La manifestazione di Macerata è stata una gradita sorpresa in questa stupida campagna elettorale. Vi hanno partecipato circa trentamila persone che hanno interrotto, almeno per un giorno, le litanie fasciste e xenofobe che affollano una corsa al voto che sembra misurarsi solo in un confronto tra la destra e l’estrema destra.

 

Assente il centrosinistra, di ormai usurpata fama, che biascica pelosi distinguo e inutili appelli, arrivando a chiedere all’antifascismo di rimanere a casa mentre il rigurgito fascista è ormai incontrollato nel suo immondo scorazzare.

Giustificare un crimine raziale non è solo spregevole: è pericoloso. Tanto più se a firmare l’apologia del delinquente sono uomini politici di primo livello, candidati a formare il prossimo governo del nostro Paese. Quello che è successo a Macerata non è difficile da interpretare. Un energumeno vigliacco è sceso in strada e ha sparato sulla folla, ferendo sei persone. Punto.

 

Fin qui sembra una notizia di cronaca ordinaria, di quelle che vengono condannate da tutti “senza se e senza ma”. Il problema è che stavolta l’attentatore non inneggiava alla jihad, non voleva punire gli infedeli. In faccia aveva tatuato il simbolo di Terza Posizione, gruppo neofascista degli anni 70-80, e i suoi bersagli erano africani. Non qualcuno in particolare: tutti. La pelle nera, agli occhi di Luca Traini, li rendeva colpevoli in massa, obiettivi di una vendetta sommaria per il presunto omicidio di una ragazza romana di cui è sospettato un nigeriano.

Dopo gli esordi da rottamatore, Matteo Renzi è diventato peggio di quello che voleva demolire. Nemmeno nella Dc si è mai vista un’occupazione così dispotica delle liste elettorali, un’umiliazione così clamorosa delle minoranze in dissenso con la voce del Capo. E a quale scopo? Non certo di vincere e governare. Al contrario, l’obiettivo del segretario è prevenire la sconfitta.

Mascherato da riflessione sugli equilibri demografici, da ragionamento politico sulle politiche migratorie, il razzismo puro ha fatto capolino nella bocca di Attilio Fontana, ex Sindaco di Varese  e ora candidato della destra alla guida della Regione Lombardia. Fontana è, come direbbe De Luca, un “personaggetto”. Privo di carisma e di acume politico, faccia da disturbo incipiente, ha avuto nel regno degli aspiranti secessionisti un qualche ruolo, ma più per mancanza di alternative che di valore suo.

A farci l’abitudine non si riesce, ma forse ormai dovremmo rassegnarci. Anche quest’anno, come in ogni campagna elettorale, è rispuntato Lui. Benito Mussolini. Ancora? Nel 2018? Sì: è un eterno ritorno. Stavolta a riportare il dibattito pubblico italiano sul bassopiano littorio ci ha pensato Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice, volto simbolo dei Comuni sconvolti dal terremoto del 2015 e (per il momento) candidato controverso alle regionali del Lazio.


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