La rivelazioni contenute nel libro di Ferruccio De Bortoli, circa le pressioni esercitate da Maria Elena Boschi, al tempo Ministro per le Riforme del governo Renzi, verso l’Ad di Unicredit, Ghizzoni, affinché il suo istituto acquisisse Banca Etruria, hanno assunto ormai significato paradigmatico per dimostrare con quanta arroganza mista a incompetenza si eserciti il potere del “giglio magico”. Che si caratterizza per esibire uno sfacciato disprezzo delle regole ed una spudorata ipocrisia e che presenta l’agire di una lobby come fosse la manifesta generosità di un gruppo di benemeriti filantropi.



Ferruccio De Bortoli è giornalista di razza e, seppure il suo ruolo di direttore al Corriere della Sera e a Il Sole24Ore lo abbia posto da sempre in una interlocuzione privilegiata con i poteri forti ed all’ascolto delle loro esigenze, ha mantenuto la schiena dritta ed una sostanziale libertà di penna che gli va riconosciuta. Un signore di rara educazione, di profonda cultura e capacità giornalistica. Dunque non sono ipotizzabili intenti “politici”: se scrive del colloquio tra Ghizzoni e la Boschi, significa che questo gli è stato riferito da fonte credibilissima. La cosa, del resto, la ammette indirettamente anche Renzi in una intervista al Foglio. Dunque si deve ragionare sul comportamento del Ministro.

Ebbene, è stato un agire fuori luogo, perché le sue deleghe non prevedevano a nessun titolo e per nessun motivo l’interessamento a materie aventi per oggetto la situazione patrimoniale delle banche. Ridicolo provare a definire l’intervento della Boschi come quello di un gesto di buona volontà per collaborare alla ricerca di una soluzione per le piccole banche locali, dato che il suo interesse si fermò a Banca Etruria, escludendo Cariveneto, Banca Marche ed alti piccoli istituti i cui bilanci erano altrettanto compromessi.

L’ingerenza di Maria Elena Boschi è grave tre volte: la prima perché in aperto conflitto d’interessi, dato il ruolo di Vicepresidente della banca di suo padre (lei azionista e ci lavoravano anche il fratello e la cognata); la seconda perché ha mentito al Parlamento quando, nel Dicembre 2015, si dichiarò lontana da ogni ingerenza sulla questione; la terza perché ha esercitato pressioni su una istituzione bancaria quotata in borsa. Fortunatamente Unicredit valutò il dossier e rifiutò d’intervenire per non aggravare una sua posizione già complicata nell’esposizione. Avere la pancia piena di titoli tossici e provare con fatica a smaltirli progressivamente, non suggerisce d’imbarcare altre casseforti piene di titoli non esigibili.

Quello della Boschi su Unicredit non è stato un intervento estemporaneo. Era invece atteso e probabilmente programmato prima, nel Gennaio 2015 - stando a quanto riferisce Il fatto quotidiano - con i vertici di Banca Etruria, che infatti solo successivamente alla nomina a ministro della figlia avevano promosso a Vicepresidente il padre, prima solo Consigliere.

Operazione chiara se non ci si vuole tappare gli occhi. E infatti, la Boschi intervenne. Il Vicepresidente della Banca era suo padre ed era alla sua salvaguardia che la figlia si dedicava. Ma, come in diverse altre occasioni, il suo intervento è scomposto: sbagliato e fuori luogo, genera indifferenza negli interlocutori e danneggia la causa che assume in carico.

E’ - questa di Boschi e Banca Etruria - una vicenda paradigmatica che riassume in sé il duplice aspetto del potere renziano. Una smodata ansia di denaro ed influenza che si scontra però con una mancanza di credibilità presso i poteri che contano e che, come dice Bersani, disegna un sistema indigeribile perchè “cumula troppo potere in troppi pochi chilometri”.

Benché portatore d’interessi precisi, il "giglio magico" difetta di capacità di governo e questo si evidenzia nel tentativo di asfaltare tutto ciò che gli fa ombra, nel non saper gestire assetti di governance che, inevitabilmente, prevedono rispetto per altre esigenze, considerazione per altri addentellati di potere, ripartizione di quote e gestione condivisa dell'assetto sistemico.

