I futuri sviluppi della guerra commerciale in atto tra Cina e Stati Uniti saranno probabilmente modellati dall’incontro che il presidente americano Trump e quello cinese, Xi Jinping, hanno programmato durante il vertice del G-20 nel fine settimana a Buenos Aires, in Argentina. La linea dura nei confronti di Pechino, tenuta finora dalla Casa Bianca, è sembrata vacillare almeno in parte negli ultimi giorni, dopo che l’emergere di una serie di fattori ha evidenziato forse per la prima volta in maniera inequivocabile gli effetti negativi anche per l’economia americana dello scontro sui dazi.

Con un annuncio tutt’altro che gradito all’amministrazione Trump, i vertici della General Motors hanno presentato lunedì un pesantissimo piano di tagli alla produzione e di personale che prospetta un nuovo doloroso processo di ristrutturazione del settore automobilistico, probabilmente non limitato al continente americano.

 

Ancora una volta, il mantenimento di livelli accettabili di “profitto a lungo termine” e del “potenziale nella creazione di denaro”, come ha spiegato l’amministratore delegato della compagnia Mary Barra, avverranno a spese dei dipendenti. E ciò nonostante la GM abbia fatto segnare un aumento degli utili di quasi il 40% nel terzo trimestre del 2018 e da oltre un anno spenda svariati miliardi di dollari in dividendi e riacquisto di proprie azioni.

La pesante sconfitta del partito indipendentista al potere a Taiwan nelle recenti elezioni amministrative potrebbe innescare nei prossimi mesi un certo ricalibramento delle politiche di questo paese nei confronti della Cina. Oltre che una serie di impopolari misure economiche e sociali, il Partito Democratico Progressista (DPP) ha infatti pagato a caro prezzo la decisione in questi ultimi due anni di abbracciare una linea sempre più dura nei rapporti con Pechino, in buona parte ispirata e appoggiata dall’amministrazione Trump.

 

La presidente taiwanese, Tasi Ing-wen, è subito finita sul banco degli imputati dopo la pessima performance del DPP nella giornata di sabato, tanto che dopo la diffusione dei risultati ha rassegnato le proprie dimissioni da leader del suo partito. A beneficiare di questa débacle sono stati i nazionalisti del Kuomintang (KMT) all’opposizione, in grado di assicurarsi svariate amministrazioni cittadine e provinciali precedentemente nelle mani del DPP.

La rete del welfare britannico, che per decenni ha garantito una relativa equità nella gestione e nel contenimento delle situazioni di marginalità sociale, ha lasciato il posto ormai da svariati anni a uno scenario che un recente rapporto delle Nazioni Unite ha definito impietosamente di “grande sofferenza” inflitta alle fasce più deboli della popolazione.

 

A sostenerlo è stato il relatore ONU sulla povertà estrema e sui diritti umani, Philip Alston, in una recente conferenza stampa in cui ha presentato le conclusioni di un’indagine sul campo tra Inghilterra, Scozia e Irlanda del Nord. Il quadro che ne è uscito è quello di un paese che, nonostante risulti essere la quinta potenza economica del pianeta, presenta livelli di povertà inquietanti e un continuo sfaldamento del tessuto sociale a causa di quasi un decennio di deliberate e durissime politiche di austerity.

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, sembra avere per il momento scongiurato una delicata crisi di governo e allontanato l’ipotesi di elezioni anticipate. Il suo gabinetto esce tuttavia indebolito dal recente scontro con gli alleati di estrema destra, provocato dalla tregua siglata con Hamas per chiudere l’ennesimo conflitto armato nella striscia di Gaza.

 

Settimana scorsa, l’ormai ex ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, si era dimesso dal governo dopo avere accusato Netanyahu di essere troppo tenero nei confronti di Hamas e di avere accettato un cessate il fuoco senza avere debellato una volta per tutte la minaccia islamista sulla popolazione di Israele. La decisione di Lieberman era stata quasi universalmente giudicata come una mossa elettorale, per dare al leader del partito Yisrael Beitenu credenziali militariste e garantirgli la possibilità di provare a strappare voti al Likud del primo ministro.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy