«Chi dice “io non sono razzista, ma…” è un razzista ma non lo sa», cantava il rapper torinese Willie Peyote. Le sue parole tornano alla mente leggendo l’intervista a Matteo Salvini pubblicata domenica dal Sunday Times. Secondo il vicepremier, infatti, in Italia non abbiamo alcun problema di razzismo.

 

È vero, la settimana scorsa a Partinico un giovane senegalese è stato picchiato e insultato da tre italiani al grido di "tornatene al tuo paese, sporco negro". Poi c’è chi si diverte a giocare al tiro a segno con le bambine rom e a ben vedere solo negli ultimi due mesi i casi di violenza razziale nel nostro Paese sono stati almeno nove.

 

Ma tutto questo agli occhi di Salvini è fisiologico, nient’affatto allarmante: “Aggredire e picchiare è un reato, a prescindere dal colore della pelle di chi lo compie, e come tale va punito”, concede il ministro dell’Interno, salvo poi precisare che “accusare di razzismo tutti gli italiani ed il governo in seguito ad alcuni limitati episodi è una follia”.

Doveva essere “la Waterloo del precariato”, ma siamo ancora nella fase del cantiere. La pioggia di emendamenti in arrivo sul Decreto Dignità promette di cambiare notevolmente la natura del primo provvedimento varato dal governo Conte. E le incongruenze non mancano.

 

I contorni della legge che verrà sono ancora da definire, ma su questo Dl si misurano già due caratteristiche fondamentali dell’esecutivo gialloverde: l’inconciliabilità politica dei due partiti di maggioranza e la tendenza a improvvisare quando sti tratta di economia.

 

Sul primo fronte, la storia del decreto dimostra che Lega e Movimento 5 Stelle sono portatori di interessi in buona parte opposti. Per schematizzare, il partito di Matteo Salvini non può fare a meno delle imprese - soprattutto delle Pmi del Nord Est - mentre i grillini hanno il loro bacino elettorale di riferimento nei disoccupati e nei precari, soprattutto del Sud.

Nel rapporto con le istituzioni e fra le istituzioni, il governo Conte è più che mai figlio di Silvio Berlusconi. Non perché l’ex Cavaliere abbia una qualche influenza sul nuovo Esecutivo - ormai è uscito dal cono di luce - ma perché la classe politica che guida questa sedicente Terza Repubblica appartiene a una generazione cresciuta a pane e berlusconismo.

 

La settimana scorsa, Matteo Salvini si è prodotto in uno spettacolo che di certo ha fatto rivoltare nella tomba i padri costituenti di tutto l’arco politico, da De Gasperi a Togliatti. Incurante (o forse ignaro) dei limiti che circoscrivono i poteri del ministro dell’Interno, il leader leghista si è opposto allo sbarco della nave Diciotti della Guardia Costiera italiana, pretendendo la garanzia che “i delinquenti” colpevoli di aver “dirottato una nave con la violenza” finissero “per qualche tempo in galera” prima di essere “riportati nel loro Paese”. In questa semplice frase si affastella una quantità di violazioni istituzionali da fare spavento.

All’assemblea del Pd, Matteo Renzi segue la regola d’oro di ogni marito beccato dalla moglie con i messaggi dell’amante nel telefono: nega, nega, continua a negare. Contro ogni evidenza. Poche cose al mondo sono manifeste come il suo fallimento politico, ma lui non riesce proprio ad ammetterlo. Vive in una bolla, paralizzato dall’illusione di un riscatto ineluttabile.

 

Nella sua visione semplificata della politica in stile vasi comunicanti, rifiuta qualsiasi passo indietro perché convinto che in futuro il fallimento del governo legastellato riporterà al potere il suo Giglio Magico. Ha il coraggio di proporsi come soluzione del problema che lui stesso ha contribuito più di ogni altro a causare. Come se un’infezione si potesse curare con il batterio che l’ha provocata.

Dopo anni di proclami e di campagna elettorale permanente, Lega e Movimento 5 Stelle sono arrivati allo scontro con la realtà. Che purtroppo è fatta anche di numeri. Matteo Salvini continua a rilanciare sulla flat tax e Luigi Di Maio non arretra sul reddito di cittadinanza, ma il governo deve fare i conti con una situazione contabile che quasi certamente impedirà di varare le due misure economiche di punta. E non solo.

 

A voler schematizzare, i problemi sono tre. Innanzitutto, torna ad aleggiare il fantasma di una manovrina. Bruxelles ha già detto che ci sono dei problemi con i conti italiani del 2018 e la settimana scorsa Confindustria ha previsto che l’Europa ci chiederà una correzione da circa nove miliardi.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy