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di mazzetta
Il presupposto ufficiale per quel vero e proprio schiaffo agli italiani onesti denominato “scudo fiscale”, è che il provvedimento serva a far rientrare in Italia capitali freschi capaci di dare ossigeno alla nostra economia. Tremonti è uso a mentire platealmente; in genere si può dire lo stesso del governo Berlusconi in generale e a smentire la giustificazione ufficiale c'era già il dettaglio per il quale i capitali “scudati” possono restare all'estero; dettaglio che, unito all'assoluta riservatezza e al condono tombale sulle tasse non pagate, fa temere il peggio e rivela la vera natura del provvedimento: quella di uno sfacciato condono di classe offerto a chiunque abbia sottratto montagne di denaro alla fiscalità nazionale.
Sono passati pochi mesi e il timore è già diventato realtà, i soldi dello scudo fiscale non rientreranno in Italia e andranno a beneficio di altri mercati e altre economie. Era prevedibilissimo, perché se non c'è nessun obbligo per il rientro reale dei capitali, questi naturalmente si dirigono verso le offerte d'investimento più appetibili e non è che il nostro paese brilli in questo senso. Parlando di soggetti già abituati a gestire grossi traffici economici a cavallo delle frontiere è ovvio che indirizzeranno l'investimento dei capitali “puliti” dove si prevedono maggiori rendimenti e rischi minori.
La classe dirigente italiana non ha mai brillato per acume finanziario o per originalità e così anche buona parte della platea degli evasori scudati si muove in branco in occasioni come questa. E’ quindi abbastanza facile accorgersi al volo di cosa stia succedendo, un riscontro in tempo reale, un feedback che nel mondo globalizzato ci mette pochissimo a trasformare strategie riservate in un segreto di Pulcinella.
Dicono i media britannici che gli italiani si stanno comprando Londra: in contanti, niente mutui e niente lungaggini, “cash buyers” come si dice da loro, clienti da tenersi stretti e che stanno dando respiro al mercato immobiliare londinese, asfittico e travolto dalla crisi. Una valanga di soldi che preferisce gli immobili più pregiati, metà degli acquisti di case di lusso (categoria oltre i dieci milioni di sterline) da parte di europei sul mercato di Londra è opera di italiani secondo Bloomberg, mentre altre fonti riportano percentuali anche più elevate. Si arriva fino all'80% della domanda totale del mercato a Kensington e al 70% a Knightsbridge, zone di pregio destinate a rimanere tali ancora a lungo, per i capitali finalmente puliti si cerca un posto al sole .
Che la richiesta si affolli sulle case da oltre dieci milioni di Sterline ci dice che gli evasori miracolati da Tremonti hanno evaso parecchio, ma che la loro riconoscenza nei suoi confronti non arriva abbastanza in alto da spingerli a investire in Italia se pensano che Londra sia meglio. Il mercato che ha visto le follie dei magnati arabi, indiani e russi è ora scosso dall'improvviso afflusso di acquirenti italiani; i prezzi tornano a salire per la prima volta da tempo e gli inglesi se ne stupiscono, anche se i media hanno spiegato che il merito del boom è dello “scudo fiscale” made in Tremonti. Capiscono il meccanismo, ma si stupiscono che il governo italiano sia il responsabile di una follia del genere, uno smaccato favore ai ricchi che hanno infranto la legge, perché il premio offerto dallo scudo è proporzionale alle cifre nascoste al fisco e ai reati commessi per accumularle.
Le ragioni di tale affollamento di facoltosi italiani sul Tamigi sono facilmente intuibili: in tutto il mondo i prezzi delle case sono crollati e ancora di più per le case di lusso, ma la Gran Bretagna offre anche una provvidenziale svalutazione della Sterlina ( da 1.5 Euro per Sterlina nel 2007 a 1,1 oggi), pur rimanendo un paese parte della UE e offrendo quindi una serie di garanzie di sistema sconosciute ad altri paesi alle quali aggiunge una tassazione più soft di quella italiana.
Chi compra in Gran Bretagna compra quindi a prezzi relativamente bassi e paga in una valuta che è già affondata. Nella logica relativa che governa questo genere di cose, molti sperano così che alla rivalutazione dell'investimento si aggiunga anche quella della moneta e intanto sono già contenti di aver diversificato investendo in un mercato maturo e prestigioso, che è nella UE, ma fuori dall'Euro.
