La messa in minoranza del PD alla Commissione Affari Costituzionali del Senato è il primo, vero, segnale di allarme per Matteo Renzi. Cronache giornalistiche  raccontano di un anonimo renzian che, animato dal senso della misura che gli trasmette il suo leader, si sarebbe spinto ad una similitudine tra il voto di ieri in Commissione al Senato e l’attentato di Sarajevo all’Arciduca Francesco Ferdinando che scatenò la prima guerra mondiale.

 

Visto l’ardore con il quale la stampa segue le gesta del ducetto di Rignano non c’è da dubitare circa la veridicità dello sfondone, magari "voce dal sen fuggita" come suol dirsi, ma non inventata. Il che fa capire quale sia la temperatura basale del corpaccione renziano, ormai preda della sua stessa imperizia politica.

Magari per rimanere ancorati al senso di realtà si può lasciare la storia alle sue tragedie e si può comunque dire che più che uno sgarbo ad opera di una forza interna alla sua stessa maggioranza, la scelta di un esponente di AP (per i moltissimi che non lo sanno è il nuovo raggruppamento di Alfano) in luogo di un esponente del PD in sostituzione di Anna Finocchiaro, finita a fare il ministro nel governo Gentiloni, rappresenta un messaggio politico nemmeno troppo velato per il segretario PD. Il messaggio ha per oggetto la riforma elettorale e, con essa, l’eventuale modifica della compagine politica che oggi è maggioranza di governo.

Nemmeno gli alleati di governo intendono cedere una posizione che è di grande importanza per l’indirizzo dei lavori della Commissione che dovrà mettere mano alla riforma elettorale. Terreno quanto mai impervio, perché 4 mesi dopo il referendum e a circa un anno dal voto, le caselle del centrodestra sono ancora tutte da sistemare e idem dicasi per quelle del centrosinistra.

Alfano, nello specifico, non ha gradito la reiterata intenzione renziana di procedere verso le urne provando ad ignorare in buona sostanza la sentenza della Corte Costituzionale, che assegna di fatto una pre-identità proporzionalista alla legge elettorale da scrivere. Il tentativo di imporre il Mattarellum da parte di Renzi, infatti, ha come obiettivo quello di limitare al massimo l’impianto proporzionalista della prossima legge elettorale, quando il sistema proporzionale é invece proprio la cornice nella quale la maggior parte delle forze politiche intendono disegnare le distinte strategie.

L’atteggiamento finora tenuto dal PD invita a considerare l’idea di un Renzi contro tutti, che preferisce andare alla prova di forza in aula piuttosto che alla ricerca di un terreno comune per la scrittura della legge elettorale. Ciò, inevitabilmente, ha prodotto la spallata in Commissione ed è perfettamente inutile che il PD chieda a Mattarella di intervenire, dal momento che la discussione sulla legge elettorale è materia del Parlamento e non del Quirinale. Ciò che il Colle ha reiterato è che con lo spread tornato intorno ai 200 punti di differenziale e in assenza di una legge elettorale omogenea tra Camera e Senato, Renzi dovrà rimandare alla fine naturale della legislatura l’appuntamento con al vendetta del giglio magico.

Ma questo è solo un aspetto, per quanto rilevante, che non esaurisce le difficoltà di prospettiva politica per i renziani. Di ancor più importante c’è che la prossima legge elettorale, anche fosse su base proporzionale, vedrà comunque il profilarsi di alleanze politico-elettorali, che appaiono inevitabili vista la soglia del 40%. Sta di fatto, però, che le alleanze nel campo centrista avranno proprio in Renzi il principale ostacolo.

Nessuna forza politica, infatti, si fida del ducetto di Rignano, la cui propensione all’inganno e alla giravolta gode già di ampia letteratura nel librone della politica italiana. Inoltre, l’ego ipertrofico che lo caratterizza si esprime anche con la tendenza ossessiva al comando e il disprezzo per le altrui ragioni, riduce al lumicino i margini di trattativa per il formarsi di una coalizione, che può quindi darsi solo al riparo di norme e numeri che rassicurino tutti contro il prevalere degli interessi di Renzi e della sua cricca toscana. A questo scopo, il Mattarellum non è sufficientemente protettivo.

Renzi è insomma con le spalle al muro. Sa bene che può battere il mellifluo Orlando e ridurre a folklore Emiliano, ma sa anche che fuori dal PD i conti diventano altri. Una sua candidatura a premier, che certamente rivendicherebbe sulla base del peso specifico del suo partito, sarebbe paradossalmente dannosa per la formazione di una alleanza con altre forze. Le prossime amministrative diranno con maggiore chiarezza di quale peso il PD gode, ma non sono pochi coloro che vaticinano un’ennesima sconfitta per il Nazareno a trazione toscana.

Se ciò avverrà il PD, ormai completamente trasformatosi nel partito personale di Renzi, subirà ulteriori ridimensionamenti e quanto visto l’altro ieri sarà nulla rispetto a quello che si vedrà nei prossimi mesi. Renzi quindi si avvia alla celebrazione delle primarie sapendo che potrà anche definire “impressionante” la sua vittoria nelle assemblee (per modo di dire, vista l’esigua affluenza di iscritti), ma dopo lo sganassone ricevuto dall’elettorato, quello ricevuto dalla Consulta e l’uscita della sinistra dal suo partito, prenderà sberle perfino da parte del suo alleato di governo. Si delinea per Renzi un futuro davvero “impressionante”.

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