Nelle settimane seguite allo storico incontro del 12 giugno a Singapore tra il presidente americano Trump e il leader nordcoreano, Kim Jong-un, l’amministrazione repubblicana è stata esposta a critiche e crescenti pressioni sul fronte interno per avere fatto eccessive concessioni o promesse al regime di Pyongyang.

 

Questi attacchi da destra contro la Casa Bianca si sono intensificati in concomitanza con l’avvio dei primi negoziati tra USA e Corea del Nord, previsti dal vertice di Singapore. Nei giorni scorsi, tra l’altro, alcune rivelazioni giornalistiche o presunte tali hanno messo in dubbio la buona fede dell’impegno di Kim a disfarsi del suo arsenale nucleare nel quadro di un accordo di ampio respiro con il governo di Washington.

 

Al terzo tentativo ce l’ha fatta, Andrès Manuel Lopez Obrador è il nuovo Presidente del Messico. Con la maggioranza assoluta dei voti ha conquistato la presidenza, le principali città e, quando ancora lo spoglio per deputati e senatori non è concluso, pare che potrà godere di ampia maggioranza nei due rami delle Camere.

 

Avevano provato anche in questa occasione, con brogli e violenza, ad invertire la volontà popolare, ma stavolta la partecipazione massiccia ha reso percentualmente inutili i brogli in alcuni luoghi del Paese. Alla notizia del suo trionfo centinaia di migliaia di persone si sono spontaneamente riversate nel Zocalo di Città del Messico, riempendo fino all’inverosimile una delle più grandi piazze del mondo. Tutti volevano esserci a respirare l’aria fresca di un nuovo Messico, nessuno voleva perdere l’appuntamento con la fine della paura.

 

Quella di oggi potrebbe essere la volta buona per Andrès Manuel Lopez Obrador, per tutti AMLO. Sessantacinque anni, nato nello Stato di Tabasco, ex sindacalista e nel 2000 eletto sindaco della capitale, AMLO è il candidato di Morena, il partito di sinistra da lui creato con una scissione del PRD (che ha subito identica metamorfosi del PD italiano divenendo un partito di centro ndr).

 

Coalizzatosi con la formazione laburista del PT ed un altro partito di orientamento moderato e cattolico, il PES, è fortemente in testa in tutti i sondaggi. Ci sono infatti tra lui e il primo dei suoi avversari almeno 23 punti - Josè Antonio Meade, oscuro quanto furbo e rapace funzionario della casta messicana del PRI - e ancor maggiore - circa 30 punti - è la distanza con Ricardo Anaya, candidato del PAN.

 

In ogni paese del mondo una distanza così importate nei sondaggi concentrerebbe l’attenzione sulla misura della vittoria e sui futuri equilibri parlamentari, ma in Messico non è mai bene dare per scontato nulla, meno che mai in termini di alterazione del procedimento democratico elettorale. Prova ne siano non solo i due giganteschi brogli (2006 e ancor più nel 2012) organizzati proprio ai danni di AMLO e che consentirono a Enrique Pena Nieto (prodotto di Tele Visa, che è una delle gambe del tavolo su cui si poggia il sistema dominante) di riportare il PRI al governo del paese.

Il momento del ritiro del giudice della Corte Suprema americana, Anthony Kennedy, è sempre stato visto come un avvenimento cruciale per gli equilibri giuridici e costituzionali degli Stati Uniti, visto il suo presunto ruolo di ago della bilancia tra i membri conservatori e quelli “liberal” all’interno del tribunale. Questo momento è alla fine giunto nella giornata di mercoledì e, come previsto, la notizia ha subito monopolizzato l’attenzione di praticamente tutti i media americani.

 

Se il centrismo di Kennedy è quanto meno discutibile, soprattutto in merito a determinate questioni, la sua uscita di scena a poche settimane dall’82esimo compleanno permetterà indiscutibilmente al presidente Trump di nominare un nuovo giudice reazionario che sposterà drammaticamente a destra il baricentro di una Corte già da tempo impegnata a smantellare l’edificio democratico americano.

Tra le primarie tenute martedì negli USA, in vista delle elezioni per il Congresso di novembre, ha fatto notizia la clamorosa sconfitta di uno dei più potenti deputati del Partito Democratico, superato in maniera netta da una giovanissima candidata di origine portoricana appartenente a un movimento autodefinitosi “socialista”.

 

La 28enne Alexandria Ocasio-Cortez ha ricevuto più del 57% dei voti nelle elezioni primarie democratiche del 14esimo distretto dello stato di New York, un’area con una forte minoranza ispanica e che include i “boroughs” di Queens e Bronx della principale città degli Stati Uniti.

 

Se l’etnia di appartenenza e il programma della neo-candidata a un seggio del Congresso di Washington sembravano del tutto appropriati per l’elettorato del distretto, il peso del suo sfidante, il 56enne Joe Crowley, indicava piuttosto un nuovo facile successo di quest’ultimo. Dopo le elezioni del 2004, Crowley aveva in pratica corso come candidato unico nelle primarie democratiche. In questa occasione, come in passato, godeva poi del supporto di tutto l’apparato del partito e la sua campagna aveva a disposizione fondi pari a 1,5 milioni di dollari, contro i poco più di 300 mila raccolti dalla Ocasio-Cortez.


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