In questa fase pre-balneare dell’anno, con la soglia d’attenzione dell’opinione pubblica che inizia a scendere, Matteo Salvini ha deciso di tenere tutti svegli a colpi di propaganda. La tecnica è quella della mitragliatrice: una serie di annunci-manifesto a ripetizione, con cadenza pressoché quotidiana, su argomenti sensibili e con l’aggressività necessaria a stimolare il duodeno degli elettori.

 

Dal punto di vista formale, questa pratica rappresenta una grave violazione istituzionale. Non si è mai visto un vicepremier-ministro dell’Interno che si permette di pontificare su quale indirizzo politico il governo debba assumere in tema di rapporti internazionali, programmazione economica e perfino politica sanitaria. Salvini si è spinto a dare pubblicamente ordini al Presidente del Consiglio, danneggiandone (o meglio, cancellandone) credibilità e autorevolezza.

La flat tax è un’ingiustizia. Per rendersene conto basta dare un’occhiata alle simulazioni che circolano da qualche giorno sui giornali. Secondo quanto riporta Il Messaggero, grazie alla tassa piatta una famiglia con reddito lordo di 300mila euro guadagnerebbe in rapporto al reddito netto attuale il 39%, mentre in caso di reddito da 80mila euro il risparmio scenderebbe al 15%.

 

Per un nucleo con reddito complessivo di 30mila euro il guadagno sarebbe nullo, mentre a 50mila euro si attesterebbe all’1%. Morale: più sei ricco, più guadagni. E lo squilibrio è talmente ampio che nessun sistema di deduzioni basterebbe a compensarlo.

 

Questa iniquità è indiscutibile, lo sanno tutti. Lo sa il M5S, che fino a qualche mese fa, sul Blog delle Stelle, parlava della tassa piatta come di una “truffa”. E soprattutto lo sa il leader leghista Matteo Salvini, che infatti la settimana scorsa non ha negato lo sbilanciamento della flat tax in favore dei ricchi, ma ha cercato di legittimarlo. “È giusto che chi guadagna di più paghi meno tasse perché spende e investe di più - ha detto il vicepremier a Radio anch'io - Se uno fattura di più, risparmia di più, reinveste di più, assume un operaio in più, acquista una macchina in più e crea lavoro in più”.

“Le famiglie gay non esistono”. È con questa frase ignobile che inizia il Governo del Cambiamento. A dirla è stato il neoministro della Famiglia e della Disabilità, il leghista Lorenzo Fontana, in un’intervista al Corriere della Sera. Una frase pericolosa, che non merita alcun rispetto e anzi dovrebbe far avvampare di vergogna chiunque abbia pensato anche solo per un istante che questo governo potesse rappresentare una buona notizia per il nostro Paese.

 

Matteo Salvini ha provato a metterci una pezza facendo notare che le idee di Fontana “non sono nel contratto”. Come se questa fosse una giustificazione o un’attenuante. Peraltro, viene da chiedersi in che modo il negazionismo su una realtà sociale così diffusa come le famiglie omosessuali potrebbe mai entrare in un programma politico: pianificando deportazioni? O magari finanziando studi per la riconversione sessuale degli “invertiti”?

Tutto ci potevamo aspettare da questa vita, meno che vedere Matteo Salvini trasformarsi in uno stratega politico capace di mettersi in tasca Quirinale e M5S, oltre al centrodestra già colonizzato. Il leader della Lega è infatti l'indiscusso trionfatore di questa crisi politica. Prima ha moltiplicato a dismisura i suoi consensi (stando agli ultimi sondaggi, la Lega è salita dal 17% del 4 marzo al 27%, portandosi ormai a ridosso dei 5 Stelle). Ci è riuscito surclassando per carisma comunicativo Luigi Di Maio - che pure aveva il doppio dei suoi voti - e sfruttando la debolezza del capo politico grillino, smanioso di andare al governo a tutti i costi, per imporgli un contratto di coalizione molto più di destra che pentastellato.

 

Dopo di che si è fatto regalare le elezioni e la campagna elettorale nientemeno che dal Presidente della Repubblica.

 

Non si può interpretare altrimenti la decisione sconsiderata con cui domenica Sergio Mattarella ha rifiutato di firmare il decreto di nomina a ministro dell'Economia di Paolo Savona. L'obiettivo del Capo dello Stato era impedire che al Tesoro sedesse un economista che, in quanto teorico dell'uscita dall'euro, avrebbe nella migliore delle ipotesi scatenato la tempesta sui mercati e nella peggiore innescato l'Armageddon finanziario con il ritorno alla lira.

 

Purtroppo, la mossa del Colle non si è rivelata affatto salvifica: anzi, ha provocato una serie di effetti collaterali. Innanzitutto, ha dato a Salvini il migliore dei pretesti per far saltare l'accordo di governo con i 5 Stelle e tornare il più presto possibile alle urne, in modo che la Lega possa incassare il dividendo elettorale maturato in questi mesi. Non solo: Mattarella ha fornito al leader leghista anche il miglior argomento possibile per la campagna elettorale. Sembra già di sentirlo, Salvini, aizzare le folle contro i "poteri forti" e tirannici che si oppongono alla volontà popolare.

 

E quale sarà il risultato? Ovviamente il voto consegnerà ai pentaleghisti una vittoria bulgara (forse il 100% dei collegi uninominali) e con essa una maggioranza parlamentare assai più larga di quella attuale. A quel punto saremo in una situazione peggiore rispetto a quella che il Quirinale voleva evitare, perché non solo Salvini riproporrà un euroscettico al Tesoro, ma potrebbe anche rivendicare per sé la presidenza del Consiglio.

 

È questo lo scenario più prevedibile e sembra assurdo che Mattarella non lo abbia previsto. Addirittura grottesco il tentativo di formare un governo balneare guidato da Carlo Cottarelli. Sarebbe il primo esecutivo a incassare zero voti in Parlamento e rimarrebbe in carica al massimo 3-4 mesi, sostanzialmente per non fare nulla.

 

Con queste prospettive, non sorprendono le difficolta che l'ex Mr Spending Review sta incontrando nel mettere insieme una squadra di ministri: a quanto pare non sono molti i tecnici prestigiosi disposti a sacrificarsi per il semplice amor di patria. In fondo, dovrebbero sputtanarsi solo per tenere calde le poltrone ai barbari.

Una crisi istituzionale violenta, uno scontro senza precedenti fra maggioranza parlamentare (sebbene non ancora insediata formalmente come tale) e Quirinale. Una stagione di scontro politico incandescente, con toni – e speriamo solo toni – da guerra civile o quasi. Ne valeva la pena? Paolo Savona rappresentava davvero un pericolo per la finanza pubblica e per i risparmi degli italiani?

 

Sergio Mattarella poteva, dal punto di vista del diritto costituzionale, e doveva, dal punto di vista politico, accettare la sfida di Matteo Salvini sulla decisiva poltrona del ministro dell’Economia? Queste domande – al netto del giudizio sulla debolezza di Luigi Di Maio e sul “doppio gioco” fra governo e nuove elezioni condotto con abilità e cinismo dal segretario della Lega – saranno dimenticate presto, perché siamo già nella nuova campagna elettorale, e davvero la fantasia di chi scrive non arriva a immaginare cosa mai si potrebbe escogitare di creativo per andare, restando nei limiti della norma costituzionale, oltre settembre, ottobre al massimo per la data delle nuove elezioni politiche.


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