di Sara Nicoli

Generation précaire: sono i giovani tra i 20 e i 35 anni, quelli che fino a ieri erano considerati la forza propulsiva del Paese, oggi rinominati lavoratori usa e getta made in France. Sono loro che da settimane invadono le strade di Parigi, Marsiglia, Tolosa, Bordeaux, Rennes: una rivolta che attraversa la Francia nel nome della conservazione di una civiltà giuridica applicata al lavoro. Occupano le università, si scontrano per le strade con le stesse modalità del '68, solo che dietro stavolta non c'è nessuna utopia di liberazione, nessuna ideologia trotzkista, maoista, marcusiana: la posta in gioco è la dignità del lavoro, il mantenimento dello standard di civiltà di una delle più importanti nazioni del mondo. Una ribellione che sta facendo tremare le classi dirigenti nazionali, che genera un grande imbarazzo al presidente Chirac, ma non smuove il governo guidato da De Villepin. E' il lavoro e la sua difesa a far sussultare la Francia, un gigantesco movimento di protesta contro l'introduzione del contratto giovanile di primo impiego, un provvedimento che da la possibilità agli imprenditori di licenziare in un periodo di due anni dall'assunzione anche senza giusta causa: di fatto la certificazione della precarizzazione generalizzata, un modo perverso per cronicizzare il disagio , l'incertezza, l'assenza totale di garanzie per un'intera generazione di giovani che, non a caso, sono stati ribattezzati no future. Per il governo francese, il contratto di primo impiego dovrebbe rappresentare un incentivo per le imprese ad assumere e, con ciò, offrire una prospettiva a qualche milione di giovani disoccupati.

di Bianca Cerri

Alle 17 e 45 in punto di ogni giorno, un distinto signore chiude la sua gioielleria di Columbus, in Georgia, attraversa la strada, sale sulla Mercedes parcheggiata davanti al negozio e torna a casa. L'auto di lusso, gli abiti di buon taglio, i movimenti composti, fanno pensare che si tratti di un uomo a modo, senza debiti con la legge o scheletri nell'armadio. Ma chissà cosa direbbero i suoi concittadini se sapessero che dietro quella rispettabile facciata si nasconde in realtà uno dei criminali di guerra più feroci che l'umanità abbia mai conosciuto.
Da bambino, William Calley sognava di indossare un giorno una divisa militare come quella degli eroi cinematografici e, nonostante la statura al di sotto dello standard minimo previsto dall'esercito, ci riuscì. Era il 1967 e con l'ariete bellico Usa lanciato a piena forza sul sud est asiatico, le reclute venivano arruolate senza guardare per il sottile. Assegnato alla 11ma divisione di stanza a Quang Ngai, una zona del Vietnam dove i campi di riso sembrano quasi fondersi con le montagne che si stagliano contro un cielo almeno allora azzurro immacolato, Calley, che aveva ricevuto i gradi di tenente, era al settimo cielo al pensiero di guidare la brigata Charlie.

di mazzetta

Siamo finalmente giunti al punto nel quale la grancassa della guerra si è trasformata in una cacofonia insopportabile, anche per quelli che hanno a lungo ballato sulle sue note. Con singolare sintonia il New York Times ed il Jerusalem Post, non certo fogli sovversivi o contrari alla guerra per principio o sospettabili di debolezze pacifiste, terzomondiste o comuniste, hanno dato un segnale forte all'amministrazione di Washington e di Tel Aviv. Un messaggio che significa prima di tutto il raggiungimento del punto di saturazione della propaganda bellicista. Molti entusiasti sostenitori delle invasioni e della superiorità delle forze aeree si sono convertiti nei mesi scorsi e, l'evidenza del fallimento, dei lutti e dei macelli sotto gli occhi di tutti, ha ormai portato tra i fieri oppositori della guerra anche gli entusiasti della prima ora. Da tempo le fantasie prodotte dall'amministrazione Bush e supportate dagli israeliani hanno superato il limite della decenza e della sopportazione per paesi che vogliano continuare a dirsi democratici.

di Cinzia Frassi

Ci voleva più intelligence per proteggere l'identità delle spie della CIA la cui identità sarebbe stata scoperta da un'inchiesta del Chicago Tribune. Il giornale sostiene di aver individuato circa 2.600 impiegati CIA, tra agenti sotto copertura e personale, rivolgendosi semplicemente ad agenzie che sul web forniscono ai propri clienti informazioni contenute in registri pubblici. Non solo, attraverso semplici ricerche il giornale di Chicago avrebbe disegnato una vera e propria mappa con ubicazioni di alcune sedi della CIA sul territorio americano, riuscendo anche ad individuare 50 numeri telefonici interni del Pentagono. Le informazioni naturalmente non sono state pubblicate dal giornale, ma come è facile immaginare la vicenda ha innescato grosse polemiche quasi ancor prima di arrivare sul tavolo del direttore della CIA, Porter Gross, che si è detto "atterrito". Del resto, restarono atterriti anche i cittadini statunitensi quando lo scorso dicembre il Presidente Bush ammise candidamente di aver autorizzato la National Security Agency (NSA) a controllare le loro comunicazioni. La rivelazione scatenò le reazioni di esponenti politici, di organizzazioni per la difesa della privacy e della stampa, con il New York Times in prima linea a citare in giudizio l'U.S. Defense Department al fine di ottenere i documenti riguardanti le operazioni di spionaggio interno attuato dalla NSA.

di Liliana Adamo

Piacerebbe citare un film popolarissimo d'Irvin Kershner, quel "Mai dire mai" tratto dall'ennesimo romanzo di Ian Fleming ed esattamente un'inquadratura: Sean Connery (James Bond) e Klaus Maria Brandauer (Largo), si contendono il potere manipolando una scacchiera elettronica (comprensiva di mortali scariche elettriche), dove l'uno o l'altro può spingersi al dominio totale, colpendo a morte l'avversario e annientando ogni continente espugnato. Il tema centrale del film ruota intorno al cattivo di turno e a Largo bastano un paio di testate nucleari per tenere sotto smacco, i governi del mondo...
Trascurando il fascino del vecchio Bond (che ucciderà Largo, otterrà l'amore di Domino e salverà il mondo), il genere fantastico ha speculato sulle più svariate minacce soverchianti l'ordine costituito delle cose. L'incubo nucleare e i grandi attacchi terroristici sono diventati, oltre che elementi tangibili, le forme più in voga di fiction (quello degli attacchi terroristici in grande stile devono aver persuaso del tutto il presidente Bush e il suo entourage).
Pochi hanno stimato la guerra globale per l'accaparramento di risorse energetiche, anche se il pretesto è materia straordinariamente attuale. Ci ha pensato, invece, l'analisi di un "oscuro" autore americano, talmente bravo a condurre i suoi punti d'arrivo, che, al lettore del saggio, procura più di un brivido gelido lungo la schiena.
Complotti e fosche macchinazioni per il dominio petrolifero? Orditi intrighi all'ombra dell'OPEC? O un'allucinante profezia con dati realistici alla mano?


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