Le forze armate yemenite sotto il comando del governo guidato dal movimento sciita Ansarullah (“Houthis”), per la prima volta dall’inizio della guerra, hanno intercettato e posto sotto sequestro una nave-cargo di uno dei regimi responsabili dell’aggressione contro il paese della penisola arabica. L’imbarcazione appartiene agli Emirati Arabi Uniti ed è stata fermata al largo delle coste della provincia occidentale di Hodeidah, controllata appunto dai “ribelli” Houthis. Se questi ultimi durante il conflitto avevano già più volte distrutto con attacchi missilistici navi saudite ed emiratine nelle acque dello Yemen, il sequestro avvenuto lunedì rappresenta un nuovo e ulteriore passo avanti nella lotta contro la “coalizione” sunnita, proprio mentre la guerra sembra essere vicina a un possibile punto di svolta.

I governi di Cina e Giappone si sono accordati questa settimana per l’istituzione di una linea diretta di comunicazione che dovrebbe favorire la de-escalation delle tensioni nel caso una situazione di crisi dovesse far precipitare i rapporti tra le due potenze. Il gesto di distensione arriva in un momento segnato dal deliberato aumento delle pressioni su Pechino da parte di Tokyo, in parte come conseguenza delle richieste americane e in parte sull’onda della retorica ultra-nazionalista che ha accompagnato le recenti vicende elettorali nipponiche.

La recente cancellazione da parte del governo degli Emirati Arabi Uniti (EAU) di un contratto di acquisto per 50 aerei da guerra F-35 americani ha rappresentato un evento con pochi o nessun precedente e potrebbe avere in futuro riflessi non indifferenti sulla proiezione degli interessi strategici degli Stati Uniti a livello planetario. Ufficialmente, la questione è ancora oggetto di negoziati tra i due paesi, ma la ferma presa di posizione di un regime altrimenti prudente, come quello di Abu Dhabi, consegna l’eventuale risoluzione della disputa nelle mani della Casa Bianca. Per l’amministrazione Biden non sembrano esserci però vie d’uscita “morbide”, soprattutto perché l’oggetto della contesa sui caccia della Lockheed Martin è in fin dei conti la Cina e la penetrazione dell’influenza di Pechino nei paesi alleati di Washington.

L’affare da 23 miliardi di dollari era stato approvato l’ultimo giorno della presidenza Trump e includeva anche la vendita di 18 droni armati MQ-9B, di fabbricazione della compagnia General Atomics. Il contratto era soggetto alla revisione dell’amministrazione democratica entrante che, malgrado la retorica dei diritti umani e gli scrupoli per la guerra in corso nello Yemen, aveva deciso di ratificarlo. Gli Emirati Arabi avevano a lungo insistito con gli USA per ottenere gli F-35 e altrettanto a lungo c’erano state resistenze per svariate ragioni.

La morte per complicazioni da Coronavirus dell’ambasciatore iraniano in Yemen, Hassan Irloo, ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale la drammatica situazione umanitaria imposta dal regime saudita al paese più povero della penisola arabica. Allo stesso tempo, la vicenda ha rappresentato un caso esemplare di disinformazione, alimentata dai media ufficiali in Occidente, con l’obiettivo di colpire gli interessi di una Repubblica Islamica sempre più coinvolta e in grado di giocare un ruolo determinante nello scacchiere mediorientale.

Il senatore democratico del West Virginia, Joe Manchin, ha affossato probabilmente in maniera definitiva il limitato pacchetto di riforme sociali al centro del programma di governo dall’amministrazione Biden e spento le residue speranze del suo partito di conservare la risicata maggioranza al Congresso di Washington dopo il voto di “metà mandato” del novembre 2022. La decisione di Manchin, uno dei membri più reazionari della delegazione parlamentare democratica, è arrivata significativamente in un’intervista nel fine settimana a Fox News, durante la quale ha fatto sapere di non essere disposto a votare a favore di un provvedimento da poco meno di duemila miliardi di dollari in fase di negoziazione da mesi sotto gli auspici della Casa Bianca.


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