La seconda sfida di ballottaggio consecutiva nelle presidenziali francesi tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen rischia di riservare una sgraditissima sorpresa per l’Unione Europea e la NATO. Il presidente in carica ha visto infatti ridursi considerevolmente già al primo turno il vantaggio che gli era stato accreditato sulla leader dell’ex Fronte Nazionale. Se, poi, la campagna elettorale delle prossime due settimane dovesse trasformarsi in una sorta di referendum pro o contro Macron, il risultato finale potrebbe essere ben diverso da quello del 2017.

Ad una prima analisi, l’effetto della crisi ucraina e la colossale propaganda anti-russa di media e governi occidentali sono sembrati sfavorire, come era accaduto la settimana precedente in Ungheria, coloro che appoggiano il regime di Kiev e l’intensificazione del conflitto in corso.

Questa dinamica è spiegabile da un lato con i primi riflessi economici negativi delle sanzioni suicide imposte a Mosca e dall’altro dalla chiara sensazione del pericolo di innescare una guerra mondiale rovinosa malgrado l’incessante disinformazione proposta dalla stampa ufficiale in tutta Europa. Un peso sempre maggiore sugli orientamenti dell’opinione pubblica francese e occidentale in genere lo ha anche la natura dei destinatari degli “aiuti” militari europei all’Ucraina, cioè le forze apertamente neo-naziste che stanno commettendo crimini e abusi di gran lunga più gravi di quelli attribuiti ai russi.

Il vero problema di Macron in vista del ballottaggio del 24 aprile è comunque la possibilità concreta che sulle sue chances di rielezione si scateni una tempesta perfetta, prodotta dal sovrapporsi delle circostanze del conflitto russo-ucraino al bilancio delle politiche anti-sociali e anti-democratiche della sua amministrazione negli ultimi cinque anni. Questi elementi che penalizzano l’inquilino dell’Eliseo saranno bilanciati, com’è facilmente prevedibile, da un’offensiva condotta da quasi tutto il panorama politico contro quella che sarà dipinta come una candidata neo-fascista estranea ai valori tradizionali francesi. Che poi questa strategia, risultata vincente nel 2002 e nel 2017, abbia nuovamente successo o si trasformi in un boomerang sarà da verificare di qui a quindici giorni.

Ci sono in definitiva alcuni fattori relativamente nuovi che aprono spiragli incoraggianti per Marine Le Pen. La stessa leader del “Rassemblement National” (RN) ha chiarito quale sarà la sua strategia nei prossimi giorni in un breve discorso seguito alla pubblicazione dei primi risultati nella serata di domenica. La Le Pen ha promesso una sorta di governo di “unità nazionale”, chiedendo voti sia a destra sia a sinistra per battere Macron, con particolare attenzione a misure di “solidarietà verso i più deboli”. Altri esponenti di RN sono stati anche più espliciti, sostenendo che al ballottaggio “sarà la sinistra la chiave” del successo.

Marine Le Pen intende cioè sfruttare fino in fondo e in maniera più o meno demagogica l’opposizione crescente contro le politiche impopolari orientate verso i poteri forti di Macron, proponendo, in termini simili alla destra ungherese di Orban, un mix di iniziative socio-economiche riconducibili alla sinistra e provvedimenti tipicamente di destra in altri ambiti, dall’immigrazione alla sicurezza. Temi particolarmente sensibili, quelli di carattere economico e sociale, soprattutto alla luce della nuova realtà, fatta di rincari di beni di prima necessità e possibili razionamenti energetici, scaturita dal conflitto in corso e dalle sanzioni europee contro la Russia.

Se tutto ciò non rappresenta una particolare novità per la destra “populista” in questi anni, il vantaggio per Marine Le Pen è appunto il tracollo della credibilità di Macron nel proporsi come il candidato “moderato” e “democratico” di fronte alla minaccia neo-fascista. Cinque anni di governo all’insegna dell’ultra-liberismo, della dura repressione del dissenso (vedi “Gilet gialli”), dell’incoraggiamento dell’islamofobia e del tentativo di riabilitazione del collaborazionismo di Vichy potrebbero limitare insomma l’efficacia dell’ennesima crociata contro lo spettro della presidenza in mano all’estrema destra francese.

Dal voto di domenica esce in ogni caso la conferma della diffusissima avversione per tutta la classe politica transalpina. Il livello piuttosto alto di astensione per gli standard francesi (26%) è il primo dato da tenere in considerazione, così come le proteste andate in scena dopo la chiusura dei seggi in varie città contro entrambi i candidati qualificatisi per il ballottaggio. A ciò si deve aggiungere il collasso dei due partiti tradizionali che, in varie forme, si erano spartiti il potere tra il 1968 e il 2017. Il Partito Socialista, con la candidatura della sindaca di Parigi Anne Hidalgo, non ha nemmeno raggiunto il 2%, mentre i gollisti di “Les Républicains” con Valérie Pécresse hanno ottenuto un misero 4,8%.

