito riconosciuto e riconoscibile. Sono queste le macerie culturali e sociali da cui non sarà semplice riprendersi, soprattutto perché esse sono il sintomo che una cultura di reale emancipazione delle donne, dalla percezione sessista degli uomini, se mai c’è stata, è diventata minoritaria. Questo Berlusconi ha compreso prima degli altri e questo ha rilanciato in ogni casa italiana con le televisioni.

La pancia e il sotto cintura dei maschi è diventata filosofia di vita e stile, fine ultimo cui tendere la propria carriera. Il sesso è tornato ai suoi primitivi criteri maschilisti e di dominio. Le bassezze sono ormai sdoganate e prive di vergogna. E’ stato proprio Berlusconi a far uscire il sesso dalla privacy, che rivendicano i suoi legali, e dalla sua camera di letto. Lui l’ha trasformato in strumento sociale e culturale, nonché in calamita di voti da parte dei maschi invidiosi e delle donne innamorate del suo impero.

Tutto questo è potuto accadere proprio in un Paese che si dice cattolico, ma solo per molto meno. Un capo di governo ricattabile e in ostaggio delle proprie voluttà al punto da avvantaggiare papponi e compagni di governo a suon di appalti, non è certamente in grado di guidare un Paese. Ma la regressione culturale di fattura berlusconiana gli sopravviverà a lungo. E’ una certezza. Il precipitato peggiore di questo disordine clinico e morale, in cui per la prima volta è la politica ad entrare nel letto dell’imperatore, sarà quello di aver lasciato ai più giovani un significato distorto del merito e del successo. Pensare che la vendita di sé sia qualcosa di dignitoso e illudersi che il pollice in su di Nerone voglia dire di valere qualcosa. Men che mai ora, mentre Roma brucia, ma solo di vergogna.

 

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