di Nicola Lillo

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è intervenuto per sedare il bailamme di attacchi, ingiurie e proclami, che riempiono le pagine dei giornali e soprattutto le bocche dei “nostri” politici. Il Colle dice basta alle “polemiche e tensioni” fra le istituzioni e avverte la magistratura: “Si attenga alle sue funzioni”. “L'interesse del Paese - afferma - richiede che si fermi la spirale di crescente drammatizzazione di polemiche e tensioni non solo tra opposte parti politiche ma tra istituzioni investite di distinte responsabilità costituzionali”. Napolitano ribadisce che “nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento”. Un monito che sarebbe certamente condivisibile in una situazione come quella descritta dal nostro Presidente della Repubblica, ma che non rispecchia del tutto la realtà dei fatti.

È bene contestualizzare queste parole e adattarle al contesto politico attuale. Luca Palamara, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm), ha affermato infatti che “noi magistrati non siamo in guerra con nessuno, ma chiediamo di non essere aggrediti”. Aggressioni che derivano dalle parole pronunciate dal Premier, il quale ha accusato la magistratura di “portare il paese sull’orlo di una guerra civile, e di far saltare l’equilibrio costituzionale tra i poteri dello stato, mentre trama per far cadere il governo”. Fantascienza e accuse forti, esse forse eversive.

Berlusconi si sente in crisi a causa delle indagini di mafia che lo stanno coinvolgendo. Nelle procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze, infatti, il nome del Cavaliere è stato più volte pronunciato. Soprattutto dal pentito Spatuzza, il quale avrebbe individuato in Berlusconi e Dell’Utri i referenti politici di Cosa Nostra dalle stragi del 1993.

L’arma di difesa del Premier è la delegittimazione. Sta infatti operando in questo senso, ed è probabile che dopo il 4 dicembre (data in cui si è fissata l'audizione del pentito) possa fare un intervento televisivo per spiegare (chiaramente a modo suo) come stanno “veramente” le cose. Intanto il monito del Colle viene preso con serietà dalla magistratura, sempre attraverso le parole di Palamara, il quale dichiara che “il capo dello Stato fa affermazioni in cui ogni magistrato deve riconoscersi”, mentre il Presidente del Consiglio si smarca dall’altolà di Napolitano affermando di non essere certo lui “ad alzare i toni dello scontro. Sono semmai alcuni pm a tenere un comportamento che, in qualunque democrazia, non sarebbe tollerato”. Dunque, continua a farsi affiancare dalla sua presunta e perenne irresponsabilità, sia politica, che giuridica.

Anche l’ex-Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, in un’intervista della settimana scorsa a La Repubblica,  ha lanciato il suo atto d’accusa contro chi è responsabile di questo “imbarbarimento” e di questa “aggressione”: ossia Silvio Berlusconi, il suo governo e la sua maggioranza, che stanno abbattendo a “colpi di piccone i principi sui quali si regge la Costituzione, la nostra Bibbia civile”. Preoccupato dallo stato di salute della nostra democrazia, Ciampi ha affermato che “è in corso la manipolazione delle regole”, attraverso la delegittimazione delle istituzioni dell’attuale Presidente del Consiglio. Una “tirata di giacca” anche a Napolitano, al quale l’ex Presidente chiede di non firmare il ddl sul processo breve e di frenare le leggi ad personam. Anche in questo caso affermazioni degne di nota. Ma non fu lo stesso Ciampi a firmare il Lodo Schifani nel 2004 poi ritenuto incostituzionale dalla Consulta? A quanto pare si.

Intanto Napolitano si rivolge a tutto l’arco costituzionale, avvertendo che spetta al Parlamento “esaminare, in un clima più costruttivo, misure di riforma volta a definire corretti equilibri tra politica e giustizia”. Non alla magistratura, né al governo. Neanche a dirlo. Già una settimana fa Bersani ha dato mandato alla capogruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro, di aprire un tavolo di confronto sulle riforme di cui il paese ha bisogno, in particolare la riduzione dei parlamentari, il Senato delle Regioni e i poteri del Presidente del Consiglio. Riforme non da poco, che vanno ad incidere sulla forma di governo della Repubblica.

Furio Colombo si chiede se “ha senso per un partito di opposizione rendere all’avversario, dotato di potere e di prepotenza, l’omaggio di far credere che sia sempre un partito solido, guidato con fermezza e degno di quel tanto di fiducia che si dà a un interlocutore affidabile”. Ed inoltre ci chiediamo, se sia possibile che il Pd, in vista anche delle regionali del 2010, voglia prendersi qualche merito in queste “riforme condivise”, grazie alla porta lasciata aperta dalla maggioranza.

Porta che resterà aperta esclusivamente se il Partito Democratico scenderà a un compromesso con il Pdl, seguendo quella che è la proposta dell’Udc (quanto mai incostituzionale) di creare un mini-lodo (Lodo Casini) esclusivamente per Silvio Berlusconi, onde evitare di sfasciare la giustizia con il processo breve. Pochi giorni fa, Bersani ha preso l’impegno, con il Capo dello Stato, di non tirarsi indietro per opportunismo o tatticismo sulle riforme, con la convinzione, però, di non scendere a patti con il Pdl su leggi e leggine a favore del Premier. Se così fosse la porta resterebbe chiusa e l’”inciucio” lontano dai nostri occhi. Forse…

 

 

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