di Mariavittoria Orsolato

Per tutti quelli che credevano che l’Onda studentesca fosse stata prematuramente annichilita dalle vacanze natalizie, la tre giorni di Torino dovrebbe se non altro portare a ricredersi sulla caparbietà di questi ragazzi. L’occasione è stata la conferenza internazionale dei rettori delle università di 19 paesi - quello che gli stessi promotori hanno ribattezzato G8 University Summit - sponsorizzato dal Politecnico di Torino, dalla CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) e dalla Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco. Il tema annunciato dell’incontro è stato lo sviluppo sostenibile “articolato - specifica il rettore del Politecnico Francesco Profumo, padre putativo della manifestazione - secondo le cinque E inglesi: energia, economia, etica, ambiente ed educazione”. Vuoi un po’ l’infelice o quantomeno ingenua denominazione dell’incontro (se lo chiami G8, lo scontro te lo devi aspettare automaticamente), vuoi un po’ la tematica scelta (parlare di sviluppo in tempi di crisi è praticamente un ossimoro), fatto sta che tra il 17 e il 19 si sono riuniti a Torino almeno 5.000 giovani provenienti da tutta Italia ma anche da Spagna, Francia, Grecia e Germania. Le giornate sono state indubbiamente frenetiche, a partire dalla chiusura preventiva di Palazzo Nuovo, sede delle Facoltà Umanistiche, e del conseguente battibecco tra studenti, Profumo e il rettore Pellizzetti che nel raccontare la sua versione dei fatti se non altro è riuscito a rendere bene lo stato dei rapporti tra gli atenei italiani: “Il G8 dell'Università è stato organizzato dal Politecnico senza coinvolgerci. E allora sapete che cosa vi dico? Siccome nessuno si è fatto carico delle possibili conseguenze del contro-summit, non vedo perché dovrei preoccuparmene io. Chiudo e basta. E facciano quello che vogliono”. Il suddetto contro-summit era poi stato dipinto dalla brillante stampa nostrana come “un’altra Genova” con “L’incubo black-block” e gli “Scontri annunciati”, si temeva per l’arrivo di pullman carichi di facinorosi e si fantasticava sulla composizione di quella che in molti hanno definito la galassia della contestazione, realtà diversificata – secondo Federica Cavrero di Repubblica – ispirata all’autonomia operaia.

Certo non tutta l’Onda ha realizzato che gli anni ’70 sono finiti da un pezzo, ma bollare come nostalgici dei ventenni imberbi pare più cha altro un controsenso ed è sicuramente ingiusto liquidare come problematici gli studenti e i collettivi universitari che hanno messo in piedi una solida rete di condivisione dei saperi e delle proposte per cercare di guarire dall’interno il cancro che sta lentamente consumando la pubblica istruzione. Ma a Torino gli scontri ci sono stati, è innegabile. Il castello del Valentino, protetto e presidiato come una fortezza, era il simbolo dell’arroccamento dei baroni e come tale è stato considerato da quella frangia di movimento che non vuole rinunciare all’effetto-spettacolo di una contrapposizione tra stato e anti-stato. Ma i cortei sono stati pacifici, le tanto temute azioni di disturbo si sono limitate a qualche sit-in per bloccare il traffico, a dei gavettoni d’acqua e uova, e a un paio di lucchetti appesi alle porte delle banche, azioni tra l’altro già viste durante lo scorso “autunno caldo”.

Lo spiegamento delle forze dell’ordine è stato però massiccio: migliaia gli agenti in tenuta antisommossa e altrettanta Digos in borghese, elicotteri, centinaia di lacrimogeni sparati e se il bilancio dei feriti è rimasto contenuto lo si deve - come testimoniano più video su You Tube – soprattutto ai torinesi. Un filmato in particolare (http://www.youtube.com/watch?v=-kIUbCFasVc&feature=related) mostra una brevissima carica della celere su un gruppo di una quarantina di ragazzi, questi scappano ma alcuni vengono braccati e atterrati dagli agenti, immediatamente qualcuno si avvicina “Calma, piano, fate piano!”, “Ma guarda quanti siete! lasciateli stare, lasciali stare!”, poi di nuovo la calma.

Il “volto cattivo” dello Stato, quello invocato dal ministro dell’Interno Maroni contro l’immigrazione, si è al solito manifestato contro i giovani contestatori ma le cronache odierne riportano ben 24 feriti per le forze dell’ordine, come si siano procurati le lesioni non ci è dato saperlo. “Un gruppo di violenti che ha attaccato le forze di Polizia con premeditazione - questo il parere del ministro leghista - hanno tirato fuori 20 estintori per spararne il contenuto contro gli agenti: vuol dire che queste persone hanno partecipato al corteo con l'intenzione di fare violenze.

Cosa c'entra questo con la contestazione ai rettori, o con il diritto ad esprimere il proprio pensiero? Nulla. Non erano né studenti né giovani in cerca di giustizia. Solo violenti”. Verrebbe da rispondere al ministro che la schiuma degli estintori non ha mai ammazzato nessuno mentre le armi, il cui porto si voleva concedere per legge padana anche ai sedicenni, quelle si che fanno male. Ma questa è un’altra storia. Dalla fortezza del Valentino i rettori hanno reagito con pacatezza ai fatti di piazza, tendendo la mano del dialogo agli studenti e precisando che quello successo durante i tre giorni del summit è stato “un difetto di comunicazione”. La carta programmatica sottoscritta dalla conferenza dei rettori e che sarà presentata al vero G8 previsto (sic) a L’Aquila presenta però, almeno nelle intenzioni, un punto a favore degli studenti: “Il governo del cambiamento - è stato scritto - dovrà essere sempre più democratico e partecipato, a partire dal pieno coinvolgimento degli studenti nell'elaborazione delle politiche universitarie”. Nella speranza che queste buone intenzioni non rimangano sulla carta, si attendono delucidazioni su quella che sarà la gestione della piazza a L’Aquila: macerie e detriti non fermeranno certo il dissenso e la sensazione è che quella di Torino sia stata una piccola prova generale.

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