Il che ci porta all'amara conclusione per la quale, con lo scudo fiscale, il nostro paese ha offerto una provvidenziale amnistia a una banda di grandi evasori che ora, con i soldi “ripuliti” da Tremonti, stanno portando capitali e sollievo al mercato immobiliare londinese. Non occorre quindi aspettare la fine dell'anno per pronosticare che i capitali che rientreranno grazie allo scudo fiscale saranno molti di meno dei quelli previsti dal governo e che tutte le fantasie sul futuro impiego di queste somme a favore della nostra economia, si riveleranno l'ennesima illusione del nostro mago dell'economia. Quello che si veste da Robin Hood per rapinare meglio i poveri e poi farsi quattro risate con i ricchi ai quali consegna il bottino.
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di Giovanni Cecini
In quest’Italia prenatalizia si rumoreggia a proposito delle magagne giudiziarie del premier e di alcuni suoi soci. Giornali, radio e tv gridano, chi a favore, chi contro quella serie continua e incessante di atti normativi rivolti a salvare in modo palese Silvio Berlusconi dai processi in cui è imputato. Questo immenso clamore però ha già soffocato le precedenti e numerose azioni governative e parlamentari, pessime sotto il lato prettamente morale e democratico, che hanno creato una simile e momentanea sommossa culturale e mediatica nel Paese.
Verrebbe da credere che l’attuale esecutivo riesca a smorzare le polemiche sulle sue cosiddette “riforme”, solo realizzandone altre di simile disinvoltura a breve giro di posta. Ecco quindi che nel frattempo il cosiddetto scudo fiscale ha iniziato sottotraccia ad operare, anche perché probabilmente mai sapremo quanti soldi siano realmente rientrati, vigendo l’anonimato nelle dichiarazioni e il segreto bancario per gli ex evasori “pentiti”.
Ma arriviamo al nocciolo della questione, che probabilmente ai più è sconosciuto, ma che tra cronaca e testimonianza mostra una situazione grottesca. In Italia l’aborto è legge dello Stato. In Italia la vendita di pillole e/o sistemi contraccettivi è lecita e largamente in uso. Tuttavia vige la possibile pratica da parte di medici e farmacisti di poter esprimere l’obiezione di coscienza nei confronti delle richieste dei pazienti. Si potrebbe argomentare questa scelta, volendo ribadire la libertà del singolo di astenersi nei confronti di un comportamento che, seppur regolato e permesso dalla legislazione operante, può offendere o essere contrario a convincimenti propri personali.
Sin qui nessuna palese contraddizione, tuttavia questa obiezione di coscienza non vale sempre. Infatti, ritornando al già citato scudo fiscale, in questi giorni escono allo scoperto come funghi nel bosco coloro che vogliono informazioni a proposito del rientro in Patria dei loro gruzzoletti, costituitisi all’insaputa del fisco nazionale. Le banche, sempre a caccia di profitti e di denaro nuovo, risultano ben contente di questa ghiotta opportunità. Non a caso appena qualche settimana fa Marco Travaglio aveva sbandierato durante una puntata di "Annozero" un paginone pubblicitario in cui Banca Mediolanum offriva un servizio facile e pratico per il solerte cliente, desideroso una volta per tutte di regolarizzare a prezzi stracciati le proprie passate malefatte tributarie. Come si suole dire in questi casi: pecunia non olent.
Tuttavia in questo variegato mondo esistono molti impiegati di banca, che non possono certo beneficiare dell’iniziativa, essendo comuni dipendenti e quindi incalliti contribuenti dell’erario, ma che trovano un certo fastidio nel vedere ingenti capitali tassati ex post solo del semplice 5%, in luogo di un normale circa 50% dovuto allo Stato per Iva, Irpev e simili nel frattempo elusi e quindi evasi. Ebbene, per i bancari l’obiezione di coscienza non vale, essi debbono espletare le pratiche e magari sentirsi pure dire da taluni clienti che questo 5% sembra un po’ eccessivo. In fondo, in tempo di crisi generale, non sono da buttar via i circa 300 miliardi che il ministro Giulio Tremonti pensa di poter regolarizzare nell’economia nazionale, con l’aggiunta anche del relativo (modestissimo) incasso da parte dello Stato della percentuale esatta dalle banche in favore del fisco.
