di Giovanni Gnazzi

C’è tutto l’italico paradosso del prepotente contro le sue vittime nelle ultime declamazioni del Presidente del Consiglio. Testo e contesto sono quelli noti: il premier denuncia chi domanda, invocando il diritto alla privacy da un lato e il governo della cosa pubblica dall’altro; il giornalista di casa porge le domande con la grazia richiesta. Non sono in odore di Pulitzer e nemmeno di Premio Saint Vincent i giornalisti dei numerosi house organ, che nel momento di massimo vigore e schiena dritta arrivano a fare domande tremende, dall’indubbia irriverenza, tipo: come si sente, presidente? Oppure: è ottimista circa il futuro dell’Italia? Per gli altri, quelli che non stipendia, c’è la magistratura. Qui la vigliaccheria è doppia, perché oltre ad essere una querela di un miliardario contro dei salariati, è un procedimento di chi, anche se perde in aula, non può essere condannato in quanto immune, grazie alle leggi che si è fatto confezionare su misura. Straparla quindi di libertà di stampa chi la stampa se l’é comprata quasi tutta; per quel quasi, il prezzo è la minaccia. Si spinge a decidere quali sono le norme deontologiche della professione, proprio lui che decide ormai chi quella professione può svolgerla e chi no. “Cattocomunisti”, definisce il premier i giornalisti che fanno domande e tutti coloro i quali ritengono che il diritto alla riservatezza è sacro, ma soprattutto per chi non svolge ruoli pubblici, che invece ha il dovere della trasparenza dei suoi atti e della veridicità delle sue affermazioni.

Definisce insulti, diffamazioni, aggressioni a mezzo stampa le domande inerenti ai suoi rapporti privati, alla condotta della sua vita pubblica e all’obbligo morale della verità. Dimentico forse che delle sue condizioni di salute (fisiche e psicologiche) e della sua discutibilissima condotta, è stata proprio Veronica Lario, sua moglie, a disquisire pubblicamente, quasi a invocare aiuto. Dice il premier che gli italiani “sognano di essere come lui”, ma forse qualche dubbio si può nutrire: piuttosto, ci pare credibile che “sognino di avere quello che ha lui”, che è cosa assai diversa. Per molti, certo, non per tutti. C’è infatti chi crede che l’avere sia più importante dell’essere e costoro, probabilmente, sono quelli che l’hanno votato: un terzo del settanta per cento dei votanti.

La novità assoluta è il ricorso alla magistratura contro i giornali. Non contro quelli che hanno pubblicato in prima pagina le foto della moglie a seno nudo e con un membro della security di casa, insinuato come un di lei amante. Queste - davvero vigliacche - intromissioni nella sua privacy, le fa il suo guidato dal suo valvassino. Eppure, veder violata l’intimità della propria famiglia e veder accusare di costumi discutibili la propria moglie, avrebbe giustificato una reazione forte che chiunque avrebbe compreso. Ma in quel caso no, nessuna querela, anzi...

La querela invece é contro i giornali che pongono domande: non a lui, della cui vita privata frega niente a nessuno, ma al Presidente del Consiglio, che è ruolo diverso dal miliardario vizioso. Come se i giornali dovessero parlare d’altro o condividere il filmino rotto della sua vita spacciata in lungo e largo, quando di riservatezza non si sognava di parlare perché utile ai suoi scopi. Riassumendo, queste sono i fondamentali: i giornali non devono parlare delle inchieste che lo riguardano, dei suoi comportamenti privati e pubblici, delle sue disfatte in politica interna ed estera, delle sue pagliacciate diplomatiche e del suo conflitto d’interessi ogni giorno più intollerabile, perché esteso a tutto ciò che governa, in spregio alla decenza e alle stesse pur minime leggi del buongusto. I giornalisti, dunque, devono ispirarsi alla scuola degli assistenti sul campo, embedded. Questa è la lettura del principe: non più la stampa come cane da guardia del potere, al massimo come un gatto mammone, sdraiato e silenzioso.

Fatica inutile, verrebbe da aggiungere, dal momento che a far piegare la schiena ai giornalisti basta davvero poco per chi, con le sue proprietà private e l’occupazione di quelle pubbliche, risulta detentore dell’80 per cento di tutto ciò che si scrive, si ascolta e si vede in Italia. Una stampa storicamente conservatrice, asservita nella maggior parte dei casi al potere e ai suoi interpreti, non ha bisogno di essere silenziata: ci pensa da sé. Certo, c’è però anche quella minoranza di giornalisti che si ostinano a fare (nemmeno tanto spesso, poi) il proprio dovere, e allora arriva il ricorso ai giudici. Sì, gli odiati giudici, un tempo toghe rosse, ora - dopo il lodo Alfano che lo rende immune - diventati d’incanto innocui uomini di legge.

Il leader pro-tempore del PD, Franceschini, nel commentare le parole di Berlusconi, parla di “affermazioni che ricordano il fascismo”. Non scomoderemmo forse questi paragoni, ma ci pare che la cultura autoritaria di questo governicchio potesse essere rivelata già da tempo. Ricordi però, Franceschini, che proprio grazie all’inutilità del suo partito, somma di due errori senza nemmeno una soluzione, e dell'indulsaggine della sua azione politica, l’Italia è priva di opposizione ed è purtroppo – almeno per ora - consegnata al suo becchino.

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