di Rosa Ana De Santis

La lezione arriva. Non poteva tardare. Mentre cresce l’imbarazzo nel cenacolo dei fedelissimi, spiccano l’esorbitante compito di Ghedini, il difensore, e il lavoro commovente di Bonaiuti che smentisce tutto, comunicato dopo comunicato. Si parla di privato piccante, osceno, fuori le regole. Di una figura istituzionale sempre meno credibile, sempre più ricattabile. Salta il confine tra pubblico e privato quando le feste dentro il cortile di casa irridono con il ghigno di un potere smisurato i principi del pubblico costume. Salta quando la propria carica istituzionale diventa lo strumento o la copertura o l’alibi - che dir si voglia - per fare qualsiasi cosa, senza il rispetto della legge, né il dovere del contegno. Un rigore anglosassone che sappiamo bene non appartenere all’indole del nostro capo di governo e che finora è stato risolto con allegri “no comment” ogni volta in cui si rischiasse di dover rispondere nel merito all’opinione pubblica. Invocando la retorica dell’uomo vicino alla gente comune, del pigmalione da villaggio vacanze, del papi premuroso vicino alle fanciulle a caccia di carriere. Forse un po’ troppo vicino.

di Rosa Ana De Santis

Le famose ronde, quelle di ex-poliziotti, ex-carabinieri, comuni cittadini, donne e giovanotti pieni di veleno eccole qui. Cappello beige e aquile imperiali, fasce nere sul braccio: fascino di un fenomeno sociale che nel ventennio seminava terrore nelle strade, tra i dissidenti e le persone comuni. Si chiamano ronde nere e in poche foto e qualche commento hanno spazzato via i maldestri tentativi con i quali il governo in questi ultimi mesi ha infiocchettato il pacchetto sicurezza di edulcorate quanto fragili rassicurazioni. Decisioni e provvedimenti semplicemente indecenti camuffati dalla retorica di chi s’indignava ad essere accusato di fascismo o razzismo. Deve essere per questo che la destra ha affisso la vergogna dei suoi manifesti xenofobi e che oggi partono accertamenti da parte di Armando Spataro, capo del pool antiterrorismo e del procuratore Manlio Minale, su questa riesumazione di regime. La violazione della legge Scelba non deve essere proprio un trascurabile elemento per un paese il cui secondo risorgimento è passato sulla morte in piazza del duce e dei suoi. Sembra solo storia e invece eccoli spuntare, come lumache dopo la pioggia, i soliti pericolosi attentatori di democrazia e civiltà appena l’aria di governo si tinge di nero.

di Rosa Ana De Santis

A urne europee chiuse, ormai spenti gli ardori di chi dice di aver vinto quando ha perso e di chi informa di aver perso quelli che hanno vinto, si abbandona con un filo di soddisfazione l’ingrato terreno delle statistiche, per misurarsi finalmente con il gossip elettorale. La curiosità non poteva rimanere a lungo insoddisfatta: quante sono le preferite del sultano che s’imbarcheranno per Strasburgo? Non era la prima né sarà l’ultima volta che lo spettacolo occupa la politica. Il terreno che separa la rappresentanza dalla rappresentazione sdrucciola. Prima che la saga di Papi Silvio e il book pubblicato su El Pais smuovessero l’italico pudore di fronte all’esuberanza erotica del Premier, ci si ricordava però dei Gerry Scotti e delle Iva Zanicchi. Se Pubblitalia forniva i dirigenti a Forza Italia, Mediaset dava i volti telegenici alle sue liste elettorali. Questa volta, però, elezioni prime dell’era post Veronica, la curiosità era tanta. Non della maggioranza degli italiani, com’é chiaro. Molti elettori hanno dato la loro preferenza a volti e carriere che fino a qualche giorno fa avevano scatenato dubbi e polemiche, perplessità a iosa. Qualche nome tra i tanti per farsi un‘idea.

di Mariavittoria Orsolato

Era l’8 settembre del 2007, quando chiamate all’appello da Beppe Grillo, 350.000 persone si misero pazientemente in code chilometriche per firmare una proposta di legge che espellesse i condannati in via definitiva dal parlamento, che limitasse i mandati elettorali a due legislature e che desse una sistemata al “porcellum” elettorale. A due anni di distanza le firme giacciono ancora sulla scrivania dell’onorevole Vizzini (presidente della Commissione permanente Affari Costituzionali al Senato) ma l’esercito di quelli che la stampa definì con intento di spregio “grillini” si è ingrandito, si è organizzato e, come aveva auspicato lo stesso comico genovese in occasione di quel famoso Vaffanculo-Day, si è buttato in politica. Aborrendo per manifesta autodefinizione i partiti, i seguaci, gli estimatori o, più semplicemente, i lettori del blog di Grillo, hanno creato ex-novo delle liste civiche da presentare alle prossime amministrative.

di Rosa Ana de Santis

La Chiesa è il tiranno eccellente e l’alleato comodo dei giochi elettorali e della dinamica del consenso. Che sia incensata come fonte della verità suprema o etichettata come prigione culturale, é comunque uno strumento prezioso per fare mercato di voti sui temi più piccanti della politica. Quelli che spaccano coerenze a sprezzo dei numeri e senza pietà dei simboli di appartenenza. Succede così che Maroni e i suoi vincono la battaglia della sicurezza alla Camera e che il Premier concede il premio atteso alla faccia più pericolosa del volgare populismo di destra. In Italia la Chiesa rappresenta un freno permanente all’emancipazione della politica e della società civile, attraverso la rivendicazione di un ruolo culturale che va ben oltre gli steccati dei dogmi. Ma é altrettanto vero che viene contesa un po’ da tutta l’agorà della politica, a conferire sacralità e intoccabilità di circostanza a posizioni e pareri. Di diritto o di rovescio la politica fa i conti, più che con la Chiesa, con lo Stato Pontificio.


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