C’è da dire che diversamente da altre richieste di obiezione di coscienza, l’Avvenire non si è espresso in questo modo per incitare i bancari, ma quanto meno ha definito l’operazione come un regalo ai più furbi. Questo vuole testimoniare che la stessa coscienza non è mai una cosa personale ed intima, ma un fenomeno collettivo - si potrebbe aggiungere politico - tanto da essere indirizzato e manipolato da chi detiene il potere, di qualsiasi specie esso sia.
In attesa delle probabili prescrizioni sui reati finanziari, in caso di approvazione del cosiddetto “Processo breve”, sarebbe troppo banale dire che in fondo in fondo le banche hanno portato alla crisi e ora hanno pure da guadagnarci. Oggi però non solo è ancora lecito pensarlo e affermarlo, ma se a dirlo sono anche gli stessi bancari, perché non ripeterlo ancora una volta?
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di Nicola Lillo
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è intervenuto per sedare il bailamme di attacchi, ingiurie e proclami, che riempiono le pagine dei giornali e soprattutto le bocche dei “nostri” politici. Il Colle dice basta alle “polemiche e tensioni” fra le istituzioni e avverte la magistratura: “Si attenga alle sue funzioni”. “L'interesse del Paese - afferma - richiede che si fermi la spirale di crescente drammatizzazione di polemiche e tensioni non solo tra opposte parti politiche ma tra istituzioni investite di distinte responsabilità costituzionali”. Napolitano ribadisce che “nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento”. Un monito che sarebbe certamente condivisibile in una situazione come quella descritta dal nostro Presidente della Repubblica, ma che non rispecchia del tutto la realtà dei fatti.
È bene contestualizzare queste parole e adattarle al contesto politico attuale. Luca Palamara, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm), ha affermato infatti che “noi magistrati non siamo in guerra con nessuno, ma chiediamo di non essere aggrediti”. Aggressioni che derivano dalle parole pronunciate dal Premier, il quale ha accusato la magistratura di “portare il paese sull’orlo di una guerra civile, e di far saltare l’equilibrio costituzionale tra i poteri dello stato, mentre trama per far cadere il governo”. Fantascienza e accuse forti, esse forse eversive.
Berlusconi si sente in crisi a causa delle indagini di mafia che lo stanno coinvolgendo. Nelle procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze, infatti, il nome del Cavaliere è stato più volte pronunciato. Soprattutto dal pentito Spatuzza, il quale avrebbe individuato in Berlusconi e Dell’Utri i referenti politici di Cosa Nostra dalle stragi del 1993.
L’arma di difesa del Premier è la delegittimazione. Sta infatti operando in questo senso, ed è probabile che dopo il 4 dicembre (data in cui si è fissata l'audizione del pentito) possa fare un intervento televisivo per spiegare (chiaramente a modo suo) come stanno “veramente” le cose. Intanto il monito del Colle viene preso con serietà dalla magistratura, sempre attraverso le parole di Palamara, il quale dichiara che “il capo dello Stato fa affermazioni in cui ogni magistrato deve riconoscersi”, mentre il Presidente del Consiglio si smarca dall’altolà di Napolitano affermando di non essere certo lui “ad alzare i toni dello scontro. Sono semmai alcuni pm a tenere un comportamento che, in qualunque democrazia, non sarebbe tollerato”. Dunque, continua a farsi affiancare dalla sua presunta e perenne irresponsabilità, sia politica, che giuridica.
Anche l’ex-Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, in un’intervista della settimana scorsa a La Repubblica, ha lanciato il suo atto d’accusa contro chi è responsabile di questo “imbarbarimento” e di questa “aggressione”: ossia Silvio Berlusconi, il suo governo e la sua maggioranza, che stanno abbattendo a “colpi di piccone i principi sui quali si regge la Costituzione, la nostra Bibbia civile”. Preoccupato dallo stato di salute della nostra democrazia, Ciampi ha affermato che “è in corso la manipolazione delle regole”, attraverso la delegittimazione delle istituzioni dell’attuale Presidente del Consiglio. Una “tirata di giacca” anche a Napolitano, al quale l’ex Presidente chiede di non firmare il ddl sul processo breve e di frenare le leggi ad personam. Anche in questo caso affermazioni degne di nota. Ma non fu lo stesso Ciampi a firmare il Lodo Schifani nel 2004 poi ritenuto incostituzionale dalla Consulta? A quanto pare si.