L’altro candidato, oltre a Macron (27,8%) e Le Pen (23,2%), ad avere fatto segnare una performance di rilievo è Jean-Luc Mélenchon del partito di sinistra “La France Insoumise” (LFI). Con un numero molto alto di elettori indecisi, alla vigilia del voto Mélenchon sembrava poter avere anche qualche possibilità di accedere al secondo turno, ma lo ha alla fine mancato per poco più di un punto percentuale (22%).

Questo risultato, accolto generalmente come un quasi successo dai media francesi e dallo stesso Mélenchon, potrebbe fare dei voti di LFI l’ago della bilancia nel ballottaggio. Mélenchon sembra intenzionato a riproporre la strategia del 2017, con un appello a evitare di votare la Le Pen e, quindi, indirettamente a scegliere Macron. L’interrogativo di tutti gli osservatori è costituito dalla risposta dei suoi elettori del primo turno. La decisione di lavoratori, disoccupati, pensionati e studenti di turarsi il naso e votare Macron, i cui risultati nel primo mandato non sono stati molto distanti da quelli che avrebbe potuto far segnare una presidenza Le Pen, rischia questa volta di non essere così automatica. Una parte importante di questa fetta di elettorato potrebbe così disertare le urne o preferire l’opzione apparentemente “anti-sistema” dell’ex Fronte Nazionale.

Con un presidente in carica così impopolare e identificato con gli interessi dei ricchi e una candidata riconducibile al neo-fascismo, il mancato accesso al secondo turno è un ulteriore indizio del pessimo stato di salute della sinistra francese, come conferma d’altronde l’appoggio alla NATO nella crisi ucraina in corso di LFI, così come di altre formazioni minori come Lotta Operaia (LO) e Nuovo Partito Anti-Capitalista (NPA), entrambe con candidati in corsa per l’Eliseo.

Proprio questa inconsistenza della sinistra transalpina e il mancato differenziarsi dalla follia anti-russa dilagante hanno permesso ancora una volta alla destra e all’estrema destra di presentarsi agli elettori come uniche forze anti-establishment e in grado addirittura di fare opposizione da sinistra su alcuni temi economici e sociali. Da non dimenticare c’è poi il processo di sdoganamento di cui l’ex Fronte Nazionale ha beneficiato proprio grazie alla classe politica “tradizionale”. Oltre a misure care all’estrema destra implementate da Macron e che hanno colpito in primo luogo la comunità islamica d’oltralpe, va citata a questo proposito anche la candidatura di Éric Zemmour.

Ex conduttore televisivo e giornalista più volte condannato per incitazione all’odio contro i migranti, Zemmour ha goduto di una copertura mediatica sproporzionata rispetto al suo appeal elettorale, nonostante il seguito non indifferente raccolto tra le forze armate e i servizi di sicurezza francesi. In modo deliberato o meno, il suo ingresso in campagna elettorale con toni apertamente estremisti e xenofobi è servito in qualche modo a dare una patina di “moderazione” a Marine Le Pen, la quale, oltretutto, al ballottaggio finirà per raccogliere la grande maggioranza del 7% dei consensi andati a Zemmour nel primo turno delle presidenziali.

Prevedere l’esito della seconda sfida consecutiva tra Macron e Le Pen è ad ogni modo problematico, se non altro per via dello scardinamento degli schemi ideologici provocato prima dal COVID e ora dal conflitto russo-ucraino e dalle rispettive conseguenze economiche. La numero uno di RN punterà evidentemente sui contraccolpi di una guerra che era evitabilissima, accentuando la natura di classe dell’amministrazione Macron e facendo leva come sempre sull’elemento nazionalista. D’altro canto, nei suoi confronti c’è da aspettarsi, assieme ai soliti appelli ai valori democratici francesi contro gli eredi del collaborazionismo nazista, una seconda linea d’attacco per denunciare l’attitudine – vera o presunta – favorevole a Putin e alla Russia.

Chiunque prevalga nel ballottaggio del 24 aprile, la Francia che si troverà a governare sarà con ogni probabilità una polveriera sociale. In caso di vittoria di Macron, il sospiro di sollievo che trarranno la classe dirigente francese e i mercati internazionali sarà di breve durata. L’incapacità di resistere alle pressioni americane nel quadro NATO per dividere la Russia dall’Europa, con le conseguenti implicazioni economiche ed energetiche, e la necessità di accelerare le “riforme” neo-liberiste faranno infatti esplodere le tensioni nel paese.

Un clamoroso successo di Marine Le Pen, invece, provocherebbe probabilmente anche maggiori scosse, sia per le possibili crepe che aprirebbe in seno al Patto Atlantico in un frangente cruciale della sfida alla Russia sia per l’emergere dell’opposizione all’estrema destra e al fascismo che, in fin dei conti, resta estremamente radicata tra i lavoratori e la popolazione in genere della Francia e del resto d’Europa.

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