La rivelazioni contenute nel libro di Ferruccio De Bortoli, circa le pressioni esercitate da Maria Elena Boschi, al tempo Ministro per le Riforme del governo Renzi, verso l’Ad di Unicredit, Ghizzoni, affinché il suo istituto acquisisse Banca Etruria, hanno assunto ormai significato paradigmatico per dimostrare con quanta arroganza mista a incompetenza si eserciti il potere del “giglio magico”. Che si caratterizza per esibire uno sfacciato disprezzo delle regole ed una spudorata ipocrisia e che presenta l’agire di una lobby come fosse la manifesta generosità di un gruppo di benemeriti filantropi.

Ci sono diversi modi per sprofondare nel ridicolo senza accorgersene. Uno di questi è quello di votare una legge come quella sul diritto all’autodifesa approvata in queste ore. Voluta soprattutto dal PD, la si può definire una legge a orologeria, nel senso che consente di notte quello che non permette di giorno, come fosse una norma sul comune senso del pudore.

La messa in minoranza del PD alla Commissione Affari Costituzionali del Senato è il primo, vero, segnale di allarme per Matteo Renzi. Cronache giornalistiche  raccontano di un anonimo renzian che, animato dal senso della misura che gli trasmette il suo leader, si sarebbe spinto ad una similitudine tra il voto di ieri in Commissione al Senato e l’attentato di Sarajevo all’Arciduca Francesco Ferdinando che scatenò la prima guerra mondiale.

L’espressione inglese “elephant in the living room”, elefante in salotto, indica una verità che, per quanto evidente, viene ignorata o minimizzata da tutti. L’immagine descrive bene quello che è accaduto sabato in Campidoglio, dove i capi di Stato e di governo dell’Ue si sono riuniti con i vertici delle istituzioni europee per celebrare i 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma. Tanta retorica, tante frasi fatte, tanti impegni vaghi. E una serie di elefanti che tutti hanno finto di non vedere.

La cifra del renzismo è l’occupazione a tappeto delle caselle di potere. L’ex premier si è dedicato a questa attività per anni nelle vesti di presidente del Consiglio e di segretario del Partito Democratico, ma non ha ancora finito. Anzi. Proprio ora che non ricopre più (ufficialmente) nessuna delle due posizioni a lui più care, Matteo Renzi si è prodotto in una memorabile prova di forza. L’occasione è stata l’ultima tornata di nomine ai vertici dei maggiori gruppi a controllo pubblico. 


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