Intanto Napolitano si rivolge a tutto l’arco costituzionale, avvertendo che spetta al Parlamento “esaminare, in un clima più costruttivo, misure di riforma volta a definire corretti equilibri tra politica e giustizia”. Non alla magistratura, né al governo. Neanche a dirlo. Già una settimana fa Bersani ha dato mandato alla capogruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro, di aprire un tavolo di confronto sulle riforme di cui il paese ha bisogno, in particolare la riduzione dei parlamentari, il Senato delle Regioni e i poteri del Presidente del Consiglio. Riforme non da poco, che vanno ad incidere sulla forma di governo della Repubblica.
Furio Colombo si chiede se “ha senso per un partito di opposizione rendere all’avversario, dotato di potere e di prepotenza, l’omaggio di far credere che sia sempre un partito solido, guidato con fermezza e degno di quel tanto di fiducia che si dà a un interlocutore affidabile”. Ed inoltre ci chiediamo, se sia possibile che il Pd, in vista anche delle regionali del 2010, voglia prendersi qualche merito in queste “riforme condivise”, grazie alla porta lasciata aperta dalla maggioranza.
Porta che resterà aperta esclusivamente se il Partito Democratico scenderà a un compromesso con il Pdl, seguendo quella che è la proposta dell’Udc (quanto mai incostituzionale) di creare un mini-lodo (Lodo Casini) esclusivamente per Silvio Berlusconi, onde evitare di sfasciare la giustizia con il processo breve. Pochi giorni fa, Bersani ha preso l’impegno, con il Capo dello Stato, di non tirarsi indietro per opportunismo o tatticismo sulle riforme, con la convinzione, però, di non scendere a patti con il Pdl su leggi e leggine a favore del Premier. Se così fosse la porta resterebbe chiusa e l’”inciucio” lontano dai nostri occhi. Forse…
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di Nicola Lillo
La Giunta per le autorizzazioni ha detto no. Nicola Cosentino resta dov’è. La richiesta di arresto, avanzata dal Gip Raffaele Piccirillo alla Camera, è stata cestinata dagli undici deputati nel giro di un’ora e cinquanta minuti. Sei hanno votato a favore, uno si é astenuto: Maurizio Turco, del Partito Democratico. Contrario all’arresto, il deputato si è rifiutato di pronunciarsi esclusivamente per avere l’opportunità di prendere la parola in Parlamento, quando l'aula dovrà esprimersi sulla proposta della Giunta. E abbiamo già un’idea di come sarà la decisione.
Il relatore, Antonino Lo Presti (Pdl), afferma che l'impianto accusatorio gli pare confuso e farraginoso, impostato com'è su talune evidenti incongruenze. Una vasta serie di elementi lo inducono a “ritenere l'ordinanza cautelare claudicante e connotata da un fumus persecutionis in senso oggettivo.” Ribadendo, pertanto, che la Giunta dovrebbe “deliberare nel senso del diniego”. Sulla stessa linea d’onda Antonio Leone (Pdl), Domenico Zinzi (Udc), Luca Rodolfo Paolini (Lnp), il quale afferma che “la concessione dell'arresto sarebbe un atto ingiusto, con cui si otterrebbe di restringere in carcere un soggetto a carico del quale si è proceduto con metodi da inquisizione spagnola, senza il benché minimo elemento fattuale.”
Anche Maurizio Paniz (Pdl) vota contro la concessione all’arresto di “Nick ‘o mericano”, sottolineando “che la Giunta non deve entrare nel merito della vicenda, il quale pure non ha il pregio della concludenza e della verosimiglianza, ma deve limitarsi a verificare se la situazione prospettata possa sovvertire le esigenze della sovranità popolare”.
