Il garantismo non vieta le dimissioni, perché le dimissioni non sono un’ammissione di colpevolezza. Perciò chiedere un passo indietro al ministro dello Sport Luca Lotti, coinvolto nell’inchiesta Consip, non è affatto “sciacallaggio”, come vorrebbe la vulgata renziana. Nessuno nega al ministro la presunzione d’innocenza fino all’ultimo grado di giudizio: il punto è un altro. Lotti dovrebbe dimettersi dal Governo per vari motivi, tutti politici.

Sono ore decisive per le decisioni in casa PD. La speranza della sinistra interna di trovare nel Renzi sconfitto disponibilità all’ascolto e autocritica si è presto esaurita. Prevale infatti la consapevolezza di come il capo del PD intende rafforzare e non ridiscutere la morsa sua personale e del suo gruppo di fedelissimi su partito e governo.

Parlare di “bocciatura a metà” è ridicolo. La Consulta ha dichiarato incostituzionale l’Italicum nella parte che riguarda il ballottaggio, il vero cuore della riforma elettorale renziana. Per mesi l’ex premier ha decantato la sua legge ripetendo che “finalmente la sera stessa delle elezioni” avremmo conosciuto il nome del vincitore, il quale avrebbe avuto la possibilità di governare serenamente per l’intera legislatura.

La dialettica politica italiana sembra diventata una maionese impazzita. C’è chi propone indecenti censure sul web e chi improbabili tribunali del popolo. L’idea di verità con la “V” maiuscola agita il torpore tipico del post vacanze natalizie. Ma sarebbe stolto mettere sullo stesso piano le pericolose minacce censorie di un potere all’angolo, con le baggianate di Grillo, ormai visibilmente non in grado di gestire un Movimento che purtroppo, nel suo divenire forza politica, mostra inadeguatezza, assenza di equilibrio e di sintesi politica, elementi necessari per proporsi come forza di governo.

Siamo entrati nel 2017 ma il 2016 non ci ha abbandonati. In fondo, per molti aspetti quello appena finito è stato significativo, nel bene e nel male, di ciò che siamo oltre che di quel che siamo stati. L’Italia è stordita da una crisi economica che si è già mutata in crisi di civiltà e il susseguirsi di governi mai votati e di politiche mai volute estranea sempre più. La stagione di caccia ai diritti sociali non si chiude mai e l’aggettivo più usato dell’anno è “populisti”. Ma i populisti non esistono, esistono invece le politiche antipopolari.


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