Un recente episodio dai risvolti clamorosi è tornato a fare luce sulle tendenze anti-semite alimentate da qualche tempo dal governo polacco del partito populista di destra Diritto e Giustizia (PiS) in parallelo alla promozione di un’agenda politica marcatamente anti-democratica. In un’edicola situata all’interno del parlamento di Varsavia (“Sejm”) è stato messo cioè in vendita qualche giorno fa un giornale di destra – “Tylko Polska” (“Solo Polonia”) – con in prima pagina un articolo che riportava le istruzioni necessarie a “riconoscere un ebreo”.

 

Anche se l’autore della strage di venerdì scorso nelle due moschee di Christchurch, in Nuova Zelanda, sembra avere agito senza complici o appoggi specifici, le sue azioni non possono essere in nessun modo isolate o ricondotte a un semplice disagio individuale. L’ambiente in cui il delirio razzista e anti-sociale di Brenton Tarrant si è trasformato in un orrendo crimine di massa è infatti ben noto e sta ricevendo da tempo una più o meno esplicita legittimazione da parte delle classi politiche di molti paesi occidentali.

Una vero e proprio fuoco di sbarramento, alimentato con avvertenze e minacce all’indirizzo del governo, si è alzato contro la possibilità che l’Italia firmi il protocollo d’intesa del progetto One Belt One Road, da tutti generalmente definito come la nuova “Via della Seta”. Gli Stati Uniti hanno fatto immediatamente sentire la propria voce e subito sono intervenuti in loro sostegno alcuni esponenti della Unione Europea.

 

Ma cos’è One Belt One Road? E’ un piano di investimenti globali nato nel 2013 e al quale hanno aderito 67 paesi che hanno firmato il Memorandum d’Intesa. Gli investimenti ammontano a 8000 miliardi di Euro e, fino ad ora, il Pakistan è la nazione maggiormente coinvolta, con un investimento di 60 miliardi di dollari.

Il mistero attorno al blitz condotto all’interno dell’ambasciata della Corea del Nord a Madrid lo scorso febbraio ha cominciato a sciogliersi dopo che la polizia e l’intelligence spagnole hanno collegato un paio di membri del commando responsabile dell’accaduto nientemeno che alla CIA americana. L’episodio era apparso subito sospetto sia per le modalità con cui l’operazione era stata portata a termine sia per la coincidenza con le fasi preparatorie del secondo summit tra il presidente americano Trump e il leader nordcoreano, Kim Jong-un.

 

Alle tre del pomeriggio del 22 febbraio, una decina di individui si erano introdotti nell’edificio che ospita la rappresentanza diplomatica della Nordcorea nel quartiere residenziale di Aravaca, alla periferia nord della capitale spagnola. Un paio d’ore più tardi, una donna era riuscita a fuggire da una finestra dell’ambasciata e, raggiunta la strada più vicina, aveva iniziato a gridare per richiamare l’attenzione di passanti e residenti che si sono poi affrettati a chiamare la polizia.

Anche se le cause del disastro aereo di domenica scorsa in Etiopia rimangono ancora da verificare, una serie di indizi relativi al velivolo della Boeing schiantatosi al suolo poco dopo la partenza da Addis Abeba e la stessa situazione del settore aereonautico civile a livello globale permettono già da ora di esprimere una serie di considerazioni sulla vicenda che è costata la vita a 157 persone. Le condizioni atmosferiche ottimali registrate poco prima dell’incidente, la data di costruzione recentissima dell’aeromobile e il livello di esperienza del comandante, d’altra parte, avevano subito suscitato parecchi dubbi sull’accaduto, soprattutto alla luce delle analogie riscontrate con il disastro dell’ottobre scorso in Indonesia.


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