di Mariavittoria Orsolato

Era l’8 settembre del 2007, quando chiamate all’appello da Beppe Grillo, 350.000 persone si misero pazientemente in code chilometriche per firmare una proposta di legge che espellesse i condannati in via definitiva dal parlamento, che limitasse i mandati elettorali a due legislature e che desse una sistemata al “porcellum” elettorale. A due anni di distanza le firme giacciono ancora sulla scrivania dell’onorevole Vizzini (presidente della Commissione permanente Affari Costituzionali al Senato) ma l’esercito di quelli che la stampa definì con intento di spregio “grillini” si è ingrandito, si è organizzato e, come aveva auspicato lo stesso comico genovese in occasione di quel famoso Vaffanculo-Day, si è buttato in politica. Aborrendo per manifesta autodefinizione i partiti, i seguaci, gli estimatori o, più semplicemente, i lettori del blog di Grillo, hanno creato ex-novo delle liste civiche da presentare alle prossime amministrative.

di Rosa Ana de Santis

La Chiesa è il tiranno eccellente e l’alleato comodo dei giochi elettorali e della dinamica del consenso. Che sia incensata come fonte della verità suprema o etichettata come prigione culturale, é comunque uno strumento prezioso per fare mercato di voti sui temi più piccanti della politica. Quelli che spaccano coerenze a sprezzo dei numeri e senza pietà dei simboli di appartenenza. Succede così che Maroni e i suoi vincono la battaglia della sicurezza alla Camera e che il Premier concede il premio atteso alla faccia più pericolosa del volgare populismo di destra. In Italia la Chiesa rappresenta un freno permanente all’emancipazione della politica e della società civile, attraverso la rivendicazione di un ruolo culturale che va ben oltre gli steccati dei dogmi. Ma é altrettanto vero che viene contesa un po’ da tutta l’agorà della politica, a conferire sacralità e intoccabilità di circostanza a posizioni e pareri. Di diritto o di rovescio la politica fa i conti, più che con la Chiesa, con lo Stato Pontificio.

di Mariavittoria Orsolato

Per tutti quelli che credevano che l’Onda studentesca fosse stata prematuramente annichilita dalle vacanze natalizie, la tre giorni di Torino dovrebbe se non altro portare a ricredersi sulla caparbietà di questi ragazzi. L’occasione è stata la conferenza internazionale dei rettori delle università di 19 paesi - quello che gli stessi promotori hanno ribattezzato G8 University Summit - sponsorizzato dal Politecnico di Torino, dalla CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) e dalla Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco. Il tema annunciato dell’incontro è stato lo sviluppo sostenibile “articolato - specifica il rettore del Politecnico Francesco Profumo, padre putativo della manifestazione - secondo le cinque E inglesi: energia, economia, etica, ambiente ed educazione”. Vuoi un po’ l’infelice o quantomeno ingenua denominazione dell’incontro (se lo chiami G8, lo scontro te lo devi aspettare automaticamente), vuoi un po’ la tematica scelta (parlare di sviluppo in tempi di crisi è praticamente un ossimoro), fatto sta che tra il 17 e il 19 si sono riuniti a Torino almeno 5.000 giovani provenienti da tutta Italia ma anche da Spagna, Francia, Grecia e Germania.

di Mario Braconi

Il 7 maggio tre carrette del mare vengono intercettate mentre ancora sono in acque territoriali libiche. I 227 migranti, tra cui 41 donne (tre in gravidanza), e 3 bambini che si trovano a bordo delle barche, vengono caricati sulle motovedette della Guardia di Finanza e della Capitaneria di porto italiane e riaccompagnati in Libia, il paese da cui sono partiti. Un’azione vile, che scatena indignate proteste delle più importanti associazioni di tutela dei diritti umani, dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, del Consiglio Europeo e della chiesa cattolica. Al generale sconcerto il ministro degli Interni Roberto Maroni risponde con palpabile esaltazione, definendo l’azione in mare degli Italiani un risultato “storico”; finalmente un “successo” mediatico da celebrare dopo le sonore bocciature subite da tutti i provvedimenti anti-immigrazione da lui stesso ideati: quelli, per intenderci, disegnati per trasformare medici e presidi di scuola in delatori.

di Rosa Ana de Santis

Nei giorni scorsi aveva fatto il giro del web e della carta stampata l’appello, inviato alle massime autorità, di Paolo Ravasin. Le parole di un uomo in un filo di voce, soffocato da una malattia cronica e progressiva come la SLA, hanno ricordato allo Stato e alla Chiesa di non potersi sostituire alla libera scelta di ognuno. Nelle sue direttive anticipate Ravasin aveva espresso la libera scelta e volontà di non essere alimentato e idratato a forza, una volta divenuto incapace di farlo autonomamente e in modo naturale. Un testamento che rischia di diventare carta straccia nel percorso che sta facendo in Parlamento il testo di legge Calabrò e che ha visto in Senato la sua ufficiale approvazione. Un obbligo alla vita, così come lo Stato la pensa e la intende, che tracima ogni limite e svilisce di valore il rispetto della libertà personale.


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