Il mese scorso era circolata sulla stampa americana la notizia di un probabile ritorno dei meccanismi che regolano la camera a gas in alcuni stati. Il dipartimento di Giustizia aveva già autorizzato una spesa di un milione e mezzo di dollari destinati alle iniezioni letali per l'acquisto di pentobarbital, sostanza per altro illegale secondo i crismi della Food and Drug Administration. Il primo Stato coinvolto è l'Arizona, che non ha tuttavia fornito alcuna spiegazione sul costoso esborso né rivelato come sia stato ottenuto  un farmaco sicuramente proveniente dall'Europa.

L’assassinio del presidente haitiano di fatto, Jovenel Moïse, rischia di diventare un nuovo acceleratore della prolungata crisi politica e sociale che sta attraversando l’isola caraibica. I mandanti dell’operazione restano ancora sconosciuti, ma, nonostante lo strapotere delle gang criminali, è difficile pensare a un’iniziativa non collegata a elementi di potere, forse anche all’interno dello stesso stato haitiano. In attesa di maggiori elementi relativi ai fatti di mercoledì notte, il più povero dei paesi dell’emisfero occidentale è piombato in un pesantissimo stato di emergenza, con le fazioni della classe dirigente in aperto conflitto per assicurarsi il controllo del potere in vista di una controversa consultazione elettorale, fortemente voluta dallo stesso Moïse e appoggiata dal governo americano.

La fuga dei militari americani dalla base aerea di Bagram nella notte di venerdì ha riassunto in modo esemplare il disastro di vent’anni di occupazione dell’Afghanistan. Il ritiro definitivo ordinato dal presidente Biden è stato già completato al 90% e sta lasciando in fretta il controllo di un numero crescente di distretti del paese centro-asiatico nelle mani dei Talebani. La sconfitta degli USA e dei loro alleati assumerà dimensioni forse ancora più importanti nelle prossime settimane o, addirittura, nei prossimi giorni, ma l’elemento già acquisito è la ragione più profonda del disastro, derivante dalle motivazioni tutt’altro che nobili della guerra scatenata nell’autunno del 2001 e dall’opposizione che essa ha generato tra la popolazione afgana nei due successivi decenni.

Una recente riunione del principale cartello dei produttori di petrolio ha portato alla luce lo scontro latente tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi, ufficialmente alleati e sulla stessa lunghezza d’onda circa le più importanti questioni energetiche e strategiche mediorientali. Il vertice della cosiddetta OPEC+ ha dovuto infatti riaggiornarsi senza nemmeno riuscire a fissare una nuova data per risolvere l’enigma delle quote di greggio da immettere sui mercati mondiali. Lo stallo è dovuto alle richieste avanzate dagli Emirati sulla quantità di petrolio prodotto, ma le insolite tensioni all’interno dell’organizzazione sembrano essere di più ampia portata e hanno a che fare sia con il futuro del mercato energetico sia con le ambizioni regionali delle due monarchie sunnite.

A dieci giorni di distanza dall’intervista che ha fatto crollare le fondamenta delle accuse rivolte dal governo degli Stati Uniti a Julian Assange, sulla stampa ufficiale in Occidente, a cominciare da quella americana, si continua a registrare un vergognoso silenzio in merito alla vicenda del fondatore di WikiLeaks. Il comportamento dei media non è in sé una notizia, visto che è perfettamente coerente con la loro sostanziale complicità nella persecuzione del giornalista australiano, ma offre un contributo importante per comprendere il ruolo della stampa “mainstream” e del suo rapporto con le strutture del potere.


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