di Mariavittoria Orsolato

Trent’anni fa Renato Zero cantava le gesta e le imprese di una mamma Rai che diceva solo il vero e che amava i suoi dipendenti come se, appunto, fossero figli. Per quanto di “figli di” ne siano passati molti - e continuino tutt’ora a transitarne - ora mamma Rai sembra essere diventata più arcigna. Soprattutto verso quella parte di famiglia che non rinuncia ad informare correttamente su quello che accade nel belpaese e che perciò viene definita da Premier e affini “disinformazione cattocomunista” da cui la “povera Italia” dovrebbe difendersi. E’ notizia di pochi giorni fa che “Report”, il pluripremiato programma d’inchieste condotto da Milena Gabanelli, non riceverà più la copertura legale dall’azienda, mentre martedì Michele Santoro ha inviato ai dirigenti di rete una lettera in cui si doleva del fatto che, a meno di due settimane dalla messa in onda del suo “Annozero”, non ci sia ancora un contratto firmato. Ma andiamo per ordine.

L’avvicendamento alla presidenza della tv pubblica, nella persona del giornalista di La Repubblica Paolo Garimberti, pare non aver giovato alla continua guerra intestina che da anni si consuma dietro al tavolo del consiglio di amministrazione. La costante lottizzazione a senso unico della tv di stato ormai non basta a un Berlusconi sempre più alla berlina di Chiesa e comunità internazionale. Le notizie dei suoi vizi e dei suoi fallimenti politici continuano a trapelare, nonostante il compagno Minzo e la schiera di addetti ai lavori facciano di tutto per edulcorarle e abbellirle in tempo per le principali edizioni dei tg.

Stavolta non ci sono stati editti plateali, nessuna testa da tagliare è stata esplicitata, ma a viale Mazzini la nuova stagione televisiva deve avere un volto diverso. Lo insinua Palazzo Chigi e lo conferma ulteriormente la bagarre che sta travolgendo Rai 3, la sua dirigenza e soprattutto il suo palinsesto. Il 26 agosto Giorgio Van Straten, consigliere della commissione parlamentare di vigilanza in quota Pd, denunciava l’avvicendamento alla direzione di rete come un tentativo di
censurare non tanto l’attuale direttore Paolo Ruffini, quanto l’intera rete.

Se non vivessimo in Italia, strangolati da paradossi sociali e ossimori politici di ogni genere e sorta, sembrerebbe un sacrilegio applicare l’odioso principio dello spoil-system ad una rete che resiste degnamente al passaggio da una piattaforma di trasmissione a un'altra, perdendo solo lo 0,8% cento di share, rispetto al 4% totalizzato dalle due sorelle maggiori. Dato che la qualità non interessa ai piani alti di viale Mazzini, dovrebbe convincerli almeno la quantità di raccolta pubblicità che una rete considerata marginale riesce ad accaparrasi.

Questo sempre se non vivessimo in Italia. Ma purtroppo il fato ha deciso di destinarci in questo stivale insozzato, e così accade che ottimi programmi come “Parla con me”, “Che tempo che fa” ed appunto “Report” ed “ Annozero”, vengano messi in discussione sulla base di millantate minacce alla veridicità e alla bontà del sistema informativo. E la censura, perché è di questo che si tratta non giriamoci attorno, in questi casi è ancor più bieca e vile dal momento che non si perpetra a viso aperto ma si consuma grazie a prerogative dirigenziali apparentemente blande, al limite del banale.

Prendiamo il caso di Report. Al contrario di molte altre trasmissioni, quello di Milena Gabanelli è un format che si regge sulla collaborazione di validissimi freelance il che significa che nessuno dei giornalisti ha un contratto di lavoro con la Rai, ma semplicemente opera autonomamente per conto di quest’ultima. Levare la tutela legale a questi professionisti significa abbandonarli inermi alle centinaia di querele pretestuose, ma pur sempre milionarie, che personaggi come Tremonti o Ligresti intentano in nome della loro lesa maestà.

Senza l’appoggio del team legale della Rai, gli autori della trasmissione sarebbero costretti a sobbarcarsi autonomamente le spese di processi che, seppur sempre terminati con piene assoluzioni, necessitano di tempi biblici per arrivare a conclusione e questa prospettiva è in grado di metter a tacere anche il più impavido tra gli zelanti. E purtroppo non consola il fatto che 30 avvocati abbiano offerto il loro patrocinio gratuitamente.