Tra comandare e governare la differenza sta proprio nella cultura del potere. Gli ex boy-scout dell’area tra Firenze e Arezzo non hanno l’acume, la lungimiranza, la cultura dell’amministrazione del potere, non hanno nemmeno lo stile e l’eleganza necessaria ad interpretarlo. Nonostante vengano tutti dalle fila post-democristiane, nel modo di fare ricordano piuttosto il peggior craxismo. Sono rozzi, grossolani cacciatori di denaro ed espressione di interessi di parte che provano ad assumere su di essi il tutto; voraci accaparratori privi di capacità politica e, dunque, inaffidabili agli occhi di chi dovrebbe sentirsi rappresentato e tutelato, il quale ha bisogno di avere alle spalle uno spessore ben diverso.

In un suo editoriale ormai celebre pubblicato sul Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli affermava come dal giglio magico emanasse “uno stantio odore di massoneria” e vi sono ormai pochi dubbi sul riferimento territoriale del gruppo. Il legame storico con Verdini indica bene l’ambito e il contesto nel quale gli omuncoli renziani si muovono e gli intrecci familiari tra i padri di Renzi e Boschi (quest’ultimo si rivolse inutilmente al faccendiere massone Flavio Carboni per cercare vie d’uscita alle grane bancarie), indicano una ragnatela familistica di parvenue, di chi ha scalato un partito con l’idea di arricchirsi, di uscire dall’angusta provincia per tentare l’all-in sul sistema centrale.

E’ una ragnatela oscena ma fragile, che la disfatta referendaria ha consegnato in un cono d’ombra dal quale non sarà facile uscire. Non basta affiliarsi ad una loggia o crearne una nuova, non basta indossare un grembiulino per riassettare, un compasso senza matita non può disegnare e la piramide la si continua a guardare dal basso. Se non sei in grado di assolvere il ruolo che ti hanno assegnato diventi superfluo, sacrificabile e questa è una delle poche lezioni che hanno imparato.

Renzi, che alle sorti della Boschi è indissolubilmente legato per diversi aspetti e non tutti politici, sa benissimo che una sola parola di Ghizzoni che confermasse quanto riportato da De Bortoli, non potrebbe salvare l’ancella del renzismo. Per questo dice di volere la verità ma esercita pressioni affinché resti vigente il “no comment”, visto come pena minore, come parziale salvaguardia. La verità la conosce bene e sa che quello che De Bortoli ha riportato è vero ed è solo un aspetto della vicenda, per questo è cosciente che la posizione di Maria Elena Boschi è indifendibile.

Ciononostante deve provare a salvarla, perché non è affatto detto che la signora sia disposta a sacrificare le sue ambizioni e, dunque, il rischio è che se cade lei viene giù tutto. La sua stessa posizione di comando e gestione dell’associazione Open, ovvero la cassaforte di denaro e relazioni di Renzi, potrebbe risentirne e un ridimensionamento della Boschi rischierebbe di aprire un vaso di Pandora complesso e doloroso.

Ma una dose minima di igiene della politica imporrebbe le dimissioni della Boschi. Certo non sarà il ventriloquo Gentiloni a chiederle, ritirandole le deleghe, ma il Parlamento dovrebbe comunque tornare a votare una mozione di sfiducia e, questa volta, con esito diverso. Nel governo Gentiloni la Boschi svolge il ruolo di commissario politico e scudiero degli interessi renziani, dalle nomine all’indirizzo dei flussi di spesa. La sua carriera politica è costellata di gaffes e interventi controproducenti, ultima la recente sortita della circolare interna alla PCM, dove a firma congiunta con il Segretario generale avverte che ogni nomina di qualunque ministero dovrà preventivamente essere approvata da lei.

Risate generali, certo, ma anche qui emerge un aspetto emblematico nell’esibire una totale ignoranza delle regole, nell’offrire la misura di quanto il “giglio magico” sia esasperato dall’assenza da Palazzo Chigi; perché l’impossibilità di disporre delle nomine e degli interventi finanziari, semplicemente, lo rende inutile a chiunque, non solo a loro stessi. C’è da comprenderli: se viene meno il riconoscimento di valore da parte dei poteri finanziari viene meno l’utilità della loro stessa funzione. In poche parole, viene meno il loro stesso motivo fondativo.

Lo stesso De Bortoli, ospite a Otto e mezzo, ha affermato: “Renzi lo consideravo un maleducato di talento; oggi faccio fatica a trovare il talento”. Sembrano parole prospettiche. Hai voglia a conquistare un partito e spostarlo rapidamente verso destra: se non servi allo scopo, sei d’intralcio. E se sei d’intralcio vieni rimosso. E, quel che è peggio, è che da Roma a Rignano sull’Arno, il viaggio di ritorno è tutto in salita.

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