Sono alcune riflessioni sollevate dalle implicazioni determinate immane tragedia cui stiamo assistendo con la guerra in Ucraina. Mi soffermo su quelle concernenti il futuro dell’Europa, per la riflessione sistemica e globale che avevi chiesto a suo tempo credo occorrerà attendere prudentemente ancora qualche tempo.

La Prima guerra mondiale ha senza dubbio segnato l'inizio del declino politico e militare dell'Europa. Dopo quattro secoli di dominazione globale di quest’ultima, il conflitto fratricida finì con l’aprire la strada all'ascesa degli Stati Uniti e dal, 1917 in poi, al cosiddetto secolo americano mentre tre imperi europei ne fecero le spese: quello asburgico, quello germanico e quello russo.

 

Con la Seconda guerra mondiale, l'Europa ha completato la sua auto-emarginazione come attore globale. L'esito del conflitto ha infatti sancito l'egemonia globale degli Stati Uniti, il bipolarismo con l'Unione Sovietica e, infine, la progressiva liquidazione dei residui imperi europei, quello britannico e quello francese.

In retrospettiva, e in un’ottica prettamente europea, i due conflitti mondiali non sono stati altro che due veri e propri suicidi compiuti dal vecchio continente che si è incredibilmente auto-condannato all’irrilevanza.

I futuri annali della storia ricorderanno probabilmente il 24 febbraio 2022, come un ulteriore spartiacque storico, ma, soprattutto, come l'anno del terzo suicidio compiuto dall’Europa dopo il notevole terreno che aveva recuperato con la creazione dell’Unione Europea.

Se la posizione assunta da quest’ultima dinanzi al drammatico conflitto in corso in Ucraina appare a prima vista comprensibile, a medio e lungo termine è invece inspiegabile e, temo, possa rivelarsi altamente controproducente. Bruxelles ha rinunciato a qualsiasi tentativo di svolgere un ruolo diplomatico nella prevenzione del conflitto e, finora, nella promozione di una soluzione negoziata.

Al contrario, il Capo della diplomazia UE Josep Borrel arriva ad affermare che “questa guerra verrà vinta sul campo di battaglia”. Non posso fare a meno di domandarmi, con una certa inquietudine, quale sia l’effettiva estensione del campo di battaglia immaginato da Borrel.

Come europeo, ed europeista, trovo a dir poco deprimente che i timidi tentativi diplomatici per comporre una crisi che molto probabilmente impatterà sulla futura architettura di sicurezza del vecchio continente siano stati incredibilmente assunti da attori esterni all’Unione, come Israele e Turchia.

Nutro il profondo timore che l'UE si stia dirigendo sonnambula verso un abisso. Nelle ultime settimane i suoi leader sono stati solo in grado di ripetere meccanicamente uno slogan certamente veritiero ma al fondo banale, ovvero "c'è un aggressore e un aggredito" e di adottare, in una sorta di effetto valanga, sanzioni in larga parte dettate dagli Stati Uniti e, colmo dell’ironia dopo la Brexit, dalla Gran Bretagna!

Temo altresì che l’effetto netto di queste scelte, lungi, ahimè, dall’alterare la situazione sul terreno e negli assetti politici in Russia, finirà per penalizzare severamente l’economia europea (e italiana) e la capacità competitiva delle sue imprese sui mercati globali.

La tanto decantata Autonomia Strategica dell’Unione sembra ormai svuotata di ogni significato; in termini politici l’UE si è trasformata in un'istituzione completamente ancillare alla NATO. Dubito che questa fosse l’intenzione originaria di chi aveva promosso tale “autonomia”. 

Dopo la fine della Guerra Fredda, e lo scioglimento del Patto di Varsavia, per tre decenni l'Alleanza Atlantica è stata alla ricerca di una nuova finalità che ne continuasse a giustificare l’esistenza. Da poli piuttosto opposti, Donald Trump ne aveva decretato l’obsolescenza e Emmanuel Macron, addirittura, la morte cerebrale!

Lo scorso febbraio, per gentile concessione di Vladimir Putin, l’Alleanza è stata finalmente ricondotta alle sue finalità originarie. Se la situazione in corso non fosse tragica, si potrebbe fare dell’ironia asserendo che il leader russo si merita un busto commemorativo da collocare all’interno della grande sala del Consiglio Atlantico a Bruxelles. 

Naturalmente, la circostanza che l’espansione verso est dell’Alleanza negli ultimi 25 anni sia stata probabilmente il principale catalizzatore nel precipitare l'aggressione russa all'Ucraina continua ad essere fastidiosamente rimossa o negata con veemenza. Reazioni queste che, a mio umile avviso, celano cecità congenita o aperta malafede. 

A scanso di equivoci, la spietata invasione russa non ha giustificazioni! Sia nei rapporti umani, che in quelli tra gli Stati, ricorrere alla violenza è sempre sbagliato, punto! Questa guerra sanguinosa e distruttiva e i crimini e le atrocità commesse dalle sue truppe resteranno una macchia indelebile sulla storia russa per decenni, e origineranno odio e risentimenti nelle generazioni a venire.

