La legge 194 (“Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”) ha compiuto il 22 maggio quarant’anni e sono quarant’anni che continuano gli attacchi del fronte pro-life. Non hanno mai smesso. Sono gruppi organizzati e finanziati, strettamente collegati tra loro e con solidi legami internazionali. In Europa sostengono il progetto “Agenda Europa”, il cui prioritario obiettivo è ripristinare l’“ordine morale naturale” con la cancellazione di ogni legislazione favorevole all’aborto.

 

Anche gli ultimi vergognosi episodi dei megacartelloni affissi per le strade di Roma hanno la firma del marchio CitizenGO che è una fondazione spagnola ma attivissima in Italia contro l’educazione sessuale nelle scuole e che in realtà nasconde il sostegno di una società segreta paramilitare messicana, ultracattolica, di stampo fascista i cui leader provengono da centri di formazione e movimenti ecclesiali conservatori come i Legionari di Cristo o Comunione e Liberazione.

 

Mentre gli aborti drasticamente diminuiscono (ed è questo il risultato più straordinario della legge), gli attacchi continuano. Apertamente, con i blitz dei militanti delle associazioni antiabortiste nei reparti ma anche in modo più subdolo, cercando di svuotare dall’interno la legge. E’ il tema ormai palesemente politico dell’obiezione di coscienza, che negli anni continua a crescere raggiungendo percentuali addirittura del 90% soprattutto nelle regioni del Sud. Sono ginecologi, anestesisti, ma anche infermieri, ostetriche e tutte le figure sanitarie,  fino all’operatore che deve accompagnare la donna in camera operatoria.  

Nella sciagurata ipotesi che il professor Conte venisse nominato Presidente del Consiglio, ci troveremmo di fronte a un Premier che obbedisce al capetto di un partito (Di Maio), che a sua volta obbedisce ad un leader mediatico (Grillo), che a sua volta obbedisce al vero capo occulto (Casaleggio). Tale Premier dovrebbe governare con una squadra che non ha scelto, con un programma che non ha scritto e sorretto da una coalizione di cui non fa parte.

 

In estrema sintesi il quadro che ci si presenta è questo. Il dettato costituzionale, che prevede l’autorità e la responsabilità politica del Presidente del Consiglio sull’operato del governo e dei suoi ministri, risulterebbe decisamente ignorato.

 

Il professor Conte si presenta con un curriculum piuttosto contestato: non risulta aver frequentato a New York, nemmeno a Parigi e tanto meno in Austria, dove addirittura quella che cita è scuola di lingue da lui mai frequentata. Persino a Malta, altra tappa esibita della sua specializzazione, nessuno l’ha mai visto. Insomma il curriculum è molto taroccato e, più che a uno statista, lo fa somigliare ad un Oscar Giannino qualunque.

Tra qualche ora sapremo se vedrà la luce il governo Lega-M5S. Se succedesse saremmo di fronte ad un panorama inedito nella storia politica italiana. Per la prima volta a trattare per la formazione del governo ci sono due forze politiche che non vengono dall’alveo dell’arco costituzionale e, soprattutto, non appartengono alle scuole di pensiero –liberale, cattolico, socialista, comunista – che hanno determinato la storia politica dell’Europa post seconda guerra mondiale. Sono, per così dire, aggregati elettorali post-ideologici, costruiti sulle pulsioni primarie e di riflesso che si creano in un paese che ha nell’assenza di qualità nel governare e nella peggiore iniquità, la sua identità reiterata.

Alla fine il proporzionale ha imposto la sua legge. Dopo due mesi di negoziati che non hanno portato nemmeno all’ipotesi di un governo, tocca a Sergio Mattarella prendere il centro della scena. E via, si torna tutti al Quirinale, dove il Presidente della Repubblica condurrà una nuova tornata di consultazioni per creare quello che sui giornali è stato chiamato “un governo di tregua”.

 

C’è ancora chi spera in una ricucitura dell’ultimo minuto fra M5S e Lega, ma si tratta di uno scenario altamente improbabile. L’apertura di Luigi Di Maio, che si è detto pronto a fare un passo indietro sulla premiership, non sembra sufficiente per convincere Salvini a scaricare Berlusconi, indigeribile per gli stomaci dell’elettorato grillino.

Le consultazioni iniziate ieri sono tra le più complicate della storia repubblicana. Forse si riveleranno le più laboriose di sempre. Del resto, è difficile ricordare una situazione di stallo peggiore di quella uscita dalle urne esattamente un mese fa. Tutti sanno già che il primo giro di giostra davanti al presidente Sergio Mattarella si risolverà in un nulla di fatto.

 

Sarà necessaria una seconda tornata la settimana prossima e anche questa potrebbe non bastare. Al momento, il record di lentezza per la formazione di un governo appartiene alla legislatura iniziata nel 1992 (due mesi e tre settimane), ma all’epoca la procedura era stata frenata dalle dimissioni di Francesco Cossiga. Stavolta, pur senza impedimenti quirinalizi, il primato rischia di cadere.


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