Scampato pericolo. Alle presidenziali cilene, 15 milioni di elettori erano chiamati a scegliere tra Josè A. Kast candidato fascista, apertamente nostalgico del dittatore Augusto Pinochet, e Gabriel Boric, candidato del centrosinistra largo. La destra uscente ha tentato in ogni modo e fino all’ultimo di spianare la strada al suo figlio prediletto, persino bloccando il sistema di trasporti pubblico per impedire alla gente di recarsi alle urne. Ma non è servito. I cileni a votare sono andati ed il verdetto è indiscutibile: sebbene si cerchino spiegazioni nella defezione dell’elettorato di Parisi, dieci punti di distanza tra il fascismo e la democrazia misurano il termometro politico cileno.

Gli uragani che si sono abbattuti lo scorso fine settimana su alcuni stati del centro e del sud degli Stati Uniti hanno provocato la morte di quasi cento persone, ma non tutti i decessi registrati finora possono essere ascritti esclusivamente all’ennesimo eccezionale evento climatico. Almeno 14 morti sono piuttosto la diretta conseguenza delle condizioni di lavoro imposte sempre più dal capitalismo, in America come altrove. Non a caso, infatti, sei delle vittime indirette dell’uragano che ha colpito una parte dello stato dell’Illinois erano dipendenti di Amazon, cioè la corporation con i precedenti più tragici in materia di sicurezza sul lavoro, di fatto intrappolati nel sito di distribuzione del colosso di Jeff Bezos nella località di Edwardsville.

La guerra degli Stati Uniti contro lo Stato Islamico (ISIS) in Iraq e in Siria tra il 2014 e il 2019 è stata, secondo la versione ufficiale, una sorta di modello esemplare di battaglia del ventunesimo secolo, condotta in nome di una causa giusta e con strumenti di incomparabile precisione per limitare al massimo il numero di vittime tra la popolazione civile. Che questa tesi fosse pura propaganda era noto fin dall’inizio, quanto meno al di fuori delle redazioni dei media “mainstream”, ma nei giorni scorsi lo ha confermato ulteriormente una nuova rivelazione proprio di una testata ufficiale come il New York Times, che ha raccontato nel dettaglio le azioni deliberatamente criminali delle forze speciali USA d’avanguardia nella lotta all’ISIS in Medio Oriente.

La notizia, resa nota nel fine settimana, dell’episodio ischemico sofferto da Julian Assange durante un’udienza lo scorso mese di ottobre ha ingigantito il senso di disgusto provocato dalla vergognosa sentenza, pronunciata venerdì dall’Alta Corte britannica, con cui è stato dato il via libera all’estradizione negli Stati Uniti del fondatore di WikiLeaks. Contro l’appello del governo di Washington vi era semplicemente una montagna di elementi che un tribunale anche solo passabilmente democratico avrebbe preso in considerazione. Al contrario, la farsa giudiziaria della persecuzione di Assange si è avviata verso l’epilogo peggiore per fare della sua vicenda un esempio in grado di scoraggiare qualsiasi futura rivelazione dei crimini dell’imperialismo americano.

Sorprendendo non poco la comunità internazionale, il Nicaragua ha deciso di riallacciare al massimo livello i rapporti diplomatici con la Cina e, di conseguenza, rompere i rapporti diplomatici con Taiwan, che sono stati sempre di natura commerciale, mai politica. Non è un caso che Taiwan non si sia mai espressa a sostegno di Managua nelle diverse fasi del suo agire politico e non abbia mai tentato di esercitare pressioni sul suo grande sponsor – gli Stati Uniti – ai quali hanno sempre ricordato come la relazione fosse solo di affari. La zona franca è l’unica porzione di territorio nicaraguense che interessava ai taiwanesi, che ora risultano essere riconosciuti solo da 13 Paesi, oltre al Vaticano, sui 197 che conformano l’intera comunità internazionale.


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