Allo stesso tempo, non vi può essere alcuna giustificazione nemmeno per la posizione passiva, pavida e attendista che l'Unione Europea ha mantenuto sin dal 2014, mentre era ampiamente noto che l’irrisolta questione Ucraina era una bomba a orologeria.

Non c'è bisogno di essere un esperto di relazioni internazionali per comprendere che la sanguinosa guerra a bassa intensità combattuta nel Donbass negli ultimi otto anni e praticamente ignorata dai media occidentali, nonché il fallimento sistematico nell'attuazione degli accordi di Minsk, prima o poi, avrebbero fatto deflagrare la situazione, specie se è solo un quarto di secolo che la Russia ammonisce – inascoltata - sull’espansione a est della NATO.

Solo il presidente francese Emmanuel Macron ha lavorato incessantemente negli ultimi cinque anni per provare a rilanciare il dialogo con la Russia. Ora è impegnato in una serrata campagna elettorale per la sua riconferma contro Marine Le Pen che, ironicamente, ha sempre sostenuto legami più forti con Mosca.

I quattro anni della Presidenza di Donald Trump sono forse stati l'ultima e migliore opportunità che l'UE ha avuto per abbozzare una possibile soluzione della crisi ucraina attraverso la neutralità del paese nei confronti della NATO in cambio del suo ingresso nell'Unione Europea. A quel tempo, il presidente americano era disinteressato alla politica europea e molto meno ossessionato dalla Russia rispetto al suo successore, ma Bruxelles non ci ha nemmeno provato.

Quando poi all’inizio del 2021 si è insediata l'Amministrazione Biden, con residui clintoniani a dir poco russofobi come Victoria Nuland (per intenderci quella del Fuck Europe! del 2014) di nuovo in una posizione ancora più forte in seno al Dipartimento di Stato, ogni possibilità di un dialogo proficuo con la Russia è venuta meno.

Nonostante le brutali forzature russe come l'annessione della Crimea e l'autoproclamazione secessionista delle Repubbliche di Donetsk e Luhansk, sarebbe una semplificazione, a dir poco, riassumere gli sviluppi degli ultimi otto anni nel dossier ucraino come semplice prepotenza di Mosca.

Gli eventi accaduti a Kiev nell'inverno 2013/14 sono molto più complessi ed articolati rispetto alla narrativa prevalente che ha sempre enfatizzato l’eroica resistenza ucraina alle pressioni russe. Lo stesso dicasi per la guerra a bassa intensità nel Donbass. L’auspicio è che una seria ricerca storica un giorno faccia luce su questa pagina importante della storia europea, soprattutto alla luce delle drammatiche conseguenze che ha innescato. Ma a quel punto non importerà più nulla a nessuno.

Il minimo che mi sento di poter dire, quindi, assumendomene la responsabilità, è che sulle cause profonde che hanno scatenato questa tragedia nessuno, tra i protagonisti politici, è innocente.

Non ci dovrebbe essere alcun dubbio che l'Ucraina, come - teoricamente - qualsiasi altro Stato sovrano, abbia il diritto di decidere la propria politica estera, comprese le sue alleanze internazionali. È possibile interrogarsi se anche la Russia, come Stato sovrano, possa avere il diritto di vedere riconosciute le sue preoccupazioni di sicurezza? 

Naturalmente, le democrazie occidentali possono legittimamente sostenere che le preoccupazioni russe siano un mero pretesto o che non possano essere promosse attraverso il ricorso alla guerra. Si tratta di una posizione ineccepibile. Tuttavia, perlomeno negli ultimi tre decenni, le democrazie occidentali hanno accettato, e spesso sostenuto materialmente, gli Stati Uniti che hanno scatenato guerre lunghe e sanguinose a migliaia di chilometri di distanza dai propri confini rivendicando minacce alla propria sicurezza nazionale.

Se una tale posizione è stata accolta e sostenuta con tanta disinvoltura è davvero così assurdo e inaccettabile che anche la Russia possa rivendicare un simile diritto? Soprattutto se, nel suo caso, sta agendo appena oltre i suoi confini? E secondo quale logica avanzare un simile dubbio espone automaticamente alla calunnia di essere un "fantoccio di Putin"?

Quanti si sottraggono pretestuosamente dall’offrire una risposta a simili quesiti invocando il cosiddetto “benaltrismo”, finiscono ancora una volta con il giustificare, purtroppo, il doppio standard dell’Occidente nella politica internazionale; senza rendersi nemmeno conto, forse, che il perseverare con tale arrogante posizione finisce con il danneggiare ulteriormente e globalmente la reputazione delle stesse democrazie occidentali.

Indipendentemente da qualche blanda deplorazione della Russia da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dalla sua sospensione dal Consiglio dei Diritti Umani, il segnale principale su cui le democrazie occidentali dovrebbero riflettere è la palese indisponibilità del resto del mondo ad aderire alle sanzioni contro Mosca. A mio modesto avviso questo è l'indicatore inequivocabile di un malessere profondo che andrebbe esaminato e non ignorato, come pare.