Stesso copione ma modalità diverse per il programma di Santoro. Se all’inizio la questione verteva sull’affiancamento obbligatorio di un “giornalista di destra” al (che non ce ne voglia) sinistrorso Marco Travaglio, ora il problema sta nel fatto che nessun contratto di collaborazione alla trasmissione è stato firmato. Senza giornalisti, né tecnici di ripresa, né registi é parecchio difficile mandare in onda un programma previsto in palinsesto per il 24 settembre. Il povero Mike Bongiorno diceva sempre che da Mediaset nessuno veniva cacciato, ma se ne andava di propria iniziativa. Non stentiamo a crederlo, le ghigliottine stanno ancora tutte a viale Mazzini.

di Giovanni Gnazzi

C’è tutto l’italico paradosso del prepotente contro le sue vittime nelle ultime declamazioni del Presidente del Consiglio. Testo e contesto sono quelli noti: il premier denuncia chi domanda, invocando il diritto alla privacy da un lato e il governo della cosa pubblica dall’altro; il giornalista di casa porge le domande con la grazia richiesta. Non sono in odore di Pulitzer e nemmeno di Premio Saint Vincent i giornalisti dei numerosi house organ, che nel momento di massimo vigore e schiena dritta arrivano a fare domande tremende, dall’indubbia irriverenza, tipo: come si sente, presidente? Oppure: è ottimista circa il futuro dell’Italia? Per gli altri, quelli che non stipendia, c’è la magistratura. Qui la vigliaccheria è doppia, perché oltre ad essere una querela di un miliardario contro dei salariati, è un procedimento di chi, anche se perde in aula, non può essere condannato in quanto immune, grazie alle leggi che si è fatto confezionare su misura.

di mazzetta

Quando nel corso degli umani eventi si rende necessario ad un popolo sciogliere i vincoli politici che lo legano a una leadership corrotta e tragicamente ridicola, devono cadere le barriere di classe, censo e orientamento ideologico; l'interesse comune deve avere ragione di qualsiasi resistenza o interesse particolare e la leadership deve essere rimossa quanto prima possibile. Ogni esitazione costa denaro e sofferenze e allungare l'agonia non è di nessuna utilità. L'Italia è indubbiamente il paese più corrotto tra tutti i paesi sviluppati. È anche il paese avanzato con la libertà d'informazione più compromessa. È inoltre il paese con il debito pubblico più elevato. Questi tre record non preoccupano l'attuale presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, che anzi ha ampiamente contribuito a consolidarli.

di Ilvio Pannullo

Lo chiamavano “Il Moralizzatore”. Sarebbe sicuramente un buon titolo per qualche biografia non autorizzata del nostro Ministro dell’economia, Giulio Tremonti, noto ai più per la sua celebre coerenza. Al Meeting di Rimini il buon Giulio si è esibito nuovamente in uno dei suoi show più collaudati: il professore di diritto tributario che, con la sua matita rossa, sferza - non a torto - gli economisti di mezzo mondo chiedendo un anno o due di silenzio. Ci va giù duro il ministro, che oramai sembra intenzionato a crearsi un format preciso, un’immagine da poter mettere sul piatto quando arriveranno i conti della crisi. Conti che qualcuno dovrà pur pagare. Cita Mandrake, Harry Potter, e una lunga fila di esempi “fino al mago Otelma” per dire che “le riunioni degli economisti sono proprio così e quello che colpisce di più è che nessuno di questi ha mai chiesto scusa, nessuno ha mai detto di aver sbagliato. Sbagliano sempre gli altri”. Tutto giustissimo, peccato solo che quando si decide di vestire i panni del Savonarola si deve dimostrare - appunto - una certa coerenza. Diversamente si scade nel ridicolo, con il rischio che siano banalizzate tutte le questioni morali o tecniche - di per sé sacrosante ed auspicabili - sollevate durante i ripetuti comizi.

di Mariavittoria Orsolato

Sarà solo una visita di cortesia quella che il presidente Berlusconi farà al leader libico Gheddafi il prossimo 30 agosto. Domenica cade infatti il primo anniversario del trattato di amicizia firmato a Bengasi dal nostro premier e dal fautore della Jamahiriya, per instaurare istituzionalmente un rapporto di partenariato e cooperazione in cui il nostro paese si è oltretutto impegnato a versare 200 milioni di dollari l’anno per 25 anni. La causa di tanta generosità è stata ufficialmente individuata nel senso di colpa per il disastroso passato coloniale nostrano, ma il fatto di essere scesi a patti con un leader considerato dai più come un dittatore, non ha giovato alla nostra già deprecabile immagine internazionale.


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