Nemmeno la OEA ha voluto prestarsi al tentativo di colpo di stato della destra in Nicaragua. Lo stesso Segretario Generale, Almagro, aveva del resto già avvertito come il dialogo tra le forze politiche fosse l’unica via per disegnare un profilo di riforme istituzionali, compresa quella elettorale, e che solo attraverso elezioni si può conquistare il governo del Paese.

 

Almagro aveva anche ricordato che il governo sandinista non è certo etichettabile come una dittatura, mentre al contrario la menzogne offerte dall’opposizione ne dimostrano l’inaffidabilità. Eppure, insieme alla violenza, le menzogne sono il tratto distintivo del tentativo di colpo di stato di una destra che prova a mangiarsi il paese. Il racconto dei media internazionali è indecente, in Italia si segnalano Repubblica, Corriere e Manifesto nella corsa al falso.

 

Il Nicaragua è ormai simbolo dell’iperbole, regno del surreale, laboratorio della manipolazione, dell’offesa alla logica, dell’ignoranza che vuole imporsi sul buon senso. Dal 18 Aprile la verità viene schiacciata dalla propaganda della casta padronale che utilizza armi e tastiere per imporre la sua agenda. Sebbene si applichi il piano previsto da Gene Sharp, lì conosciuto come golpe suave e qui come “primavere” o “rivoluzioni colorate”, la variante nicaraguense si caratterizza per un aspetto più crudele nella violenza perpetrata e, soprattutto, per l’uso massiccio, più che in ogni altro contesto, di menzogne senza limiti ed immagini stereotipate basate sul rovesciamento dei fatti. 

Le manifestazioni di protesta che stanno scuotendo in questi giorni il regno di Giordania sono le più imponenti dal 2011, quando il paese mediorientale fu poco più che sfiorato dalla cosiddetta “Primavera Araba”. Alla base delle richieste della popolazione scesa nelle piazze ci sono sempre e in primo luogo questioni di natura economica, ma nello specifico le agitazioni sociali in corso sono causate da una serie di misure di austerity adottate dal governo in cambio di un prestito del Fondo Monetario Internazionale (FMI).

 

La relativamente imprevista uscita di scena in Spagna di Mariano Rajoy nel fine settimana è stata causata da una confluenza di fattori che hanno spinto verso il basso il livello di popolarità del primo ministro conservatore e di cui una sentenza per corruzione ai danni di ex esponenti di vertice del suo Partito Popolare (PP) né è stata di fatto il catalizzatore.

La deriva protezionista dell’amministrazione Trump ha segnato un passo probabilmente cruciale con la decisione, presa giovedì, di introdurre pesanti dazi sulle importazioni negli Stati Uniti di acciaio e alluminio provenienti da alcuni paesi alleati, tra cui quelli dell’Unione Europea.

 

Il provvedimento è coinciso con la conclusione del periodo di sospensione delle nuove tariffe doganali, già annunciate nel mese di marzo, in attesa di risultati mai arrivati dalle trattative in corso per cercare di riequilibrare la bilancia commerciale americana.

Per far fronte a una molto dubbia minaccia di attacco da parte della Russia, il governo di estrema destra polacco ha proposto recentemente agli Stati Uniti di installare una base militare permanente sul proprio territorio e al di fuori del quadro NATO. Oltre a rappresentare un onere finanziario gravoso, visto che Varsavia intende farsi carico interamente delle spese, l’eventuale progetto avrebbe però l’effetto opposto a quello desiderato dalla Polonia, contribuendo a far salire ancora di più le tensioni nell’ambito dello scontro in atto con Mosca.

 


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