Il clima politico e mediatico in Europa è diventato tossico. Qualsiasi tentativo di spiegare le radici storiche e la complessità del conflitto ucraino è oggi impossibile, questo anche a causa degli efferati massacri di cui si stanno macchiando le truppe russe, occorre riconoscerlo. 

Quello che vorrei tuttavia provare a veicolare, è che se le nazioni occidentali perseverano nell'accettare che le regole dell'ordine mondiale guidato dagli Stati Uniti negli ultimi 70 anni sono valide per tutti tranne che per questi ultimi, non dovrebbe poi sorprendere se un numero crescente di nazioni - a prescindere dalla democraticità dei loro ordinamenti politici - possano invocare un ordine mondiale diverso e, magari, più equo.

Tornando al futuro dell'Europa, temo che il suo ruolo ancillare alla NATO non sia nemmeno il problema principale. In pochi giorni, i suoi leader hanno adottato decisioni alle quali avevano resistito per anni. Le spese militari verranno portate al 2% del PIL, come richiesto dagli Stati Uniti e dalla NATO (ovvero gli Stati Uniti) e il complesso militare-industriale statunitense si accaparrerà una quota sostanziale delle commesse che verranno generate da questo massiccio aumento di spesa

È appena il caso di evidenziare che questa spesa aggiuntiva si produrrà mentre il debito dei paesi europei è già a livelli senza precedenti a causa delle enormi risorse mobilitate negli ultimi due anni per affrontare la pandemia e i suoi drammatici effetti economici. Inoltre, tale aumento coinciderà con un'altra situazione critica.

Sia la Federal Reserve statunitense (FED) che la Banca Centrale Europea (BCE) stanno contraendo i loro budget ponendo lentamente fine alle cruciali politiche del cosiddetto “quantitative easing”. Parallelamente, FED e BCE, sono anche costrette ad adeguare i tassi di interesse verso l'alto per limitare un aumento senza precedenti dell'inflazione. Entrambe le misure complicheranno ulteriormente la ripresa economica post-pandemia, che a sua volta è già gravata da uno shock da offerta globale e dall'incredibile impennata del prezzo delle materie prime che verrà ulteriormente esacerbata dalla guerra in corso in Ucraina.

Governare le economie occidentali con così tanti fattori avversi sarà un serio rompicapo, un difficile atto di equilibrio tra lotta all'inflazione senza innescare una recessione; in altre parole, quello che gli economisti chiamano un "atterraggio morbido" dell’economia. Mi auguro solo che questo atterraggio non si trasformi in uno schianto. Si tratta di un dilemma che, mi permetto di osservare, prescinde da ciò che accadrà a Vladimir Putin.

Volendo rendere ancora più difficile una situazione già precaria, l'UE sta anche diversificando le sue forniture energetiche dalla Russia, soprattutto il gas. Non sarà facile, né rapido, né tantomeno economico. L’alternativa, il gas naturale liquefatto (GNL) prodotto da Stati Uniti e Qatar viene consegnato via nave e necessita di grandi e costosi impianti di ri-gassificazione che in Europa scarseggiano e che generano resistenze locali ovunque vengano posizionati; infine, non è né abbondante né economico come il gas naturale russo. L'UE diversificherà quindi il suo fabbisogno energetico sostenendo costi molto più elevati e lo farà in una congiuntura economica già molto avversa.

Infine, il combinato disposto di inflazione, aumento dei tassi di interesse e aumento dei prezzi delle materie prime, energia inclusa, nuocerà gravemente anche alla competitività delle imprese europee (in particolare italiane), danneggiando le loro quote di mercato e, di conseguenza, i loro rendimenti.

Un ulteriore risultato netto, non gradevole, di questa situazione potrebbe essere la contrazione del loro valore azionario che le esporrebbe anche ad acquisizioni ostili da parte dei molteplici e rapaci hedge funds che popolano il panorama finanziario internazionale.

Spero sinceramente di sbagliarmi, ma temo un autunno caldo e non solo a causa del riscaldamento globale. Le leadership europee potrebbero davvero ritrovarsi con le loro pubbliche opinioni che, esasperate, si riverseranno nelle strade, metaforicamente, con i forconi. 

forse è il caso che io mi fermi qui, dopotutto anche io, come si dice, tengo famiglia…e dato il clima che serpeggia da queste parti è meglio stare attenti, l’eventuale redazione di liste di proscrizione non mi stupirebbe, e non mi riferisco certo a quelle di Johnny (pardon!) Gianni Riotta.

Un’ultima amara constatazione: qualora l'UE avesse mai concepito, nel proprio interesse primario ovviamente, di voler svolgere un intelligente ruolo equilibratore nel promuovere un ordine mondiale più equo e multilaterale nel contesto della competizione globale che sta sempre più coinvolgendo Stati Uniti, Cina, Russia, India e altre economie emergenti, appare ormai chiaro come tale ambizione sia stata completamente accantonata. Il suo terzo suicidio in poco più di un secolo è compiuto. Povera Europa!

 

Marco Carnelos é l'ex-ambasciatore italiano in Irak

Fonte: www.dagospia.com

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