Che dietro alla decisione del generale Jim Mattis di abbandonare Il Pentagono ci sia stata la scelta, apparentemente improvvisa, del Presidente di ritirare le truppe statunitensi dalla Siria e di dimezzare entro l'estate il contingente di stanza in Afghanistan, appare innegabile. L'accelerazione dell'accaduto, però, non porta con sé solo nuovi dubbi ma anche scenari inattesi. E potenzialmente foschi.

La decisione, annunciata mercoledì dal presidente Trump, di ritirare i duemila soldati americani stanziati illegalmente in Siria ha scatenato all’istante una valanga di critiche e durissime condanne sia sul fronte domestico sia tra i governi alleati degli Stati Uniti. Il panico innescato a Washington da una notizia arrivata apparentemente a sorpresa preannuncia perciò un ulteriore inasprimento dello scontro interno alla classe dirigente americana.

Nel pieno della battaglia dell’Occidente contro la disinformazione e le “fake news” attribuite alla Russia, un gruppo di hacker ha scoperto un programma di vasta portata del governo britannico, creato al preciso scopo di disseminare propaganda nell’interesse di Londra e dei suoi alleati.

 

Il progetto è noto con il nome orwelliano di “Integrity Initiative” (II) e può contare, oltre che su denaro e personale riconducibili agli ambienti militari, dell’intelligence e del business, su una rete capillare di giornalisti o presunti tali, politici e uomini di fiducia, pronti a intervenire sulla stampa e sul web per promuovere il punto di vista ufficiale e screditare qualsiasi opinione critica o alternativa.

La visita di questa settimana a Damasco del presidente sudanese, Omar al-Bashir, è stata la dimostrazione più evidente del possibile inizio di un processo di normalizzazione dei rapporti tra i paesi arabi e il governo siriano, del quale erano emersi finora soltanto alcuni timidi segnali. Bashir è il primo leader arabo a recarsi in Siria dall’inizio della guerra nel 2011 e il suo incontro dai toni cordiali con il presidente Assad è tanto più significativo se si considerano le posizioni che il regime del Sudan aveva assunto nei confronti di Damasco negli anni scorsi.

Il senso di crisi profonda che emana ormai da tempo dalla Casa Bianca si è respirato ancora una volta nei giorni scorsi grazie alla confusione con cui Trump e il suo staff hanno gestito la faticosa nomina del nuovo capo di gabinetto (“chief of staff”) dello stesso presidente.

 

Dopo una serie di candidature andate a vuoto, Trump ha optato per il numero uno dell’Ufficio del Bilancio della Casa Bianca, l’ex deputato repubblicano Mick Mulvaney, il quale si ritroverà a gestire una fase politica estremamente delicata e complessa, segnata cioè dal complicarsi delle vicende legali riconducibili alla caccia alle streghe del “Russiagate”.


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