In sostanza non bisogna assolutamente interessarsi dei reati contestati, a prescindere. L’unico interesse è la derivazione popolare del mandato parlamentare, il quale, secondo Paniz, legittimerebbe le conoscenze e le azioni, considerate illegali dal Gip, del sottosegretario all’Economia. “Nicola Cosentino è stato eletto dal popolo - continua - per svolgere una funzione parlamentare e di governo. Un eletto del popolo non può essere privato della sua funzione senza validi motivi che in questo caso mancano del tutto. Peraltro è doveroso il compito di un esponente politico di intervenire nei fatti del suo territorio e nella nomina delle varie società di servizi (!?)”. Invece i deputati Donatella Ferranti, Anna Rossomando e Marilena Sampieri, del Pd, insieme al casiniano Pierluigi Mantini e al dipietrista Federico Palomba, si dichiarano favorevoli all’arresto.
Le motivazioni sono elementari. Si afferma infatti che gli elementi per una misura cautelare, senza che possa individuarsi un fumus persecutionis, sussistono pienamente. “Il deputato Cosentino ha del resto confermato l'impianto accusatorio quando non ne ha smentito alcun presupposto di fatto ma ha solo sostenuto che così fanno tutti”. Dinnanzi alla Giunta, infatti, il sottosegretario all’Economia non ho distrutto alcuna tesi accusatoria tra le numerose presenti nelle 350 pagine di verbale del Gip. Si è, esclusivamente, rifatto al “così fan tutti” di memoria Craxiana.
Se ripercorriamo la storia della Repubblica, poi, in tema di autorizzazioni, su 65 richieste, soltanto 4 hanno ricevuto il sì. L’ultimo risale a 22 anni fa. Tra gli ultimi deputati graziati dai propri colleghi ricordiamo su tutti Dell’Utri e Previti. Per l’attuale Giunta siamo già al terzo diniego di fila: prima Salvatore Margiotta del Pd, poi Antonio Angelucci del Pdl, ed infine Nicola Cosentino. Un Nicola Cosentino, che già il 22 di Novembre, dichiara, sulle pagine di Libero, che in caso di autorizzazione all’arresto non esiterà a dimettersi da sottosegretario, ma al tempo stesso non abbandonerà la corsa per la regione Campania. “Non mi ritirerei dalla corsa neanche in questo caso. A meno che non fosse Berlusconi a chiedermelo”.
Problema che ora, dunque, neppure si pone. Nella pseudo-intervista sono tante le domande. Poche quelle interessanti. Si va dal “da giovane si sentiva più timido o guappo con le ragazze? Era secchione o somaro? Come ha fatto a conquistare una moglie tanto più bella e alta di lei?”. Per poi arrivare alle curiosità più ovvie per un giornalista dinanzi a un sottosegretario del governo con una richiesta d’arresto sulle spalle per concorso esterno in associazione camorristica. “La sua prima cotta? La sua prima volta? Cosa canta sotto al doccia e cosa porta di superstizioso con se?”.
Cosentino in tutto questo turbinio di insignificanti questioni private afferma, inoltre, che “Saviano è un bravo giornalista e continuo a stimarlo, ma talvolta non è genuino. Se conoscesse la mia storia e la mia famiglia eviterebbe certe affermazioni. Saviano non sa cosa pensano davvero di me i casertani e non ha una vera percezione della camorra”. Su questo, forse non ha tutti i torti. Di sicuro “Nick ‘o mericano” la conosce molto più approfonditamente e, soprattutto, direttamente.
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di Rosa Ana De Santis
A maggioranza, con un capolavoro d'ipocrisia e falsità, il Senato ha chiesto lo stop all’introduzione della RU-486 sul mercato, in attesa di un parere tecnico di congruità tra il farmaco e la legge 194. I rischi paventati, quando fin dal primo momento alcune reazioni politiche all’aborto chimico furono scomposte e aggressive, sono diventati impedimenti di fatto. Irragionevoli le motivazioni addotte e pericolosa l’esondazione di potere istituzionale sull’esercizio della libertà individuale. Vergognosa invece la genuflessione dei cosiddetti rappresentanti del popolo ai piedi dei vescovi, che nella vendita e nell'utilizzo del farmaco vedono la reincarnazione definitiva del suo diavolo peggiore: quello della libertà delle donne di disporre del proprio corpo.
Il parere tecnico, rivendicato impropriamente e fuori tempo massimo dal solito gruppetto di proibizionisti, è evidentemente di competenza dei tecnici ed è già stato dato dall’AIFA, organo deputato proprio a questo. Quanto al ruolo del Ministero della Salute, tanto invocato, sull’esame della congruità della pillola RU-486 con la legge 194, che ha liberalizzato l’aborto nel 1978, non è, come vogliono far credere, qualcosa ancora da dimostrare, semmai proprio tutto il contrario. La legge 194 è infatti la condizione preliminare e fondante per l’introduzione di opzioni alternative all’aborto chirurgico. Confondere le premesse con le conclusioni è un modo sporco di ragionare, facilmente smascherabile, una manovra per intorbidire le acque che tradisce quale sia il vero spauracchio dei moralizzatori: colpire proprio il diritto all’interruzione di gravidanza e il corpo della legge 194.
Gli oppositori più accaniti, tra cui l’on. Gasparri, capogruppo Pdl al Senato, Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute, e quelli più timidi, fintamente neutrali come Dorina Bianchi, che ha rimesso il suo mandato a Tomassini, hanno utilizzato diverse strade per picconare un diritto già sancito dalla legge per le donne. Si è parlato di ritorno all’aborto domestico, quando invece il farmaco sarebbe stato somministrato in ospedale e sotto stretta sorveglianza. Si è parlato di danni alla salute delle donne e di un farmaco affatto indolore, come se qualcuno avesse omesso che ogni rimedio chimico allopatico ha controindicazioni ed effetti collaterali di cui la paziente deve essere ben informato e consapevole. Si è parlato di un nuovo modo di abortire molto più rischioso, come se la pillola RU486 - tra l’altro - fosse un obbligo imposto alle donne e non un’opzione alternativa al metodo chirurgico.
Soprattutto, e questo è il vero centro della polemica politica, si è visto nell’assunzione della pillola la banalizzazione di una scelta morale delicata e complessa quale quella dell’aborto. Ed è tutto qui il passo falso dei cari teodem e dei finti liberali. Basta leggere la legge 194 per rendersi conto che il corollario delle premesse, il comportamento indicato ai sanitari e agli psicologi, l’iter faticoso di riflessione che è imposto dallo Stato alle donne è proprio mirato a scongiurare la facilità e la comodità ad abortire, a non utilizzare mai l’interruzione volontaria di gravidanza come rimedio contraccettivo, a sentire la gravità della scelta. La legge 194 così come é ora é ben piantata, anche troppo, sul controllo e sulla sorveglianza delle donne nell’esercizio della loro libertà.
Rimane poi sempre vero che la maturità morale di una donna, come tutti, non è misurabile con l’incremento delle restrizioni legislative, ma con un’educazione progressiva e permanente per le giovanissime. Magari al posto dell’ora di religione, ad esempio. La scelta di una donna per la pillola piuttosto che per l’aborto chirurgico è una scelta che investe il campo della tecnica, del rimedio considerato più idoneo alla propria accettazione psico-fisica, non è mai una scelta morale. La scelta avviene prima, nel momento in cui si decide di abortire, non nel come. Con la Ru486 non è in questione l’aborto, ma il modo in cui abortire. Far saltare questa differenza significa proprio mettere le mani sulla 194.
Come mai nessuna commissione d’indagine conoscitiva si è aperta sulla commercializzazione frettolosa e a tappeto del vaccino per l’H1N1, di cui sappiamo poco o nulla e che ci è stato vivamente consigliato sui nostri figli? Forse perché c’è forte odore di soldi e perché si tratta di farmaci e commercio, punto? Anche nel caso della RU-486, della chimica e dei suoi effetti non importa a nessuno. Le ragioni di tanto clamore sono falsamente tecniche e sono invece tutte morali, tanto è vero che si torna a parlare della 194 che è proprio la legge che impedisce ogni deriva abortista tanto temuta. L’obiettivo è riscrivere e mettere le mani su quel testo, unico esile baluardo della libertà femminile nel nostro Paese.
Noi non siamo la Francia, né la Gran Bretagna, né la Spagna, né la Germania. L’Italia non è in Europa. E l’alleanza di potere e fede cattolica, unita al dominio dello Stato sul singolo, è un modo tutto italiano di predicare la libertà individuale, senza avere alcuna considerazione seria del suo inestimabile valore.